mercoledì 28 ottobre 2009

Il bambino e la sera.




Conosci la storia di quel bambino.
che preferiva la sera al matttino?
Mah, a pensarci bene,
non mi pare,
se me la vuoi raccontare....
Prima però voglio sapere
se sono cose vere!
Certo, sono vere sì!
Eccole qui:
" Un bimbo aveva paura della sera,
perchè è sempre un pò nera.
Ma una volta la sera gli parlò
e il bimbo si tranquillizzò.
Anzi diventarono amici,
fedeli e felici".
(da filastrocche per recitare - Nuove Ediz. Romane)





Già la paura, questo sentimento sgradevole che ci accompagna fin dalla nascita, che è cresciuto con noi e non ci ha più abbandonati; anche quando abbiamo indossato i calzoni lunghi. Quante, le nostre paure di bambini! Paura dei ladri, paura della notte, dei fantasmi; anche se ci avevano dettto che i fantasmi non esistono. Paura del vento, paura dei tuoni, del temporale, del buio, delle ombre. Il ricordo di una mia paura infantile? Quando mia madre andava sarta, a giornata in casa di altri e, d'accordo con la nonna che abitava nella casa difronte, mi lasciavano solo a dormire. Al mio risveglio, non vedendola, ero preso da mille pensieri e sudavo....sudavo.... le ombre riflesse sulle pareti mi guardavano minacciose e smettevo il respiro al rumore dei passi della strada, nella speranza di riconoscere i suoi che si facevano attendere inutilmente. Pensavo che mi avesse abbandonato! Poi le paure sono cresciute insieme a me, da ragazzo e da adulto: paura tutte le volte che ho dovuto sosttenere esami ( paura di non farcela); tutte le volte che avevo un incontro importante (paura di non essere all'altezza o di non poter dimostrare qualche cosa all'altro), la paura nel fare le scelte importanti della vita: di mettere su famiglia, di diventare padre. Ma presto ho capito che non si possono eliminare del tutto le paure, perchè fanno parte del nostro essere; ma si possono certamente limitare i danni. Dicono che ammettere di aver paura è un gesto di coraggio. Un altro modo per vincere le paure è la conoscenza delle cose; non a caso ho proposto la filastrocca "il bambino e la sera" (...Ma una volta la sera gli parlò e il bimbo si tranquillizzò.). Basta parlare e scompare l'ignranza e la paura. Da genitore e poi da maestro, ho sempre cercato di parlare un linguaggio "elementare" che fosse diretto a sconfiggere l'ignoranza e tutte le paure che comporta; spero di aver colpito dalle parti del bersaglio.
Cordialmente,
maestrocastello.

domenica 25 ottobre 2009

Ti aspetto qui, Signore.




La stazione di Zimà
C'è un solo vaso di gerani dove si ferma il treno,
e un unico lampione, che si spegne se lo guardi,
e il più delle volte non c'è ad aspettarti nessuno,
perché è sempre troppo presto o troppo tardi.
"Non scendere", mi dici, continua con me questo viaggio
e così sono lieto di apprendere che hai fatto il cielo
e milioni di stelle inutili come un messaggio,
per dimostrarmi che esisti, che ci sei davvero.
Ma vedi, il problema non è che tu sia o non ci sia
il problema è la mia vita quando non sarà più la mia,
confusa in un abbraccio senza fine,
persa nella luce tua, sublime, per ringraziarti
non so di cosa e perché.
Lasciami questo sogno disperato d'esser uomo,
lasciami quest'orgoglio smisurato di esser solo un uomo;
perdonami, Signore, ma io scendo qua,
alla stazione di Zima.
Alla stazione di Zima qualche volta c'è il sole
e allora usciamo tutti a guardarlo
e a tutti viene in mente che cantiamo la stessa canzone
con altre parole e che ci facciamo male
perché non ci capiamo niente.
E il tempo non s'innamora due volte di uno stesso uomo
abbiamo la consistenza lieve delle foglie,
ma ci teniamo la notte per mano stretti fino all'abbandono,
per non morire da soli quando il vento ci coglie.
Perché vedi, l'importante non è che tu ci sia o non ci sia:
l'importante è la mia vita finché sarà la mia.
Con te, Signore è tutto così grande,
così spaventosamente grande, che non è mio non fa per me.
Guardami, io so amare soltanto come un uomo
guardami, a malapena ti sento e tu sai dove sono...
ti aspetto qui, Signore, quando ti va, alla stazione di Zima.
( Roberto Vecchioni)
Questa canzone-preghiera di Vecchioni era su una delle tante audiocassette che facevo girare spesso nell’autoradio, quando negli anni novanta vagavo in terra di Sardegna con la mia famigliola, alla scoperta di qualche spiaggia non ancora battuta. Oggi che sono riuscito a recuperarla, mi piace condividerla con quanti non conoscessero questa autentica poesia che tocca i sentimenti ed invita ad una riflessione profonda. Colgo in essa soprattutto la consapevolezza della fragilità dell’uomo che il poeta sbatte continuamente sotto il muso di questo Dio in cui s’imbatte (…”abbiamo la consistenza lieve delle foglie”…), inoltre sottolinea l’enorme distanza che lo separa da Lui (…”con te Signore è tutto così spaventosamente grande”….) ; ma soprattutto
ribadisce l’orgoglio di essere uomo, consapevole dei limiti e delle debolezze che questa condizione comporta; ma per nulla intimorito dal suo Dio, quasi in un senso di sfida, come a dire: "se mi vuoi, mi devi accettare così come sono!" (“…guardami, io so amare come un uomo…). E’ tenerissima poi la strofa finale :”…ti aspetto qui, Signore, quando ti va, alla stazione di Zima”. Dopo aver dato la sua disponibilità a ripetere l’incontro con Dio; fa sorridere, infatti, la pretesa di aspettarsi da Dio le successive mosse. Trovo geniale un tipo di preghiera così schietta e diretta, come ci rivolgesse ad un amico e, in fondo, Dio è nostro amico e nostra madre che ascolta i nostri sfoghi e sopporta anche se lo trattiamo male; ma è sempre disposto poi ad incontrarci sulla strada del perdono. Sono certo che ora Dio fa periodiche tappe nella stazione di Zimà.
Buona lettura e buon ascolto!
Cordialmente
maestrocastello.



lunedì 19 ottobre 2009

Chi ha paura dei sentimenti?


Chi ha paura delle emozioni vive veramente? O piuttosto, chi ha una visione ragionieristica della vita, chi si fa troppi calcoli, si pone dei limiti che già sono insiti nella vita stessa e pensa solo realisticamente; non manca forse d’ambizioni e di fantasia? Una volta le nonne dicevano ai nipoti: prima o poi dovrai mettere la testa a posto!”, ma qual è il posto giusto dove la testa deve stare? Sarebbe come educare i figli all’idea che chi ama deve porre dei limiti al proprio affetto. In amore non si calcola il desiderio, non si contano i baci, non si misurano gli abbracci; perché si cerca l’altro e non se stessi nell’altro: amare non è ricerca di uguaglianze, ma bisogno di diversità. Qualcuno di voi si ricorda di quando si è lasciato soggiogare dai suoi ragionamenti e stava quasi rimanendo imprigionato nei calcoli che si era fatto…vittima delle proprie paure….; ma quando poi ha deciso di ascoltare l’amore che aveva dentro… ha mandato tutto all’aria e non gli è fregato niente di tutte le paure del mondo, di ciò che non comprendeva e gli sembrava assurdo.. Anzi, proprio allora, proprio nell’istante in cui si è arreso, ha capito che aveva vinto.
Chi ama, ama! scrive Erich Fried, grande poeta austriaco, nella mirabile poesia “Quel che è”, proprio a proposito del sentimento dell’amore.

E' assurdo
dice la ragione
E’ quel che è
dice l'amore
E' infelicità
dice il calcolo
Non è altro che dolore
dice la paura
E' vano
dice il giudizio
E' quel che è
dice l'amore
E' ridicolo
dice l'orgoglio
E' avventato
dice la prudenza
E' impossibile
dice l'esperienza
E' quel che è
dice l'amore
(Erich Fried)

E nel passo di un’altra poesia, sempre Fried aggiunge:
" Oh l'amore è cosa tortuosa,
nessuno è sufficientemente saggio
da scoprire tutto ciò che racchiude,
altrimenti penserebbe all'amore
fino a quando le stelle non siano fuggite
e le ombre non abbiano divorato la luna" (Erich Fried).

Buona vita!
maestrocastello

giovedì 15 ottobre 2009

C'era una volta......un amico.


C’era una volta un orso che non voleva amici perché si sentiva più libero. Egli amava passare le giornate in solitudine. L’orso, si sa, adora il miele e un giorno di primavera vide un alveare e decise di avvicinarsi per fare provviste. L’orso era sicuro che non ci fossero api; ma quando aveva assaggiato appena un po’ di miele un esercito di api iniziò a rincorrerlo. Chi lo poteva aiutare se non aveva amici? Eppure in suo aiuto venne uno scoiattolo che dal suo albero aveva visto la scena. Questo gentile animaletto colse una margherita che velocemente posò vicino all’alveare. Le api attirate dal polline corsero tutte verso quel fiore e l’orso fu salvo. I due animali corsero nel bosco e si divertirono come matti. Da quel giorno l’orso comprese che non si sarebbe più annoiato, perché aveva trovato un amico sincero. Già, l’amicizia! Da più parti si lamenta che tanti valori siano ormai scomparsi; ma credo che il valore dell’amicizia, vecchio come il mondo, sia destinato a non raggiungere mai il pensionamento. Ma quale significato diamo alla parola “amico”? Seneca, filosofo e drammaturgo latino, in una lettera che scrive a Lucilio tratta dell’amicizia in modo circostanziato. L’amico, a mio avviso, deve possedere delle peculiarità assolute, il rapporto che si instaura con lui deve essere esclusivo e non è possibile instaurare con tutti quelli che si conoscono, altrimenti la parola “amico” perderebbe il suo significato più profondo. Le parole di Seneca sono inequivocabili: avere tanti amici può valere a non averne nessuno. Di amico vero, si intende. Proprio l’esiguità del numero li rende più preziosi ed unici, il resto sono solo conoscenze. Si dice che “l’amico si vede nel momento del bisogno”, ma attenti a non intessere un’amicizia solo perché potremmo poi trovare una eventuale spalla su cui andare a piangere o, peggio ancora, per scambiarci favori personali. Seneca dice che le amicizie nate solo per interesse sono destinate a perire prima o poi! La complicità deve caratterizzare una coppia di veri amici, così come caratterizza una coppia di innamorati; non per niente l’amore fu definito una folle amicizia, bella e assoluta. Non è retorico dire che l’amico è qualcuno che ti aiuta senza chiedere nulla in cambio e il suo sorriso è capace di illuminarti la giornata. Per un amico faresti anche a botte, come dice Morandi e solo a lui sei capace di dire quello che diresti solo a te stesso; perché sai che lui è pronto a consigliarti per il meglio, rispettando le tue scelte che magari non condivide. “Chi trova un amico trova un tesoro. Ma state molto attenti ai detti popolari....! Infatti state a sentire quanto dice Rex Akragas : “Chi trova un amico trova un tesoro. Chi trova un tesoro trova tanti amici. E fin qui niente da dire. Ma se tanti amici trovano un tesoro... beh il continuo leggetelo sulla cronaca di domani.”
Buona vita!
maestrocastello

giovedì 8 ottobre 2009

Crescere… crescere…. Crescere….




Mi è capitato ultimamente di ritornare nel luogo che mi ha visto, per oltre un trentennio, educare diverse generazioni di fanciulli e rivedere quelle classi gremite di uomini e donne in erba mi ha scatenato mille riflessioni che quando ero in piena attività non avevo proprio tempo di considerare. Guardo quei fanciulli di prima elementare e ripenso a quante classi di prima mi sono state affidate in tutti questi anni e a quante energie ho profuso per favorire, nel migliore dei modi, la loro crescita fisica, affettiva ed intellettuale. Quelle classi le ripenso come tanti vagoni di un treno che, magari faticosamente, sono poi tutte giunte, in successione, alla stazione centrale. Oggi mi capita di incontrare, di persona o magari sul web, quei fanciulli di una volta che sono divenuti padri e madri di famiglia, affermati professionisti o semplici operai ed il pensiero di aver contribuito a gettare le basi alle loro giovani vite, mentre mi riempie di orgoglio; mi fa sorgere il desiderio di porre loro certe domande come: cosa significa diventare grandi? Cosa li ha aiutati a crescere? Se pensano di essere arrivati, oppure manca ancora qualcosa alla loro crescita completa.
Certamente mi risponderebbero che diventare grandi significa affrontare la realtà in modo consapevole, responsabile ed autonomo. Significa anche perdere le illusioni nelle quali si erano cullati da piccoli… che il mondo non è tutto e sempre bello e roseo; ci sono le difficoltà e i momenti duri da affrontare e superare e sono proprio quelli che poi ti aiutano a “crescere”, a conoscere sempre meglio te stesso e la realtà che ti circonda. Che diventare grandi significa anche molte altre cose:
come mettere insieme un bagaglio di esperienze e conoscenze, attraverso l’impegno e la volontà, le gioie e i dolori, le soddisfazioni e le delusioni, le vittorie e le sconfitte. Significa acquisire quella capacità di essere indipendenti, di essere autonomi, di farsi delle opinioni, di operare delle scelte, di assumersi delle responsabilità; ma anche di porsi degli obiettivi che giustifichino le nostre azioni, stabilire dei valori sui quali fondare la nostra esistenza Mi direbbero anche che non esiste una singola esperienza che ci fa crescere, ci sono tante cose, tanti avvenimenti esteriori e non che hanno contribuito alla loro crescita: la famiglia, qualche amico giusto, un amore, dei dispiaceri, la nascita di un figlio che non ti fa dormire di notte, ma ti dà tanta felicità durante il giorno. Non nascondo che sarei lusingato se qualcuno menzionasse anche il maestro delle elementari come artefice della propria crescita, Sicuramente sarebbero tutti concordi che non si smette mai di crescere, con le sollecitazioni che danno le moderne tecnologie e con la vita media che si va allungando sempre più siamo tutti in fase di crescita permanente.
Cordialmente maestrocastello!