mercoledì 31 marzo 2010

Una tazza di tè.

Un maestro Zen ricevette una volta un illustre professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen. Il maestro servì il tè. Colmò la tazza del suo ospite e poi continuò imperterrito a versare. Il professore guardò traboccare il tè e, non riuscendo più a trattenersi, esclamò risoluto: “E’ Ricolma! Non ce n’entra Più!” “Come questa tazza”, disse allora il maestro, “tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?”.

Riflessioni……

I presuntuosi, dopo gli ipocriti, sono mal sopportati dalla gente. Eppure quante persone incontriamo nella vita o vediamo semplicemente in televisione, sia essi politici o gente dello spettacolo, che dicono di sapere tutto, che amano ascoltarsi, che ti danno le ricette sul come vivere, che pensano di suscitare ammirazione e ci lasciano invece totalmente indifferenti. Una persona virtuosa lascia che siano gli altri a scoprirne tutto il valore. Eppoi, chi di noi sa abbastanza da ritenersi sapiente! Socrate che era un vero sapiente sosteneva la tesi della “docta ignorantia” ; infatti, di fronte alla vastità dello scibile umano si sentiva smarrito, tanto da dire: “so di non sapere”. La presunzione fa nascere l'invidia, l'arroganza, il disprezzo, l'indifferenza e talvolta induce a commettere abusi e violenze nei confronti degli altri. Prendete i dittatori della storia, vittime della loro presunzione di onnipotenza ; che fine hanno fatto? Suicidi, finiti in solitudine o morti appesi nelle piazze. Una brutta cosa la presunzione che consiglierebbe, ogni tanto, un bel bagno di umiltà per vivere meglio la nostra vita. Alessandro Manzoni diceva una grande verità: “Tanto grande è un uomo, quanto più sa farsi piccolo” e non stiamo certo parlando della statura fisica!
Buona vita!
Maestrocastello.

giovedì 25 marzo 2010

La difficile scommessa.

Viviamo in una società nella quale è bravo chi ha fatto i soldi, ha successo chi sa attrarre l’attenzione degli altri. Magari c’è chi pensa: beato lui che è diventato ricco, che ha fatto carriera, eccetera. Questi sono gli pseudovalori su cui si giudica. Ho paura che la gente non si scandalizzi. Se uno non vive come crede finisce col credere come vive. Vivere i propri ideali fa paura. Non è facile incamminarsi sulla strada dei valori, nasce un inevitabile conflitto quando ci si accorge che nella vita esiste anche il mondo degli ideali: desiderio di sperare, paura di illudersi; desiderio di fidarsi, paura di rimanere delusi; desiderio di crescere, paura di soffrire. Ci vuole del coraggio ad intraprendere il viaggio verso quel luogo dove finalmente "possiamo stare bene". Vivere è una semplice parola di sei lettere e significa lottare per i propri sogni, per i propri edeali. Qualcuno potrebbe obiettare che non si avvereranno mai! Poco importa se almeno hai tentato. La vita è una lotteria, una difficile scommessa, un continuo tendere verso, un provarci , un tentativo di giocarti le tue chances per non avere mai rimorsi. La vita è fatta anche di percorsi dolorosi, di difficili scelte che determinano ciò che sei oggi e che sarai domani. E stai sicuro che da qualche parte sorgerà sempre un arcobaleno. Gli ideali non invecchiano mai e non passano mai di moda, esistono sempre nei cuori e nelle storie di chi li ha vissuti. Vivere i tuoi ideali ti fa stare meglio, perché non devi fingere o accettare compromessi. Sii te stesso e stai certo che stai lavorando per cambiare il mondo. Non ti devi arrendere se ti prodighi per la giustizia e ti accorgi che giustizia al mondo non esiste. I filosofi erano arrivati alla conclusione che “La giustizia non è giusta” (Louis). Allora che facciamo, smettiamo di lottare ed iniziamo la ricreazione? La nozione di giustizia deve essere radicata negli ideali e nel nostro stile di vita. Non dico di arrivare ai discorsi estremi, solo Socrate fu capace di sacrificare la sua vita per gli ideali; mentre noi dobbiamo assumere i nostri ideali come il navigatore ideale che ci guida in un mondo sempre più invaso di pseudo-valori.
Buona vita!
Maestrocastello

(nella foto: morte di Socrate)

martedì 23 marzo 2010

Mele marce.


Quando facevo l’insegnante sentivo dire spesso che la società è in continuo cambiamento e la scuola che ne è la più importante agenzia educativa deve essere la sua ombra nel rinnovamento, se vuole stare sempre al passo col ritmo dei giovani che educa. Questo stesso concetto l’ho sempre abbinato anche alla Chiesa. Va bene l’aver abolito il latino nelle funzioni religiose, dando così modo a tanta gente di capire finalmente ciò che viene detto sull’altare. Nei miei ricordi di ragazzo che serviva messa ci sono pezzi comici di gente contadina che spesso ci s’addormentava, un po’ per la stanchezza e un po’ per tutto quel latino che si accompagnava alle cantilene del prete officiante. La Chiesa ha fatto pochi cambiamenti, rimanendo arroccata ai suoi principi senza tempo ed intanto le vocazioni si son ridotte al lumicino e vediamo sempre più spesso preti di colore sugli altari e tante chiese dove si celebra solo nei festivi. La colpa viene data alla società ed al suo materialismo. Se solo la Chiesa si aprisse alla società, invece di tentare di imporle le sue regole; se abbandonasse quella omertà e quella chiusura che le impediscono di accettare critiche da chi la pensa in modo differente! La gente non ne può più di ascoltare prediche su presrizioni che loro stessi non rispettano. Il Vangelo è il più straordinario compendio di politica, di filosofia, di sociologia e quant’altro ancora che insegna fratellanza, umiltà e uguaglianza di fronte a Dio; dovremmo dargli spesso una scorsa e mettere in pratica quanto insegna, invece solo di pontificare. Cristo ha predicato perdono e pentimento e questo vale anche per i discendenti degli apostoli. Prendete la questione dei casi di pedofilia tra religiosi che era un argomento già saputo e risaputo. Joseph Ratzinger, quando era Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, in una lettera solenne a tutti i vescovi, indicò che i casi di abusi sessuali erano da considerarsi secretum pontificium, cioè questione interna alla Chiesa. Sempre il cardinale Ratzinger sosteneva che la stampa americana, parlando degli abusi di prelati americani, volesse screditare la Chiesa e che, in fondo, i casi degli abusi erano tra l’1% ed il 6%, come se bisognasse considerare del tutto ovvio che debbano esistere preti pedofili, magari in percentuale tollerabile. Poiché le vie del Signore sono davvero infinite, adesso il Papa ha cambiato idea e sabato 19 marzo del duemiladieci ha inviato una lettera di “vergogna e rimorso” ai fedeli irlandesi, ricordando gli ammonimenti del Vangelo e chiedendo perdono alle vittime degli abusi. Chi è cattolico veramente si sarà sentito finalmente liberato dall’angoscioso atteggiamento di chiusura ed immobilismo della Chiesa. Il Papa ha espresso il desiderio di voler promuovere in tutte le parrocchie irlandesi delle iniziative volte ''alla guarigione e al rinnovamento''. Mi chiedo: di pedofilia si può veramente guarire? La pedofilia è un fenomeno estremamente complesso, è frutto di repressione sessuale prolungata, mancanza di maturità sessuale che fissa lo stato evolutivo ad uno stadio preadolescenziale (lo conferma l’età giovane delle vittime compresa da 8 a 12 anni), fa leva sul potere dell’adulto e sulla superiorità fisica e psicologica(non è un caso che le vittime sono dello stesso sesso del violentatore); è significativo, infine, che il pedofilo non prende precauzioni per nascondere i propri perversi comportamenti e preferisce contare sull’omertà delle piccole vittime che esercitare la violenza in luoghi protetti o lontano dal proprio ambiente. Non serve strillare quando sono scappati i buoi, piuttosto operare a monte: le mele marce vanno tolte subito dal cesto. L’atto di pedofilia è un gravissimo reato che va sempre segnalato alla giustizia e non coperto col silenzio. Non serve insabbiare, perchè le cose prima o poi si risanno e si rischiano campagne denigratorie a cui assistiamo in questi giorni. Non basta trasferire di sede il religioso, perché sicuramente agirà in altro luogo. Che senso ha difendere la vita quando è un feto e poi lasciarla calpestare ad otto anni? Forse sarebbe il caso di mettere in conto che anche il prete è un uomo con naturali pulsioni anche sessuali e che non tutti sono in grado di reprimerle senza conseguenze negative. A proposito, che ne pensate di quella canzone di Lucio Dalla che dice “anche i preti potranno sposare, ma soltanto a una certa età”? State tranquilli! Lo sapete quando avverrà tutto questo? Ma nell’anno che verrà! Cioè, mai!

lunedì 22 marzo 2010

Alla ricerca della felicità.


La scorsa settimana hanno riprogrammato un film che rivedo sempre volentieri: “The pursuit of Happyness” (la ricerca della felicità), interpretato dal bravo Wil Smith e da suo figlio Jaden.” Il film vuole fornire un ideale spaccato della società americana nella quale il successo personale è visto come il traguardo più importante da raggiungere nel corso della propria vita a costo di saper sacrificare a questo tutto: famiglia, amici, ideali, ecc”(Wikipedia). L’aspirazione alla felicità, a mio avviso, rimane spesso semplicemente un’idea; anche se compare come uno dei tre diritti inalienabili dell’uomo in molte costituzioni moderne: la tutela della vita, della libertà e, appunto, la ricerca della felicità. Questa ricerca che gli illuministi vedevano in una dimensione storica dell’uomo: il passato carico di barbarie e oscurantismo cederà il passo ad un futuro di progresso, capace di rimuovere ostacoli e sofferenze umane; non mi sembra che abbia portato a rendere l’uomo più felice. Più che affannarci, ciascuno, a ricercare la propria felicità; sembra piuttosto che concorriamo, tutti, a fare la felicità di pochi manovratori e capipopolo che se ne sbattono dei diritti inalienabili che restano, invece, tranquillamente solo sulla carta. Il saggio prelato, inventato da Fellini in “Otto e mezzo”, dice al giovane regista in cerca di se stesso: ”Figliolo, chi ti ha detto che hai diritto ad essere felice?”. Sembra proprio che lo dica a ciascuno di noi. Questa società che premia solo le eccellenze ci farà giocare tutti in quarta serie! Se la felicità si gioca solo in base al rapporto con ricchezza, aspetto fisico e potere; ci sentiremo dire spesso: “Le faremo sapere, arrivederci!”. La ricerca è faticosa da conquistare in una società piena di molteplici paletti. Si può essere felici quando sono limitate le libertà della persona? Se c’è penuria di posti di lavoro? Se non arrivi alla terza settimana? Se prima di accertare una malattia, fai prima a recarti al cimitero? Puoi essere felice se, dopo una vita di lavoro, sai già che finirai dimenticato in un ospizio fuori mano? Dice, hai sempre il telecomando e sei libero di scegliere. “Tra che?”. Abbiamo tre cellulari a testa, due macchine e la pancia piena; ma ci manca il tempo! Allora siamo felici? Forse la felicità è, in fondo, un’utopia e dovremmo rivedere il vero significato di questo termine.. La definizione che mi piace di più è di Paul Léautaud: “ Felicità è camminare dietro un vecchio cane mangiando ciliegie”.
Buona vita!
maestrocastello

domenica 21 marzo 2010

L'arte di guardare verso l’alto.


Mi è capitato, ultimamente, di ammirare i quadri architettonici di Marco Petrus, uno degli esponenti di maggior rilievo del rinnovamento pittorico italiano di quest’ultimo ventennio. Ho notato che la peculiarità della sua arte è disegnare città fatte di palazzi ridotti all’essenziale che guardano tutti verso l’alto. Non si vedono strade, non si vedono auto, non si vedono uomini gravati dai problemi di ogni giorno; ma solo questi enormi scheletri di cemento protesi verso il cielo. Qual è il vantaggio di guardare verso l’alto? I Magi, guardando verso l'alto, scoprirono la stella. Che cosa può significare per noi fare altrettanto? Non chiuderci nel basso profilo degli interessi di parte o di partito. Nel basso c’è la quotidianità dei nostri egoismi in lotta tra di loro, dove prevale sempre la furbizia; in alto, invece, risiedono le nostre aspirazioni più profonde, quelle che ci elevano e ci danno la forza di campare. A pensarci bene,però, un palazzone senza vita mette un pò tristezza; che non si può prescindere da chi ci vive intorno. L’arte è una lettura fantasiosa del reale e poi c’è la dura realtà di tutti i giorni, quella che si combatte proprio nelle strade che mancano nelle opere di Petrus. Allora, dobbiamo guardare verso l’alto per ricercare la spinta utile a migliorare la vita che affrontiamo in basso. Ci sono tante cose buone da fare, tanti valori da far emergere, tante iniziative da incoraggiare, tanta pigrizia e affanno da debellare. Quando riusciremo a far tacere i nostri egoismi, allora contribuiremo efficacemente a rendere più umane quelle persone che non vengono volutamente disegnate dal pittore Petrus.
Buona vita!
maestrocastello.

venerdì 19 marzo 2010

Tanti modi per ricordare la festa del papà.


- Da tanti anni non ci sei più ed ogni volta che torna questa festa; immancabilmente il mio pensiero vola in direzione di te, papà, e trasferisco al tuo indirizzo tutte le affettuosità che vengono rivolte a me, perché ti ritengo il vero papà di tutti noi.
- Caro papà mi ricordo ancora quando mi portasti in giro vestita da fatina e dicevi orgoglioso a tutti quelli che ti chiedevano: “Ma chi è questa bimba?” :
” E’ la mia fidanzata!”. Eri proprio fantastico!
- Il papà è il mio piu grande amico, quello che mi consola quando ho bisogno, quello che mi capisce solo con uno sguardo, ma soprattutto è il mio papà....e non lo cambierei per nulla al mondo.....
- Caro papà, l’immagine buffa di te che proprio non dimenticherò mai è quando eravamo bambine e ti spiavamo mentre nascondevi nell’armadio i nostri regali, un mese prima di Natale, e facevi spesso dei disastri!
- Caro papà, più che un padre tu sei stato, per me, un amico; ma ti ringrazio perché, mentre ti comportavi proprio da amico; ti sei sempre preoccupato a non farmi scordare ch’eri soprattutto mio padre.
- Mi piace ricordare quando, papà era giovane e noi bambine, ci portava per negozi e alla domanda : ”quanti anni hanno le tue figlie?”, ci chiedeva sottovoce: “ bambine, che classe fate?”. Era un vero disastro, ma gli volevamo bene.
- Caro papà che non ho mai conosciuto, ti ho amato come se ti avessi avuto veramente, ho condiviso con te molta mia vita ; anche se solo col pensiero. Ancora adesso usciamo spesso insieme, in serate fresche di primavera, e mi piace quando tu mi dai il braccio e quando mi parli sottovoce.
- Caro papà Donato, ad aprile prossimo avresti avuto poco più di novant’anni. Quella fredda notte di novembre togliesti il disturbo all’improvviso, lasciandomi in uno stato di profonda prostrazione. Forse ci siamo scoperti troppo tardi ed avrei voluto, per me, più occasioni per inorgoglirti della mia strada fatta, grazie anche ai tuoi insegnamenti. I morti ci mancano, è vero, soprattutto per ciò che non ci siamo detto in vita, ma l’esempio della tua persona semplice, trasparente e sempre gaia; sta indirizzando le nostre vite, niente male. Mi piace ricordarti con una nazionale spenta in bocca, quando tentavi di versarti del vino da una bottiglia ancora chiusa; oppure quando rientravo alle tre di notte e tu, fingendo indifferenza, mi chiedevi: “che ore sono?” ed avresti voluto dirmi invece: ”Ti sembra questa l’ora di rientrare?” Per tutto questo e tanto altro ancora, ti dico :”Auguri, papà e …Grazie!”

mercoledì 17 marzo 2010

"Una maglia rotta nella rete."


Istanti
Se io potessi vivere un'altra volta la mia vita
nella prossima cercherei di fare più errori
non cercherei di essere tanto perfetto,
mi negherei di più,
sarei meno serio di quanto sono stato,
difatti prenderei pochissime cose sul serio.
Sarei meno igienico,
correrei più rischi,
farei più viaggi,
guarderei più tramonti,
salirei più montagne,
nuoterei più fiumi,
andrei in posti dove mai sono andato,
mangerei più gelati e meno fave,
avrei più problemi reali e meno immaginari.
Io sono stato una di quelle persone che ha vissuto sensatamente
e precisamente ogni minuto della sua vita;
certo che ho avuto momenti di gioia
ma se potessi tornare indietro cercherei di avere soltanto buoni momenti.
Nel caso non lo sappiate, di quello è fatta la vita,
solo di momenti, non ti perdere l'oggi.
Io ero uno di quelli che mai andava in nessun posto senza un termometro,
una borsa d'acqua calda, un ombrello e un paracadute;
se potessi vivere di nuovo comincerei ad andare scalzo all'inizio della primavera
e continuerei così fino alla fine dell'autunno.
Farei più giri nella carrozzella,
guarderei più albe e giocherei di più con i bambini,
se avessi un'altra volta la vita davanti.
Ma guardate, ho 85 anni e so che sto morendo.
(Jorge Luis Borges )
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Questa poesia che molti attribuiscono al grande poeta e scrittore argentino Borges ed altri si divertono a smentire sul web, perché sarebbe di altri; ci offre, comunque, lo spunto per qualche riflessione sul grande scenario che noi chiamiamo vita. Quando vieni al mondo, ti ci vuole un po’ a capire dove sei capitato veramente. La sana incoscienza giovanile ti fa metabolizzare gli aspetti negativi come se appartenessero solo agli altri; finchè non ti va a capitare la morte di un amico, la malattia di un parente e allora cominci a capire che la vita non è proprio il mondo dei balocchi. La scuola sarebbe un’occasione per accendere la sete che ciascuno di noi ha di conoscenze; ma è disturbata dall’incalzante voglia di divertimento dell’adolescenza e, spesso, si studia ” tanto per ”…. Viaggiare è visto più come desiderio di conoscere coetanei, visite di negozi di tendenza che voglia di approfondire saperi appresi nelle aule scolastiche. Solo da grande provi gusto alla lettura, hai voglia di conoscere posti sperduti della terra e ti accorgi di non avere i mezzi e tantomeno tempo sufficiente. E più si srotola la vita e più ti accorgi di quante coincidenze stai perdendo. I poeti hanno spesso una concezione pessimistica della vita; basti pensare ad uno per tutti, il Leopardi. Eugenio Montale parla del “male di vivere” e dell’atteggiamento di distacco dignitoso dalla realtà che l’uomo assume di fronte allo scorrere vitale : essere come una statua, indifferente a tutto. Quando perdiamo occasioni e non viviamo, ci comportiamo anche noi come la statua. Questa indifferenza non è sempre concessa al poeta, il quale è, spesso, preso dalla nostalgia di un mondo diverso, dall'ansia di scoprire "una maglia rotta nella rete / che ci stringe", "lo sbaglio di natura", "che ci metta nel mezzo di una verità". Noi, proprio come fa il poeta, presi dalla nostalgia di un mondo diverso, dovremmo scoprire al più presto quella “maglia rotta nella rete” e vivere senza remore.
Buona vita!
Maestrocastello.

martedì 16 marzo 2010

La strada del buon samaritano è poco battuta.


Vi sarà capitato di incontrare i volontari del banco alimentare che, all’ingresso di un discount, vi consegnano una busta vuota per poi ricuperarla all’uscita, magari, colma di derrate alimentari per i bisognosi. Avendo frequentato a lungo le mense della scuola elementare ripenso a quanto spreco si fa di cibo che potrebbe essere recuperato a favore dei più sfortunati. L’ esperienza personale permette di capire cosa i bambini proprio non gradiscono: i cibi avanzati maggiormente sono i contorni (finocchi e cavolfiori gratinati e verdura cotta in generale), altro alimento non gradito è il pesce (al forno e sotto forma di polpette); avanzano minestre, pesce, frittate, la frutta avanza quasi tutta e quanto pane che non viene nemmeno sfiorato! Una partecipazione più attiva dell’insegnante potrebbe ridurre parte degli avanzi derivanti dal gusto e le famiglie andrebbero coinvolte ad incentivare il consumo di quegli alimenti difficili da far apprezzare da parte dei bambini. Che fine fa tutto il cibo avanzato giornalmente? Il cibo avanzato, corrispondente alla porzione non servita, può essere dato alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale ai sensi di quanto previsto con la Legge n° 155 del 2003, le cosiddetta “legge del buon Samaritano”, consentendo di utilizzare a fini umanitari le derrate alimentari ancora commestibili. Ma, spesso e per disorganizzazione, tutti gli avanzi finiscono in contenitori dei rifiuti e la filiera si interrompe; quando potrebbe ancora essere di grande utilità per altri. Questa legge che fu detta, non a caso, del buon Samaritano semplifica le responsabilità di percorso per le aziende donatrici e permette ad associazioni di volontariato, non lucrative e di utilità sociale, di ridistribuire le eccedenze di cibo alle persone bisognose. La legge esiste dal duemilatre, ma tanti o la ignorano o fanno finta di non saperne nulla, tutto a discapito dei meno fortunati. Pensate in una città come Roma quante realtà scolastiche, quante aziende, quanti ministeri che hanno mense a cui giornalmente avanza tanto di quel cibo. I supermercati gettano in media 170 tonnellate di cibo all'anno! Pensate, si tralascia di fare del bene a costo zero e solo per incuria! Dovremmo semplicemente avere il coraggio di vestire più spesso i panni del buon samaritano e battere la strada del Vangelo.
Buona vita!
Maestrocastello.

lunedì 15 marzo 2010

IL COLIBRI' E' UN POVERO ILLUSO!?


Nella grande foresta era scoppiato l'incendio più furioso e devastante che si fosse visto da generazioni.
Tutti gli animali erano scappati sulle rive del fiume e gridavano spaventati e si lamentavano: "Poveri noi, i nostri nidi distrutti, le nostre tane bruciate, la nostra erba... i nostri alberi... che disastro, che disastro!..."
Solo un colibrì non si era unito alla depressione generale.
Si era avvicinato all'acqua e aveva preso una goccia nel suo becco. Dopodiché era volato sul fuoco e aveva lasciato cadere la goccia.
Dopo il primo viaggio ne fece parecchi altri, finché qualcuno degli animali piangenti lo notò e gli urlò dietro: "Illuso! Che cosa credi di fare con le tue goccine d'acqua contro questa violenza?"
Il colibrì si fermò a mezz'aria e, a becco pieno, rispose: "Faccio quello che so e posso fare!".
(favola africana)
Tutti i mali che affliggono questo mondo sono come il devastante incendio della favola africana. In questi ultimi mesi ne ha conosciuti di incendi letali il nostro pianeta: dal terremoto ad Haiti, allo tsunami nel Pacifico; dai disastri ambientali nei nostri mari, alle morti per avvelenamento dell’aria che respiriamo ; dai milioni di morti per la scarsità di cibo ed acqua, alle morti per malattie sociali quali cancro e malattie sempre più rare. Di fronte a questi mali noi siamo piccoli proprio come il colibrì, coi nostri semplici messaggini telefonici, con le piccole donazioni e le varie forme di piccoli aiuti portiamo tante goccine per spegnere tutto quell’immane fuoco di disgrazie. Siamo forse dei poveri illusi? O, forse, non facciamo proprio quello che sappiamo e, nel nostro piccolo, possiamo fare? Benissimo, dico io; purchè lo facciamo! Dice un motto latino : “Parva favilla gran fiamma fecondi”; infatti dobbiamo tenere bene a mente che da una piccola scintilla, a volte, può nascere un grande incendio.
Buona vita!
Maestrocastello.

sabato 13 marzo 2010

L’aria della sera


Ryokan era un vecchio maestro Zen che non possedeva nulla. Una notte un ladro s’introdusse nella sua vecchia capanna ma non trovò nulla da rubare.
Ma Ryokan lo sorprese e gli disse: “Hai fatto tanta strada per venirmi a trovare, accetta almeno i miei vestiti”, e il ladro accettò la proposta. E mentre se la dava in lontananza a gambe levate, Ryokan uscì all’aperto con un’espressione beata e si sedette a guardare la Luna.
“Pover’uomo – pensò – avrei voluto potergli dare questa magnifica Luna.” Una polmonite lo rubò alla sua bella luna due giorni dopo.

riflessione..................

Chi pensa solamente a prendere non potrà mai cogliere la bellezza del donare e la felicità che si nasconde nel far felici gli altri. Dividere i dispiaceri li dimezza; ma dividere le gioie, le raddoppia. Ma se non abbiamo nulla cosa possiamo mai donare? Invece possiamo sempre donare qualcosa. Cedere il posto sull’autobus è donare, salutare la gente per strada è donare, regalare un semplice sorriso è donare ed, inoltre, rende felice il cuore e “arricchisce chi lo riceve, senza impoverire chi lo dona” (P. J. Faber). Dice K. Gibran che ci sono quelli che hanno molto e danno poco per averne riconoscenza; ma il loro è un dono corrotto. Ci sono, poi, coloro che hanno poco e donano tutto; questi sono sulla strada della santità. Noi che non siamo nè eroi,nè santi, mettiamoci fra quelli che hanno fede nella vita e nella sua generosità; il nostro forziere non sarà mai vuoto. Regaliamo agli altri ciò che il denaro non potrà comprare e facciamolo ora perchè ... “L’oggi è un presente, ecco perché si chiama presente”……

Buona vita!
maestrocastello.

mercoledì 10 marzo 2010

Se mi allontano due giorni.


Se mi allontano due giorni
i piccioni che beccano
sul davanzale
entrano in agitazione
secondo i loro obblighi corporativi.
Al mio ritorno l'ordine si rifà
con supplemento di briciole
e disappunto del merlo che fa la spola
tra il venerato dirimpettaio e me.
A COSI' POCO E' RIDOTTA LA MIA FAMIGLIA.
E c'è chi ne ha una o due, che spreco, ahimè!
(Eugenio Montale)
L’aria della poesia sa di solitudine e ti vien voglia di spalancare le finestre. Ma se pensiamo bene, la solitudine è un allontanarsi dagli altri, fino a ritrovar se stessi. Niente paura per gli altri che, poi, avranno un’attenzione doppia; l'importante che ci sia un ritorno anche per noi. La vita è l’arte dell’incontro “ scriveva Vinicius de Moraes; l’uomo è un animale sociale che trova la sua esplicazione ed esaltazione solo quando ha occasione di incontro con gli altri suoi simili; allora, perché la solitudine occupa tanta parte della nostra vita? La solitudine significa isolamento, mancanza di affetti e di sostegno concreto e psicologico, disadattamento, magari insufficiente acquisizione delle abilità sociali. La solitudine è una condizione inadatta all'uomo, che, come diceva Aristotele, è un "animale sociale". L'incapacità di stare almeno qualche ora della giornata da soli, la dipendenza dalla presenza degli altri, può essere la spia di qualche malessere interiore, di qualche inadeguatezza personale. Sono gli stessi psicologi, che sottolineano come l'acquisizione stessa della maturità psicologica, l'autorealizzazione personale, l'autenticità ci spingano con forza , in più di un'occasione nel corso dell'esistenza, a starcene, almeno per per qualche tempo, da soli. “ La solitudine fra noi / questo silenzio dentro me / è l'inquietudine di vivere…” cantava la Pausini; Molte attività umane che impegnano attivamente le nostre facoltà necessitano di solitudine. Lo studio, la riflessione, l'introspezione, la lettura vengono meglio se ci isoliamo da tutti gli altri. È una cosa bella? È brutta? Ma! Sicuramente è necessaria..
Della solitudine, dunque, non ne possiamo fare a meno. Credo che la solitudine assomigli un po’ alla pausa musicale che non è necessariamente assenza di musica, ma contribuisce a creare ritmo e musicalità. Viviamo in un mondo sovraffollato, le città sono caotiche, le strade ingombre d’auto, gli spazi vitali sempre più ristretti. Riusciamo a ritrovare una dimensione più “umana” quando troviamo un angolo verde e tranquillo, dove poter star da “soli”. Tutto ciò sembra un paradosso, ma ritroviamo noi stessi solo quando siamo soli. Probabilmente, la solitudine ci appartiene e ci protegge, come una seconda pelle. Pensiamo solo al fatto che già eravamo soli nel pancione della mamma e che la compagnia ce la siamo procurata dopo. Certamente la società in cui viviamo, non ci aiuta ad elaborare la solitudine, a farla diventare un elemento di forza. I grandi geni proprio nella solitudine hanno trovato l’estro per partorire i capolavori di ogni tempo. Gli orientali affermano che “dal fango può nascere un fior di loto”. Possiamo affermare che “dalla solitudine può nascere la creatività”; perciò la solitudine non va solo rifiutata, ma anche ricercata. Mi riferisco alla solitudine feconda quella che non si riduce in isolamento e che permette di realizzare dei veri incontri, primo fra tutti quello con se stessi.La solitudine è positiva quando è riflessione intensa e può divenir preghiera. Ma, nello stesso tempo,essa rappresenta un vero handicap per la qualità della vita, solo se l’individuo non sa gestirla e tende ad ingigantirne gli aspetti negativi, senza fruire di quelli positivi. Prima una persona deve riuscire a stare da sola, poi apprezzerà ancora meglio la compagnia degli altri. E per star bene da soli non c'è che un modo, amare ciò che si fa, penetrando dentro di esso e fondendosi con esso, fino a dimenticare tutto ciò che ci circonda. Ma esiste, e lo sappiamo bene, anche l’aspetto solamente negativo della solitudine; proprio in un’era che dei mezzi di comunicazione ne ha fatto un cavallo di battaglia. La verità è che ci siamo dotati di telefonini ultramoderni, ma non sappiamo più che dirci. La solitudine non risparmia proprio nessuno: le persone, prese dal pensiero di perdere il posto di lavoro, sono costrette in un silenzio forzato; le famiglie vivono sempre più isolate nel soggiogamento della televisione; i ragazzi si eclissano nel mondo dorato dei loro Walkman e non hanno più dialogo; per non parlare delle persone anziane, prigioniere di ricordi, in case anonime di città. L’abbandono non risparmia proprio nessuno e bisognerebbe aiutare gli altri ad investire bene la propria solitudine, a farla divenire un termine di valore positivo; fino a poter dire che si sta tanto bene con gli altri, quanto più si sta bene con se stessi!
Buona vita!
Maestrocastello.

(la foto ed alcuni spunti sono presi dal web).

lunedì 8 marzo 2010

otto marzo, è qui la festa?


E’ qui la festa? Certo! Siamo in piena celebrazione del popolo femminile ed io non potevo proprio mancare. Mi sono ridotto all’ultimo momento perché mi era presa voglia di un panino, mi ero allontanato dagli uffici preposti e …. sono stato temporaneamente escluso dal mio diritto.Ho dovuto presentar ricorso e mi trovo qui grazie ad un decreto interpretativo del governo che ha obbligato il TAR del web a restituirmi i diritti di pubblicare le mie esternazioni in tutta libertà ed eccomi qui (nonostante tutto!). Mi riallaccio scherzosamente agli ultimi controversi avvenimenti politici per dire la mia in questa giornata speciale per il mondo al femminile. Lo sapete già come la penso in proposito e aderisco volentieri a quei gruppi del web che sono contro le ipocrisie verso le donne che durano 364 giorni l’anno ed al 365 pretendono, magari con un fiore, una cenetta o un regalo ben studiato; di lavarsi la coscienza di tutto un anno di soprusi. Sono contro le quote rosa in ogni settore che vietano, di fatto, al mondo femminile di contare al di sopra della propria quota di rappresentanza. Cambierò idea quando vedrò un Presidente del Consiglio donna anche in Italia, un Capo dello Stato in gonnella anche da noi e mi fanno molta pena quella sfilza di ministre vestite tutte uguali che prendono ordini da un uomo basso, non solo di statura, e che si esprimono proprio come un uomo. La dimostrazione di quanto dico sta nel fatto che l’ultimo stupro verso due ragazze è stato perpetrato non più tardi di ieri sera nel gabinetto di un bar della provincia di Brescia. Care donne avete poco da festeggiare se non cambia la cultura maschilista di questo paese e di questo sporco mondo! Già in Italia passi avanti ne sono stati fatti in questi anni, ma bisogna fare attenzione alle presenze femminili di esclusiva rappresentanza. Penso al ritardo culturale che le donne patiscono nel resto del pianeta. In certe aree del Kenya, ad esempio, la raccolta dell’acqua è un’incombenza quotidiana che costringe le donne a percorrere 2-3 ore di cammino per raggiungere una fonte. Raccolta e trasporto dell’acqua sono mansioni tradizionalmente femminili che rubano il tempo ad altre attività, ad esempio alla scuola: le bambine sono discriminate rispetto ai bambini nell’accesso all’istruzione perché devono dedicare del tempo all’approvvigionamento dell’acqua. Per non parlare della condizione femminile nel mondo di incidenza mediorientale. Lo so che non possiamo risolvere tutti i problemi di questo mondo; ma intanto cominciamo dentro casa nostra ad insegnare il rispetto per la diversità di genere che ha esattamente tutti i diritti delle persone che ne fanno invece oggetto di soprusi.
Buon otto marzo a tutti!
Maestrocastello.

sabato 6 marzo 2010

Generale Antonio Cavalli: “Presente!”


Un aspetto positivo, nel passaggio al digitale, è poter recuperare tanti films del passato che vengono trasmessi nei vari canali aggiuntivi a quelli RAI tradizionali che è sempre un piacere rivedere. Tempo addietro è stata la volta de ”Il comandante”, interpretato da Totò nei panni del generale Antonio Cavalli. Quello che vediamo non è il solito Totò - Pulcinella, marionetta e attore comico, incomparabile nel suo genere esilarante; ma un Totò in una parte più amara che non comica. Il grande artista si cimenta in un film in chiave più crepuscolare che umoristica, senza quei lazzi spasssosi e quegli ammiccamenti buffoneschi che solitamente lo contraddistinguono. Il film è una finestra di amara riflessione dell’uomo che, arrivato al capolinea, si rende conto di essere uscito irreversibilmente dal gioco della vita. E’ un po’ la storia che ci riguarda tutti : oggi a comandare un plotone di soldati e domani non sei più nessuno! Già il pensionamento. Si rincorre una vita intera: sogni, progetti, ragionamenti di ogni sorta e quando arriva quel momento; ti accorgi quanto cambia radicalmente la tua vita. Di straordinaria intelligenza è la scena in cui l'autopompa comunale devia lo schizzo d'acqua al passaggio del generale e che lo investe con totale indifferenza nel momento in cui questi è diventato un semplice pensionato. In questo gesto minimo si concentra non solo il penoso cambiamento di "status" sociale del protagonista, ma anche tutta la cattiveria della società, che metabolizza i vecchi considerandoli delle scorie. Lui, abituato per una vita a comandare, ora non se lo fila più nessuno. Tenero ed umano è il rapporto con la moglie, capace di esprimere tutto l’amore, ma anche la lucida analisi sul marito che si avvia sulla strada di uno stato depressivo. L’illusione di aver trovato un nuovo lavoro, le varie umiliazioni: subire prepotenze al self-service, andare a comprare sigarette per il capufficio, scoprire che è la moglie a pagargli lo stipendio; lo portano a tentare il suicidio. La storia descrive bene la nostra società che costringe un individuo a lavorare fino a un passo dalla tomba e poi non lo considera più nulla e lo getta nella busta dei rifiuti, perché non più in grado di produrre! Stiamo parlando appena della mancanza di considerazione sociale per gli anziani, volendo omettere i problemi legati alla malattia invisibile che è la solitudine, all'assistenza sanitaria che zoppica o alla pretesa di farli campare con poco più di 500 euro al mese.
Attento, vecchio! Quando ti promuovono a generale sei fottuto, significa ch’è finita la carriera!
Buona vita.
maestrocastello

mercoledì 3 marzo 2010

"Il piccolo principe", mauale poetico di saggezza, di amicizia e di fantasia.


"Sei anni fa ebbi un incidente col mio aeroplano nel deserto del Sahara. Qualche cosa si era rotta nel motore, e siccome non avevo con me né un meccanico, né dei passeggeri, mi accinsi da solo a cercare di riparare il guasto. Era una questione di vita o di morte, perché avevo acqua da bere soltanto per una settimana... Potete immaginare i mio stupore di essere svegliato all'alba da una strana vocetta:
"Mi disegni, per favore, una pecora?"... E fu così che feci la conoscenza del piccolo principe.".
A cinquant'anni dalla pubblicazione negli Stati Uniti del libro, Il Piccolo Principe è divenuto un long seller internazionale, un testo-chiave di formazione. Antoine de Saint-Exupéry, il suo autore, era un aviatore e un umanista: adorava volare e s'interessava agli uomini. Qualche mese dopo l'apparizione del suo capolavoro, scomparve in aereo sul Mediterraneo. Ma la favola del ragazzino dai capelli d'oro continua. Questa prefazione é di Nico Orengo. Tutti i grandi sono stati bambini una volta - dice Saint-Exupèry - ma pochi di essi se ne ricordano.
Il libro è, in realtà, un racconto poetico che affronta temi come il senso della vita ed il significato dell’amore e dell’amicizia. Il fatto che sia stato tradotto in più di 180 lingue ed abbia venduto oltre 50 milioni di copie sta a significare pur qualcosa. Per me che l’ho conosciuto solo in età matura, rappresenta un volumetto di autentica saggezza. La massima che mi piace condividere con voi è questa: “L’essenziale è invisibile agli occhi”, come dice il bambino del racconto. Ecco perché a sei anni l’autore disegnava ciò che tutti vedevano come un semplice cappello;


mentre egli aveva inteso disegnare un serpente boa che aveva ingoiato un elefante intero ed ora lo stava digerendo.

Vaglielo a raccontare alla gente che non ha fantasia; essi continuavano a dire: Cappello, cappello!
E’ dietro le parole semplici che spesso si celano i pensieri più profondi. Un testo offerto come semplice strumento di lettura ai bambini delle elementari, sembra un trattato di filosofia, un testo sociologico, dove ogni frase è piena di significati profondi. Quando il principe invita l’aviatore a disegnare una pecora, poi non sembra mai contento: o la trova malaticcia, o la scambia per un ariete o la trova troppo vecchia; finchè l’aviatore entra in sintonia con lui e non tratteggia più alcuna pecora; ma solo una cassetta con tre buchi, dando questa spiegazione: “Questa è soltanto la sua cassetta, la pecora sta dentro”. “Questo è proprio quello che volevo” gli risponde il piccolo principe.

Vedete che a lasciare agli altri i loro spazi di libertà si indovina sempre. Solo la semplicità di un principe bambino, nella sua fresca ingenuità, riesce a cogliere la vera realtà di quel disegno, il suo significato percettivo; ma anche più profondo, reso possibile grazie alla genuina fantasia di un principe bambino. Dovremmo, ogni tanto, anche noi saper volare oltre l’ovvietà che ci circonda e concederci qualche spazio di fantasia.
Buona vita!
maestrocastello.

lunedì 1 marzo 2010

Cristo si è fermato a Rosarno.


“Sono passati molti anni, pieni di guerra, e di quello che si usa chiamare la Storia.” Così apre il capolavoro di Carlo Levi “Cristo si è fermato a Eboli”. L’autore che si trova lontano dalla sua terra e dai suoi contadini pensa alla promessa fatta loro e non ancora mantenuta di far ritorno a “quell’altro mondo, serrato nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato, eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto e dolcezza, dove il contadino vive nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte.” Così scriveva Levi ed era il 1945. Son passati tanti anni e quei contadini hanno, da tempo, passato il testimone ad altri che figurano ufficialmente come braccianti, con tanto di marchette, per un lavoro svolto in reltà da immigrati nordafricani, che raccolgono ortaggi tutto il santo giorno per pochi euro di salario e che si adattano a vivere come bestie in posti di fortuna Alla luce dei fatti calabresi di gennaio, mi verrebbe di modificare il titolo al libro di Levi “Cristo si è fermato a Rosarno”. Naturalmente Rosarno è stata solo la punta di un iceberg, perché i braccianti neri di Rosarno sono i parenti stretti delle migliaia di braccianti che vivono nelle stesse condizioni in Sicilia, nella Calabria settentrionale, in Basilicata, in Campania, in Puglia, in Molise ed anche al nord della penisola, sotto forma di bassa manovalanza. La forza lavoro di questi “nuovi schiavi” è ben accetta solo se invisibile, a patto di sparire quando non si ha più bisogno. Ci mangia sopra l’imprenditore, il caporale, il camorrista e perfino chi gli affitta una latrina come posto per dormire. Mi viene facile paragonare i contadini di Eboli ai nostri immigrati neri che proprio oggi, primo marzo, sono scesi in piazza per chiedere il rispetto dei diritti umani. Sentite come calza bene agli immigrati l’abito che Levi aveva confezionato per i suoi contadini “Noi non siamo cristiani – essi dicono – Cristo si è fermato a Eboli - . Cristiano vuol dire, nel loro linguaggio, uomo…. Noi non siamo cristiani, non siamo uomini, non siamo considerati come uomini, ma bestie, bestie da soma, e ancora meno che le bestie, i fruschi, i frusculicchi che vivono la loro libera vita diabolica e angelica, perché noi dobbiamo invece subire il mondo dei cristiani, che sono di là dall’orizzonte, e sopportarne il peso ed il confronto”. Faccio una naturale riflessione: se loro sono le bestie ed ancor meno; chi sono i cristiani o gli uomini in questione? Noi, forse? Se la smettessimo di vedere nemici dappertutto e pensassimo che si è sempre lo straniero di qualcuno; forse apriremmo uno spiraglio all’accoglienza e alla reale tolleranza.
Buona vita!
maestrocastello.