sabato 30 gennaio 2010

Quando vi dicono: "Abbiamo fatto un sondaggio", state attenti che vi stanno ingannando!




“ … me spiego: da li conti che se fanno
Secondo le statistiche d’adesso
risulta che te tocca un pollo all’anno;
e, se non c’entra nelle spese tue
t’entra ne la statistica lo stesso
perché c’è un antro che ne magna due.”
(Trilussa “La statistica”)
Il ragionamento affrontato nel sonetto è molto semplice: c’è un uomo che mangia due polli ed un altro che non ne mangia affatto. Morale: per la statistica ne hanno mangiato in media uno a testa! Come è possibile? Vi chiederete; eppure è stata semplicemente fatta la media : 2 (i polli) : 2 (gli intervistati) = 1 e tutto torna, come vedete! Secondo le statistiche di oggi “l'Italiano medio ha un testicolo, una tetta e meno di due gambe”. Nella vita reale “non c’è alcun uomo medio” come afferma Aldous Huxley. Allora la statistica è tutto un imbroglio, un pasticcio e serve a dimostrare tutto ed il contrario di tutto? In effetti i versi del sonetto servono a metterci in guardia da valutazioni ottimistiche troppo affrettate. La statistica è un ottimo strumento di studio che, negli ultimi cento anni, ha riguardato tutti i campi dello scibile, ottenendo successi riconosciuti universalmente. L’uso corretto di questo strumento può aiutare a conoscere un fenomeno, dandoci preziosi suggerimenti sui lati oscuri che si nascondono dietro alle cose. Nel mondo della comunicazione la statistica è ormai dilagante: non c’è una trasmissione televisiva che non proponga sondaggi e grafici statistici; ma attenti che molte delle statistiche che ci vengono presentate non sono affatto disinteressate. Attraverso le statistiche i politici vogliono promuovere l’azione del loro governo o fare il contrario, quando sono all’opposizione; mentre le imprese cercano di venderci prodotti. Capita pure il sondaggio che tradisce lo stesso che l’ha commissionato: abbiamo tutti presente la scena del giornalista Fede che brindava al sondaggio che lo dava vincente , salvo riporre i bicchieri poco più tardi! Le fonti distorte possono far deviare il sondaggio in questa o quella direzione e non sempre è facile scoprire il trucco. In questi ultimi anni si è radicata, nel nostro Paese, la cattiva abitudine di gestire il consenso politico esclusivamente coi sondaggi. E’ un po’ come farsi fare l’oroscopo ogni mattina. Ma chi li controlla poi tutti questi sondaggi? Il giornalista e sociologo statunitense Darrell Huff ha scritto un capolavoro dal titolo: “Mentire con le statistiche” che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo, (ora presente anche in Italia), in cui svela tutti i trucchetti usati per menare per il naso la gente con le statistiche. Ecco alcuni consigli : è sano dubitare dei numeri; non fidarsi è meglio; dare sempre un’altra occhiata; facciamoci queste domande: Chi lo dice? Come fa a saperlo? A chi è stato chiesto? E’ credibile? Ecc… Ora concediamoci qualche risata: Un uomo sta per andare sotto i ferri. E' particolarmente terrorizzato: "Non si deve preoccupare" dice il chirurgo. "Ma so che il mio è un intervento difficilissimo" risponde il paziente. "Si', è un intervento che riesce una volta su cento". "Ma come fa ad essere sicuro che sopravviverò?". "Perchè questo mese ne ho già operati 99 e sono morti tutti...". Prendiamola a ridere e... soprattutto ricordate che “se torturate i numeri abbastanza a lungo, alla fine confesseranno qualsiasi cosa”, parola di Gregg Easterbrook!

Buona vita!
Maestrocastello.

giovedì 28 gennaio 2010

fugit tempus!


(di Anonimo)

Per scoprire il valore di un anno, chiedilo a uno
studente che e' stato bocciato all'esame finale.

Per scoprire il valore di un mese, chiedilo a una
madre che ha messo al mondo un bambino troppo presto.

Per scoprire il valore di una settimana, chiedilo
all'editore di una rivista settimanale.

Per scoprire il valore di un'ora, chiedila agli
innamorati che stanno aspettando di vedersi.

Per scoprire il valore di un minuto, chiedilo a
qualcuno che ha appena perso il treno, il bus o l'aereo.

Per scoprire il valore di un secondo, chiedilo a
qualcuno che è sopravvissuto a un incidente.

Per scoprire il valore di un millisecondo, chiedilo
ad un atleta che alle Olimpiadi ha vinto la medaglia d'argento.

Il tempo non aspetta nessuno.

Raccogli ogni momento che ti rimane,
perché ha un grande valore.
Condividilo con una persona speciale,
e diventerà ancora più importante.

(traduzioni dall’inglese di G.Carro)



Più di un saggio si è soffermato a osservare e a riflettere sul tempo. Hanno parlato intere generazioni di pensatori del suo aspetto effimero, della sua concretezza oppure della sua illusione. Virgilio col “Fugit tempus” ci ricorda che il tempo fugge irrevocabilmente verso una strada di non ritorno. Se solo pensiamo che proprio questo attimo in cui stiamo parlando di Virgilio, fra un altro attimo apparterrà irrimediabilmente al passato. Allora non è forse utile conservare il tempo come la cosa più preziosa, come il dono più grande che Dio ha donato ad un uomo che vive? C’è scritto nell’Ecclesiastico: “Pensate che il tempo passato già scorso non è più vostro; il futuro non istà in vostro potere: solo il tempo presente avete per far bene”. Eppure si passa la vita a rimpiangere ciò che è avuto fretta di perdere, e, non avendo imparato nulla dal passato, noi non cessiamo di sperare che l’avvenire ricominci; magari per sprecare l’ulteriore dote di tempo che è stato destinato a ciascuno. Disse S. Bernardino da Siena che “tanto vale un momento di tempo, quanto vale Dio”. Da piccoli si ha fretta di diventare degli uomini , trascurando il pensiero che l’infanzia andrebbe spiluccata acino per acino per quanto è bella e che è un tempo beato che sarà di conforto alla nostra vita da adulti. Da grandi, c’è chi addirittura si annoia; oppure, al contrario, c’è chi considera il tempo una misura, un processo legato alla produzione, al consumo, allo scambio economico e fa suo il motto di Franklin che “il tempo è denaro”. Solo se pensiamo al tempo come “vita”, come quotidiano rapporto con gli altri, come occasione imperdibile di crescita; realizzeremo che siamo in possesso di un’enorme ricchezza, di qualcosa di molto importante che non ha nulla a che vedere con l’interesse economico. La coscienza della morte non ci deve spaventare, ma darci la percezione del limite del tempo che sta per scadere e… nel frattempo, dobbiamo essere ben consapevoli che la vera ricchezza non scaturisce dal nostro conto in banca, ma dalla nostra creatività, dalla nostra immaginazione e dai nostri sogni che abbiamo sviluppato, appunto, nel tempo!

Buona vita!
maestrocastello

lunedì 25 gennaio 2010

Son morto ch'ero bambino...




Sessantacinque anni fa, il 27 gennaio del ’45 venivano aperti i cancelli di Auschwitz. Le immagini che apparvero agli occhi dei soldati sovietici che liberarono il campo di concentramento sono impresse nella nostra memoria collettiva (R. Gattegna). I crimini efferati che furono commessi ai danni degli ebrei ed altre categorie di oppressi sono crimini contro l’umanità tutta che si domanda ancora come tutto ciò sia potuto accadere. Notizie sulle deportazioni le abbiamo apprese a scuola ed è stato riduttivo esaurire così dolorosi avvenimenti in una paginetta del libro di storia, da dimenticare, magari, alla fine degli anni di scuola . Ancora sono in vita quei pochi scampati alla morte dei lager che possono riferire fatti terribili, causati dall’odio di razza. E quando non saranno più in vita? Qualcuno si ricorderà ancora che uomini di questo pianeta abbiano potuto scadere così in basso da calpestare la dignità di altri uomini, riducendo i loro corpi in sapone o addirittura in pantofole? Avere un giorno della memoria è un modo certamente utile; ma attenti a non scadere in retorica! Bisogna favorire una riflessione vivace nei ragazzi, per rendere forse il servizio migliore a questo giorno che, per essere vissuto nel modo più autentico deve fornire alle nuove generazione gli strumenti, anche pratici, per riflettere su cosa l’umanità è stata in grado di fare, perché non accada mai più. Va, inoltre, ricordato che “lager” è termine che significa “sterminio” e abbiamo il dovere di accomunarlo ad altri similari come “gulag” e “foibe”che sono legati ai massacri di massa, dovuti a motivi di etnia, di credo politico o religioso e calpestano tutti la dignità delle persone. Nessuno ha il diritto, per fini politici, di appropriarsi di questo o quel fatto di umano dolore; è come se tanta povera gente fosse morta per nulla. Le aberrazioni del nazismo non sono diverse dalle atrocità del comunismo o dello stupido nazionalismo, è sempre “la banalità del male” che guida la mente di chi non pensa, chi non riflette, chi non ha idee proprie, chi non dà valore e giudizio alle loro azioni e alle loro conseguenze; come suggerisce il filosofo Aannah Arendt. Purtroppo anche oggi sorgono nuove tendenze razziste che ci devono far riflettere. La nostra ragione deve spingerci a rifiutare ogni forma di razzismo, perché esso non possa impadronirsi di un intero popolo e portare a un'altra tragedia. Bisogna fare in modo di evitare che nuovamente l'uomo ricada negli stessi crudeli errori del passato. Viviamo nel nostro presente, mantenendo sempre vivo il ricordo di ciò che è accaduto perché esso ci permetta di vivere una vita migliore, da persone capaci di apprezzare in se stessi e negli altri ogni minima cosa.Dobbiamo far tesoro degli errori degli altri, per evitare di ripeterli noi, anche in forma minore.

venerdì 22 gennaio 2010

Basta soltanto un sms per aiutare Haiti?



("La Stampa" del 15/01/2010)
Scossa di coscienza
Sconvolto dagli effetti apocalittici del terremoto di Haiti, sono andato in cerca di informazioni per scoprire com'era la vita nell'isola, fino all'altro ieri. Ho appreso che l'ottanta per cento degli haitiani vive (viveva) con meno di un dollaro al giorno. Che il novanta per cento abita (abitava) in baracche senza acqua potabile né elettricità. Che l'aspettativa di vita è (era) di 50 anni. Che un bambino su tre non raggiunge (raggiungeva) i 5 anni. E che, degli altri due, uno ha (aveva) la certezza pressoché assoluta di essere venduto come schiavo.
Se questa è (era) la vita, mi chiedo se sia poi tanto peggio la morte. Ma soprattutto mi chiedo perché la loro morte mi sconvolga tanto, mentre della loro vita non mi è mai importato un granché. So bene che non possiamo dilaniarci per tutto il dolore del mondo e che persino i santi sono costretti a selezionare i loro slanci di compassione. Eppure non posso fare a meno di riflettere sull'incongruenza di una situazione che - complice la potenza evocativa delle immagini - mi induce a piangere per un bambino sepolto sotto i detriti, senza pensare che si tratta dello stesso bambino affamato che aveva trascorso le ultime settimane a morire a rate su quella stessa strada. Così mi viene il sospetto che a straziarmi il cuore non sia la sofferenza degli haitiani, che esisteva già prima, ma il timore che una catastrofe del genere possa un giorno colpire anche qui. Non la solidarietà rispetto alle condizioni allucinanti del loro vivere, ma la paura che possa toccare anche a me il loro morire
( Massimo Gramellini).
Ho voluto riportare integralmente l’articolo sul terremoto di Haiti del bravo giornalista Gramellini, apparso sul giornale “La Stampa” del 15 gennaio 2010, perché mi sembra che dipinga bene una situazione così tragica che pone interrogativi alle nostre coscienze ed è un valido spunto per considerazioni aggiuntive. Noi italiani possiamo farci un’idea della portata devastante del sisma haitiano che ha prodotto quasi 130.000 vittime accertate, se lo confrontiamo con quello aquilano che di vitttime ne ha seminate 308; eppure ha apportato tanto dolore alla nostra gente. Mi si stringe il cuore nel vedere le quotidiane scene di povera gente che si litiga un pezzo di pane, dando l’assalto ai mezzi di soccorso internazionale. Le scene che ci arrivano danno l’idea di una disorganizzazione generale: sessantamila cadaveri ancora da identificare, quasi duemilioni di bambini rimasti abbandonati ed è subito partita la corsa all’adozione di un piccolo haitiano. E se i genitori fossero ancora in vita, come accaduto, realmente, per i fatti dello tsunami thailandese? E poi, visto che sono state necessarie tante mutilazioni di arti, accetterebbero anche un bimbo mutilato di un braccio o una gamba queste coppie in cerca di figli? Un altro pericolo è il traffico di bambini: sembra che proprio in questi giorni siano scomparsi decine di questi piccoli da un ospedale!Che dire poi dell’esodo in massa dei media di mezzo mondo, con destinazione Haiti? Certo, i mezzi di informazione ci danno informazioni precise sull’esatta portata dei fatti, ma aggiungono problema a problema, mettendo a dura prova una situazione già tanto fragile. Secondo New Republic trasportare e mantenere le centinaia di giornalisti che sono ad Haiti in questo momento “non è un gioco che costa poco”. “La Cnn e la Cbs hanno cinquanta inviati sul posto in queste ore, Fox venticinque. E ogni rete televisiva che si rispetti ha un numero simile di persone impiegate a seguire questa storia. I quotidiani sono più parchi, per esempio il New York Times e il Washington Post hanno dieci giornalisti. Vista la situazione drammatica del paese è difficile credere che la presenza così massiccia della stampa non stia ritardando l’arrivo degli aiuti e degli operatori umanitari. C’è scarsità di alloggi ad Haiti, ma anche scarsità di alimenti e di acqua. Tutti questi giornalisti finiscono per sottrarre risorse ai sopravvissuti del terremoto”. Infine, per la serie: “Poveri che aiutano i poveri”, mi piace sottolineare la notizia apparsa sul “Corriere Della Sera” che il Senegal non se la cava inviando automezzi di viveri, ma offre la terra agli Haitiani per il ritorno nella loro patria d’origine: l’Africa!
Buona vita!
Maestrocastello.

giovedì 21 gennaio 2010

Lezione di scienza.


I nostri ricordi scolastici legati a questa particolare disciplina, la scienza, non sono gli stessi che abbiamo covato per la matematica. Anche qui, è vero, si faticava a ricordare formule difficili da metabolizzare ed erano spesso finalizzate ad un’interrogazione per mantenere la media del trimestre; ma chi può dimenticare le lezioni di laboratorio che si svolgevano una volta a settimana? Per i più erano due ore di autentica ricreazione( spesso si consumavano scherzi tremendi, quando restavamo al buio per qualche particolare esperimento), altri mostravano un moderato interesse e solo per i “secchioni” rappresentavano due ore di autentica lezione. Per me rimanevano, comunque, le ultime due ore di fila che appesantivano ogni santo venerdì. Solo più tardi avrei compreso l’importanza di questa disciplina per la formazione del pensiero, la validità dei suoi metodi per arrivare ad ogni conoscenza certa. In tutte le culture la scienza è un’alleanza di spiriti liberi che si ribellano contro la tirannide locale che ogni cultura impone ai propri figli e la storia testimonia quanto la ricerca scientifica abbia faticato a guadagnare spazi di libertà contro ogni ideologia politica e religiosa. Abbiamo esempi di scienziati ribelli, perseguitati dal potere politico-religioso di ogni tempo: da Giordano Bruno a Galilei nel Cinquecento e Seicento, da Franklin a Priestley nel Settecento, alle prime generazioni di scienziati giapponesi nell’Ottocento; fino ai più recenti Einstein, Davis e Sakharov del Novecento. Proprio in questa settimana sto leggendo “Lo scienziato come ribelle” di Freeman Dyson. Dyson è un fisico anglo-americano, quasi novantenne che, benchè pacifista, durante la seconda guerra mondiale, lavorò come scenziato civile per l’aviazione inglese e fu l’esperienza che forse lo segnò di più, portando sotto il faro della sua coscienza una serie di conflitti di difficile soluzione. Dyson comprese l’importanza di quella indipendenza o autonomia degli scienziati, di quel loro ribellismo o insofferenza ad ogni vincolo che sono la condizione essenziale per potersi dedicare interamente al loro compito. Il libro ci induce ad alcune riflessioni di non secondaria importanza: mentre dobbiamo adoperarci per assicurare alla ricerca un libero campo di azione, il più ampio possibile; dobbiamo pure ricordare che “non tutto quello che la la scienza può fare è lecito fare…. L’utilizzo delle scoperte scientifiche deve essere controllato, ma non impedito” (Rita Levi-Montalcini). Nell’Ottocento Nobel era tormentato dal pensiero che le sue invenzioni avrebbero potuto essere usate in guerra, per seminare morte; invece di essere adoperate solo per facilitare il lavoro dell’uomo nelle cave, nelle miniere, per scavare gallerie ferroviarie o per rimuovere frane. Aveva tutte le ragioni di temere; infatti, poi sappiamo quante morti ha procurato l’utilizzo, in guerra, della dinamite. Con l’avvento dell’atomica abbiamo poi appurato quanto pericolo rappresenti per l’uomo la scienza al servizio di questo o quel potere politico. Le recenti scoperte in campo biologico e in particolare in quello dell’ingegneria genetica, mentre da un lato ci evidenziano l’enorme potere che l’uomo ha acquisito sulle specie viventi, compresa la specie umana; pongono l’esigenza di forme di controllo che pongano le nuove conoscenze al rispetto delle regole dell’etica.
“L’utilizzo della scienza deve essere controllato, non impedito”. (Levi-Montalcini).
Parola di Nobel!

lunedì 18 gennaio 2010

Lezione di vita 2



In tempi antichi un re fece collocare una pietra enorme in mezzo ad una strada. Quindi, nascondendosi, rimase ad osservare per vedere se qualcuno si prendeva la briga di togliere la grande roccia in mezzo alla strada. Alcuni mercanti ed altri sudditi molto ricchi passarono da lì e si limitarono a girare attorno alla pietra. Alcuni persino protestarono contro il re dicendo che non manteneva le strade pulite, ma nessuno di loro provò a muovere la pietra da lì.
Ad un certo punto passò un campagnolo con un grande carico di verdure sulle spalle; avvicinandosi all'immensa roccia poggiò il carico al lato della strada tentando di rimuovere la roccia. Dopo molta fatica e sudore riuscì finalmente a muovere la pietra spostandola al bordo della strada. Tornò indietro a prendere il suo carico e notò che c'era una piccola borsa nel luogo in cui prima stava la pietra.
La borsa conteneva molte monete d'oro e una lettera scritta dal re che diceva che quell'oro era per la persona che avesse rimosso la pietra dalla strada.
Il campagnolo imparò quello che molti di noi neanche comprendono:
"Tutti gli ostacoli sono un'opportunità per migliorare la nostra condizione".
(da Mik - Rflessioni).


San Francesco diceva: ” Se puoi cambiare le cose, a che serve lamentarsi, agisci! Se non puoi cambiare le cose, a che serve lamentarsi, accettale!“. Di lamentele è pieno il mondo e tanti si lamentano perché hanno poca fiducia nelle loro potenzialità e credono di essere poveri. Dice il saggio che “ nessuno è tanto povero da non aver nulla da dare”: sarebbe come se i ruscelli di montagna dicessero di non avere nulla da dare al mare perché non sono fiumi”. Dà quello che hai: per qualcuno può essere più di quanto tu creda. L’importante è dare! Ciascuno di noi, anche il più insignificante, può essere la scintilla che scatena un fuoco gigantesco. Il segreto, come scrive il giornalista Gramellini su “La Stampa” è forse che la felicità non sta nel paesaggio (amore, lavoro, bella vita etc...); ma negli occhiali con cui si sceglie di guardarlo. E allora perché non cambiare montatura? Spesso gli ostacoli della vita non sono accidenti negativi che si frappongono sul nostro tragitto; ma autentiche opportunità per migliorare la nostra condizione; tutto sta nell’approfittare di queste opportunità. In fondo al tunnel ci aspetta sempre la luce!
Buona vita!
maestrocastello

mercoledì 13 gennaio 2010

Lezione di vita





Un giorno un grande maestro Zen chiamò tutti i suoi allievi e senza dire loro niente prese un grosso vaso per la maionese e lo riempi di rocce di 5/6 cm di diametro. Quindi egli chiese agli allievi se il vaso fosse pieno, ed essi annuirono. Allora prese una scatola di sassolini, e li versò nel vaso di maionese, scotendolo appena. I sassolini, ovviamente, rotolarono negli spazi vuoti fra le rocce. Il professore quindi chiese ancora se il vaso ora fosse pieno, ed essi furono d’accordo. Gli allievi cominciarono a ridere, quando il maestro prese una scatola di sabbia e la versò nel vaso. La sabbia riempì ogni spazio vuoto. “Ora” , disse il maestro “voglio che voi riconosciate che questa è la vostra vita. Le rocce sono le cose importanti - la famiglia, le persone che si amano, la salute, i figli - anche se ogni altra cosa dovesse mancare e solo queste rimanere, la vostra vita sarebbe comunque piena. I sassolini sono le altre cose che contano, come il lavoro, la casa, l’auto. La sabbia rappresenta qualsiasi altra cosa, le piccole cose. Se voi riempite il vaso prima con la sabbia, non ci sarà più spazio per rocce e sassolini. Lo stesso e per la vostra vita; se voi spendete tutto il vostro tempo ed energie per le piccole cose, non avrete mai spazio per le cose veramente importanti".
(da "il senso della vita").

Diceva Jonathan Swift che la nostra vita è una lunga strada che porta dall’ignoranza alla saggezza e la saggezza non si compera, ma la si impara, non per mezzo del cervello; ma con il cuore. Quante volte siamo tentati di riempire di banalità quel vaso di maionese, precludendo il posto alle tante cose importanti della vita? Pensiamoci bene prima di accingerci ad un’operazione di questo tipo, impegnando magari il pensiero verso le sole cose che ci procurano piacere immediato. Questo piacere che brucia le tappe non è solitamente duraturo, gli obiettivi a lungo termine, è vero, prevedono anche esperienze dolorose che bisogna imparare a fronteggiare e superare; se vogliamo risultare i vincitori finali. Quando sembra che ci manchi tutto ed il mondo ci crolli addosso, pensiamo se quello che ci manca sono i sassi grandi o solo sabbia finissima e cioè le piccole cose di cui possiamo anche fare a meno. Valutiamo bene la nostra vita. Stabiliamo dove siamo e di cosa abbiamo bisogno per essere il tipo di persona che vogliamo essere. Stabiliamo degli obiettivi entusiasmanti, nobili e retti, accendiamo l’immaginazione ed emozionamo il nostro cuore. Poi teniamo lo sguardo fisso su di loro. Lavoriamo costantemente per raggiungerli e li raggiungeremo! Procediamo certamente con cervello, ma teniamo costantemente una mano sul nostro cuore!

venerdì 8 gennaio 2010

Odio la matematica! (prima parte)


Siamo stati tutti studenti e ciascuno di noi ha avuto predilezione per questa o quella disciplina d’insegnamento, ciò dovuto alla propria predisposizione naturale ed anche alle capacità dell’insegnante di riferimento ed al suo metodo d’insegnamento. Non è un segreto che la matematica, da sempre, risulti la materia più odiata dagli studenti. Vi siete mai chiesti il perché? Eppure non sapete quanta parte della nostra vita occupa la matematica e quanto siano importanti i numeri per il nostro mondo e per la formazione di un pensiero logico compiuto. Pensate al rapporto di ciascuno di voi con questo insegnamento che io sto già pensando al mio. Alle elementari il tormentone delle tabelline che proprio non volevano entrare tutte in testa: “sei per otto quarantotto, che bell’asino cotto”… che noia! Poi passavi ai problemi, sempre col contadino che portava uova a vendere al mercato e la mamma che comperava di tutto e tu eri nell’indecisione se a risolverlo ci volesse il più, il meno ; piuttosto che il diviso. E le figure degli insegnanti succedutisi negli anni? Da paura! In prima media avevo per docente un tizio con un occhio di vetro, nascosto dietro ad occhiali che erano fondi di bottiglia: mai un sorriso, mai una parola benevola e faceva sempre la media esatta delle votazioni. Alle superiori c’era don Peppe che chiamavamo “ l’untore”, non perché cospargesse la peste di Milano ; ma perché aveva l’abitudine di divorar panini, nascosto da un giornale quotidiano; mentre noi svolgevamo i compiti assegnati. Quando era l’ora di correggere gli elaborati aveva le mani tutte unte e lasciava puntualmente le sue impronte digitali sul foglio commerciale. Era uno spasso quando chiamava a correggere il malcapitato di turno: questi si sforzava a restar serio, mentre tutti gli altri eravamo sotto il banco a sbellicarci dalle risate! “Colpito!” era la frase di questi, quando ritornava al posto. Erano i tempi del ginnasio, dove la materia risultava secondaria a latino, greco ed italiano; almeno ci si divertiva! Allora mandavo tutto a memoria e con la piena sufficienza me la cavavo. La matematica? Non mi piaceva affatto! Che barba i teoremi! CVD…CDD (come volevasi dimostrare o come dovevasi dimostrare)…sigle che odiavo! Erano quelli i tempi di una didattica di stile formalistico- descritttivo della matematica e la gran parte degli allievi che formava rimanevano di frequente assai lontani dalla piena comprensione dei concetti di questa disciplina, anche se diversi di loro riuscivano a raggiungere un sufficiente addestramento nell'uso del simbolismo e nella relativa applicazione in alcune tecniche operative. Era facile che nell'insegnante si formasse l'illusione che gli allievi fossero riusciti ad elaborare un determinato concetto, anche se poi, in effetti, molti non l'avevano compreso affatto. Mai pensavo che diversi anni dopo mi sarei trovato dall’altra parte della barricata, proprio ad impartire lezioni dell’odiata matematica.
Buona vita!
Maestrocastello.

martedì 5 gennaio 2010

La Befana di noi grandi.


La Befana è la figura mitica, per eccellenza, della nostra tradizione popolare che gratifica la fantasia infantile. Questo personaggio, frutto di pura fantasia popolare, anche se affonda le radici nel paganesimo, oggi personifica la festività dell’Epifania che, in ambito cristiano, ci ricorda l’omaggio di doni che i Re Magi fecero a Gesù Bambino. E’ risaputo che sia festa per bambini, ma quanti adulti non ambirebbero a trovare, in una calza ideale, la soluzione a tanti problemi quotidiani? Non è un caso che proprio la sera della Befana si estraggano i numeri della lotteria nazionale che premia qualcuno che magari si scorda di ritirare il premio e illude tanti sognatori. Avete fatto caso che in questo periodo di crisi generale siano incrementati i partecipanti ai giochi di fortuna: superenalotti milionari, gratta e vinci, pacchi alla televisione, riffe perfino dalla parruchiera; insomma ognuno si illude di poter svoltare con una sola botta di…. fortuna! Mi chiedo: “ma stiamo proprio così male?” Ci lamentiamo per qualsiasi cosa che non abbiamo : amori, soldi, opportunità, felicità ecc…; ma ci sono ancora persone che sanno apprezzare le cose che già possiedono? Ho letto da qualche parte e presto memorizzato questa frase di saggezza :“Mi sentivo triste perché ero senza scarpe, finché un giorno ho incontrato per la strada uno che era senza piedi”. Verità terrificante che ci dovrebbe far tenere stretti i tesori che la vita ci ha donato e lavorarci sopra, in direzione di noi stessi e anche di chi ci sta intorno. Capiremmo una buona volta che la felicità non va confusa col sentimento di soddisfazione del piacere che è sempre legato al denaro e siccome è improbabile arricchirsi con l’onesto lavoro; ognuno pensa che non potrà mai essere felice. Un cardiochirurgo umbro che ha vissuto la malattia anche dall’altra parte, prima della sua scomparsa, ha scritto di come la malattia gli abbia permesso di apprezzare la gioia delle piccole cose: "La vita è calore ed io, oggi, assaporo ogni cosa, che sia un raggio di sole, un colore, un cibo, delle acque calde, un sorriso o il conforto di un abbraccio(...)"
Le definisce sensazioni intense:"Apprezzare e godere di un tramonto, dei colori del Tevere sotto casa in autunno o la spiaggia di Fano deserta e battuta dal vento e dalle onde".
L'autore riferisce di aver provato nuove sensazioni e di aver vissuto nuove emozioni, di aver passato giornate incantevoli grazie a una nuova consapevolezza che gli ha consentito di capire quali siano i veri valori della vita.
Che dire allora? La befana per noi grandi sia, domani, vedere la gioia sul volto dei nostri bimbi mentre scavano regali dalla calza appesa al caminetto.
Buona vita!
Maestrocastello.

domenica 3 gennaio 2010

Capire il punto di vista dei bambini.


E’ opinione comune che insegnare a dei bambini sia un fatto abbastanza semplice. Che più si assotttiglia l’età degli adolescenti, più sia facilitato il compito di trasmettere il sapere. Nulla di più sbagliato! Quando ho cominciato questo difficile mestiere pensavo anch’io la stessa cosa, poi ho dovuto fare i conti con una realtà ben diversa. Avevo l’idea che far ripetere concetti, alla lunga venissero assimilati; proprio come avevano fatto con me. Che servisse a qualcosa far eseguire centinaia di esercizi dello stesso tipo o mandare a memoria date ed avvenimenti della storia o imparare poesie “a pappagallo”, senza poi capirne il senso. Questa era la scuola che ho frequentato io, dove si imparava a far le aste, si apprendevano un mucchio di nozioni di cui non capivi il significato e nessuno mai ti spiegava veramente ad usar la “a” con l’acca e la “e” quando va accentata! Con la pratica del mestiere mi sono accorto, ad esempio, della difficoltà che hanno i bambini a passare dal concreto all’astratto; di quanto bisogna lavorare per fa acquisire loro gli automatismi giusti perché si formi un pensiero autonomo, capace di creare un collegamento con la memoria in una situazione definita non abituale. Per capire bambini tra i 7 e 10 anni è necessario conoscere alcuni concetti sulle capacità e differenze di soggetti così giovani e a nulla serve solo tener presenti i livelli cognitivi di Piaget che hai studiato o altri modelli di riferimento, se non riesci poi ad immedesimarti nei ragazzi ed a capirli bene. Lo scolaro ha piena comprensione non delle conoscenze che gli vengono impartite a voce o apprese dai libri; ma di quelle che ha lui stesso conquistato, attraverso una ricerca personale in cui egli sia in grado di esplicare liberamente la sua attività creativa. Basilare poi è il linguaggio usato che deve essere semplice, comprensibile e coinvolgente. Quanti di noi non si sono trascinati, negli anni, dubbi sul significato di certi termini e non avevano il coraggio di domandare spiegazione all’insegnante, per evitare brutte figure. Personalmente, ho avuto dubbi su termini come “ennesimo”, “omonimo”, “il sottoscritto”, “il prossimo tuo” e tanti ancora che ho chiarito solo quando ero più grande. Bisogna essere coinvolgenti e prevenire dubbi nei più timidi, escogitando magari qualche stratagemma, del tipo: “lo sapevate che il vostro maestro, da balmino, era molto timido?” eccetera, eccetera. Evitare assolutamente le ambivalenze. Sarà capitato che ad una domanda dell’insegnante avevate dato la risposta giusta e lui si sia comportato, di proposito, da “mossa errata” e vi abbia chiesto serio: “sei proprio sicuro?” e voi vi siete sentiti morire? Queste ambivalenze sono mortali per i più piccoli, perché non sono in grado di genstirle e perché, in quella fascia di età, hanno bisogno solo di certezze. E che fare se un bambino ha un processo di apprendimento più lento rispetto agli altril’? Lo buttiamo a mare? Purtroppo l’insegnamento tradizionale tendeva ad imporre a tutti gli alunni uno stesso ritmo nell’apprendere e spesso non teneva conto delle leggi psicologiche che governano i meccanismi individuali dei processi di formazione dei concetti… oggi sta al bravo insegnante capire questi meccanismi e rispettare i tempi di ciascuno.
Pensate ancora che sia così facile insegnare ai più piccini?
Buona vita!
Maestrocastello.

venerdì 1 gennaio 2010

“Dacci oggi il nostro pane quotidiano….”















Tra botti, lenticchie ed auguri messaggiati anche questo capodanno l’abbiamo archiviato in tutta fretta e mi accingo a far ordine in una cucina che un tempo pareva un campo dopo la battaglia ed ora rimpiange tutti i soldati delle guerre andate. Ripongo in macchina lavastoviglie ogni genere di stoviglie da lavare, preservo in frigo una pila di lenticchie e cotechino ancora intatta e metto "in quarantena" avanzi chilometrici di pane…..già il pane! E mentre lo ripongo in busta ermetica rifletto a quanto ne ho comprato. Poteva sfamare, forse, un reggimento e invece serviva a me solo che oggi non lo mangia più nessuno! E mentre metto via le buste ripenso alle nottate che faceva mensilmente mamma, quando si faceva il pane dentro ogni casa. Allora si mangiava solo pane. Mentre mamma apparecchiava la farina sopra un apposito pianale che chiamavamo “tumpagno”, un bambino a caso (io!) partiva alla volta della casa della comare di turno a chiedere in prestito “lu criscente” (lievito che veniva prestato dalle donne del paese e poi restituito fresco). Così mamma intraprendeva l’opera dell’impasto ad un’ora impossibile del giorno e se, per caso, capitava un ospite, era usanza farsi il segno della croce all’entrata di casa nostra, quando si faceva il pane. Il grosso impasto restava per ore a lievitare, avvolto da coperte. La stessa croce veniva impressa sulla pasta fresca di ogni pagnotta depositata in grosse teglie circolari. Il cerimoniale che più mi affascinava era il viaggio di tutte le pagnotte verso il forno “a paglia”. Ne esistevano diversi e servivano tutte le case del paese che portavano a cuocere oltre al pane, anche pastarelle e teglie (ruoti) di patate che nascondevano coniglio o selvaggina varia. Il pane, allora, era fatto soltanto di farina e durava una mesata, senza particolari accorgimenti; mentre ora diventa presto gomma. Quando era vecchio, di quel pane duro si facevano gustosi “pancotti”, adagiati in letti di verdure lesse ed ossi di prosciutto. Allora il pane era l’elemento essenziale della nostra dieta, era considerato un alimento “sacro”; tant’è che quando si era costretti a gettarne via un pezzo andato a male, prima lo si portava alla bocca per un bacio sacro. “Dacci oggi il nostro pane quotidiano..”. Ancora oggi, prima di scartarne un pezzo, esamino tutte le possibilità: lo bagno e lo consumo con un goccio d’olio e un pizzico di sale, lo riservo per l’uso di cucina o lo affido agli uccellinni. Male che vada, gli stampo ancora un bacio e, prima di buttarlo, mi dico sempre: “domani, comprane di meno!”
Buona vita!
maestrocastello