mercoledì 30 novembre 2011

Diversi si nasce, uguali si diventa.

Il palloncino nero.
Un bambino dalla pelle scura era incantato a guardare il venditore di palloncini alla fiera del villaggio. L'uomo era evidentemente un ottimo venditore, poiché lasciò andare un palloncino rosso che sali alto nel cielo, attirando così una folla di aspiranti piccoli clienti. Slegò poi un palloncino blu
 e subito dopo uno giallo e un altro bianco, che volarono sempre più in alto, finché scomparvero del tutto. Il bambino di colore continuava a fissare il palloncino nero, poi si fece coraggio e finalmente domandò: «Signore, se tu mandassi in aria un palloncino nero,  quello volerebbe in alto come gli altri?». Il venditore rivolse al bimbo un sorriso affettuoso, poi strappò il filo che teneva legato il palloncino e, mentre saliva in alto, spiegò: «Non è il colore che conta; é quello che c'è dentro che lo fa salire».

Per la riflessione : Oltre ad essere un ottimo venditore di palloncini, quel signore, era anche una persona piena di saggezza che non aveva un pensiero prevenuto verso la diversità, come capita, invece, a tanti di noi. Oggi siamo ancora in tanti  che pensiamo, purtroppo, che i palloncini neri non ce la possano fare a volare come gli altri. No, non è vero che la diversità viene accettata da tutti spontaneamente. Ci sono momenti in cui essa mette a dura prova i nostri nervi, ci sono frangenti in cui vorremmo annullarla, come d'incanto, per trovarci tutti d'accordo, con gli stessi gusti e gli stessi desideri..Tendenzialmente siamo portati all’omologazione, a valutare le persone esclusivamente per le somiglianze che hanno con noi e a rifuggire ogni diversità. La scoperta dell’altro, della diversità ci disorienta. Dalla percezione negativa dell’altro può scaturire la paura, l’intolleranza, l’indifferenza o addirittura il razzismo; una percezione positiva, invece, può suscitare un incontro nuovo, un cambiamento, una caduta di pregiudizi e un avvicinamento interpersonale. Spesso l’uomo moderno vede la diversità solo come una minaccia alle sue opinioni, alla propria personalità e non considera il valore della differenza di cui parlano già grandi filosofi del secolo scorso come Hegel ed Heidegger. Solo quando ci decideremo ad abbandonare il nostro pensiero prevenuto che ostacola l’emergere di una cultura dell’integrazione, riusciremo finalmente a considerare  il negretto, il disabile, il socialmente diverso, la donna, l’omosessuale e l’anziano come portatori di quella implicita diversità che costituisce il tratto della comune appartenenza al genere umano. Nel diverso impariamo a guardare la persona in tutta la sua dignità. Ricordiamoci che diversi si nasce e uguali si diventa, ma tutto dipende da noi!
Buona vita! 
maestrocastello  

sabato 26 novembre 2011

Il sapore del tuo passato.

Sant'Agata di Puglia, bella ed austera, è una scultura nel cielo.
A Sant’Agata ci arrivi dopo una strada tutta in salita, costeggiata da cespugli di more e piante d’ulivi secolari  che sono un po’ l’icona di questo paese. Il fascino del viaggio verso l’abitato è tutto una conquista, curva dopo curva, tra una vegetazione che si attraversa come la vita, luci ed ombre si susseguono e slarghi silenziosi si rivelano al tuo passaggio. Rincorrendo quelle giravolte a velocità contenuta, non puoi fare a meno di notare scorci di campagne in disuso, casette in pietra lasciate vuote in un panorama di silenzio; allora ti  viene voglia di far scorrere i vetri per assaporare meglio quell'aria di legna e di neve che ha il gusto del tuo passato. Un volo di uccelli e un altro ancora si materializzano e svaniscono come in sogno, in un cielo solcato da nuvole e prolungano l’attesa che la salita finisca e si materializzi finalmente lo scenario di mille casette addossate l’una sull’altra, a formare quel quadretto ideale che ogni emigrante si porta tatuato nella testa. Ancora qualche tornante ed ecco Sant’Agata di Puglia, splendida ed austera, un panorama di quelli belli a vedersi che le fotografie non riescono quasi mai a restituire nel loro fascino integrale. Sant’Agata “vive sola – dice il poeta - scolpita in cima a una montagna di pietra / E’ una scultura nel cielo / che al cielo volerebbe/se l’aria la sostenesse”. Ti specchi nelle prime facce che incontri dritte e ossute e cerchi di riconoscerti in quei tratti che ti appartengono per nascita, quindi accenni ad un sorriso alla vista di donne che avvolgono il capo in scialli di foggia antica. Le nuvole intanto sono sparite ed il sole è al centro del cielo come un uovo al tegamino. Quando scendi dall’auto, vedi una giovane che stende biancheria ad una finestra troppo bassa, un’altra ragazza che spazza davanti alla porta di casa e più in là un vecchio è seduto sull’uscio con lo sguardo perso, ha una mano penzoloni sulle ginocchia e nell’altra impugna una pipa che ogni tanto tira. Fissi tutti con la speranza di riconoscere volti a te noti, come del resto fanno loro che ti stanno studiando da un pezzo e si staranno chiedendo chi accidenti tu sia. T’inoltri in uno scenario struggente, dove tornare significa pensare, riflettere e riappropriarti dei tuoi passi di un tempo. Tra queste case dai muri sgretolati si diramano strade strette fatte di selcio antico ed un vero labirinto di scale che vanno in ogni direzione. Se pensi che questo acciottolato è stato il tuo laboratorio di vita quand'eri un bambino, tra corse a piedi scalzi, giochi con materiale di fortuna, schiamazzi, “faoni” alla vigilia di San Rocco, partite di calcio interminabili con palloni fatti di cenci arrotolati. Ora sembra un paese caduto in letargo, almeno per le strade mute che portano al castello imperiale. Il tuo passo impacciato su scalini sassosi rompe il silenzio ed accende la curiosità di una donna che sposta la tendina per vederti meglio. Fino ad un attimo prima, pensavi ci fosse il deserto; eppure tu sai bene che le persone, poche, ma ci sono. E' proprio vero chi i curiosi sono come gli acari, tu lo sai che si nascondono dentro il materasso, anche se non li vedi. Mentre avanzi, ti accorgi che molte delle case sono chiuse e si ravvivano soltanto d’estate. Noti le classiche bottiglie di plastica davanti alle porte: dicono che riescano a distogliere cani e gatti dal fare i bisogni sugli usci. Pare che questi animali si spaventino nel vedersi riflessi. La successiva svolta ti porta sulla piazzetta del Chiancato che conserva ancora intatto il fascino del vecchio fontanino, dispensatore idrico per chi non aveva ancora l’acqua in casa. “Un paese vuol dire non essere soli – dice il poeta – sapere che nella gente, che nelle piante, nella terra c’è qualche cosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Mentre procedi, ti convinci sempre più che quello che cerchi è soltanto di vedere quello che hai già visto. Forse un giorno tornerai stabilmente a saziarti del tuo paese natio, non come adesso che raccogli soltanto le briciole dei tuoi ricordi.
Buona vita!
maestrocastello


martedì 22 novembre 2011

Se ti scappa un bisogno!


Domenica sera ci trovavamo in casa di amici per una festa di compleanno e, al momento del buffet, apparecchiano un tavolo con ogni ben di Dio. Faccio per prendere un piatto di carta e noto su quel  tavolo una pila di banconote giganti da cento euro l’una. La nostra amica che s’accorge del mio stupore mi fa sorridendo: “Hai visto che originali questi tovaglioli? “. “Certo è una bella trovata,” dico io. E oggi  non mi va a capitare davanti agli occhi la foto che correda questo post, carta igienica fatta con l’effige dei soldi? - “Euroll, la carta igienica dei milionari, per sentirti ricco, ricchissimo….al momento del bisogno!” - I soldi! Un pensiero fisso, una fonte di stress e preoccupazioni infinite per molti. I soldi non sono mai abbastanza, quando non li hai passi tutto il tempo pensando a come procurarteli e una volta che ne sei in possesso, sei terrorizzato dall'idea di perderli o doverli spendere tutti. Non sarebbe  una cosa fantastica potersi liberare dalla loro schiavitù, averne così tanti da poterli usare anche per pulirti il fondoschiena, in un gesto catartico e liberatorio? Sembra una provocazione, ma sono anche queste le gioie della vita (direbbe qualche ingordo), io, invece, dico che sono queste le conseguenze a cui ci ha portato un’inflazione galoppante, per cui il valore delle correnti banconote valgono carta straccia. La moneta viene stampata per rispecchiare il livello produttivo del Paese. La Banca d’Italia è come se fosse una semplice tipografia. Essa  stampa moneta non più in base al valore del capitale reale (oro depositato) come avveniva un tempo; oggi il valore alle monete lo diamo noi. Le monete, così come i mercati ora si reggono sulla fiducia reciproca dei consumatori e dei cittadini che si convincono sull’idea che una banconota ha un determinato valore (quello scritto sulla carta). Voi capite che basandosi esclusivamente sulla fiducia, il denaro finisce per avere un valore fittizio. Una stessa quantità che oggi ti basta, domani è insufficiente. Il termine inflazione indica un generale e continuo aumento dei prezzi di beni e servizi che genera una diminuzione del potere d’acquisto del nostro salario, stipendio o pensione che sia. E’ proprio grazie a questo fenomeno che ti accorgi che prima mettevi venti euro nella tua utilitaria e circolavi per diversi giorni ed oggi ci fai il giro del palazzo; e se cerchi di mettere carburante con quegli stessi venti euro, il benzinaio come minimo ti guarda male. Il denaro, nel senso come lo intendiamo noi oggi, è un prodotto della modernità, un protagonista di primo piano sia dal punto di vista economico e politico che psicologico ed etico. Per alcuni assurge addirittura a valore e, in suo nome, spreca le energie di tutta una vita, non pensando a nient’altro. Ma non è stato sempre così. Nel Medio Evo c’era il baratto e il denaro non aveva alcuna importanza, anzi era considerato “lo sterco del diavolo” e la sua principale rappresentazione simbolica  era una borsa che, appesa al collo del ricco, lo trascinava all’inferno. Oggi siamo forse più interessati alla nostra carta di credito che a far valere le nostre convinzioni e i nostri ideali di un tempo hanno perso tutto il loro potere d’acquisto.
Buona vita!
maestrocastello

sabato 19 novembre 2011

Donne in rete.


Se la donna non ha credito quando è al volante, lo guadagna, invece, quando è al computer. E sì, sembrerebbe proprio che le donne al computer, o meglio in rete, risultino più prudenti degli uomini, secondo quanto emerge da una recente indagine sui comportamenti  on-line dei due sessi. Eppure fin dalle origini l’informatica è stato territorio prettamente maschile. Le informazioni che si ricavano dai testi di storia, corsi universitari e siti web di indirizzo storico sembrano essere tutti concordi: l’informatica ed il computer sono stati pensati, progettati e realizzati e fatti progredire solo da uomini. Eppure le donne hanno avuto un ruolo importante nella storia dell’informatica ed il loro contributo è stato fondamentale  per l’evoluzione del pensiero umano e ciò resta ancora oggi sconosciuto a molti. Le donne sono presenti nel campo dell’informatica fin dalle sue origini. Pensate che a gettare le basi concettuali della programmazione di computer è stata proprio una mente femminile, la figlia di Lord Byron, Ada Byron Lovelace, poetessa anche lei come il padre, ma in più, programmatrice ed incantatrice di numeri. Ada  è considerata la prima programmatrice di computer al mondo, lei, già nel diciannovesimo secolo, riesce a prevedere lo sviluppo e il futuro uso creativo dei software ed anticipa i principi organizzativi del calcolo automatico moderno. Parla della macchina ideata dal suo maestro Charles Babbage  come di uno strumento in grado di comporre musica, produrre grafica, portare a termine lavori scientifici e di alta complessità, citando anche l’intelligenza artificiale. Ci pensate che già due secoli fa, questa donna, aveva previsto esattamente ciò che oggi saremmo stati in grado di fare coi nostri computer? Ma Ada non è stata la sola, va ricordata anche la matematica ungherese Ròzsa Péter, ideatrice delle “funzioni ricorsive” e le 80 donne matematiche che nel 1942 realizzano il progetto Eniac, all’interno dell’esercito americano Un posto speciale occupa Grace Murray Hopper che attraverso i suoi studi ha reso il computer uno strumento accessibile a tutti. I primi computer erano roba per soli studiosi, perché usavano il linguaggio binario e questa donna si pose l’obiettivo di scrivere programmi per computer per permettere anche a persone normali, come noi, di usare il computer direttamente, senza dover dipendere da specialisti. Grace partecipa a vari progetti dove sono inseriti uomini e donne, ma a lei piace lavorare preferibilmente con altre donne  e ne parla in modo lusinghiero: ”Le donne finiscono per essere davvero delle brave programmatrici per una ragione in particolare. Sono abituate a portare a termine le cose, mentre gli uomini non lo fanno molto spesso”. Infine voglio ricordare Anita Borg, fondatrice di ”Systers”, la più grande comunità al mondo per lo scambio di e-mail tra donne che operano in ambito informatico. La Borg non ha fatto grandi scoperte in campo informatico, ma ha avuto la capacità unica nell’ unire la competenza tecnologica e la visione spregiudicata che ha stimolato numerose donne ad avvicinarsi e lasciarsi coinvolgere dalla tecnologia piuttosto che ignorarla. Anita  è una figura che ha dedicato la sua vita a rivoluzionare il modo in cui la gente pensa alla tecnologia, cercando di abbattere tutte le barriere che ostacolano l’approccio di donne e minoranze nei confronti dell’ informatica e della tecnologia in genere. La speranza ora è quella di avere sempre più donne alla tastiera, per abbattere ulteriori tabù.
Buona vita!
maestrocastello.

mercoledì 16 novembre 2011

L’uccello a due teste.

La storiella: C’era una volta un uccello con due teste. Quella di destra era vorace e molto abile nella ricerca del cibo, quella di sinistra, invece, altrettanto ghiotta; era maldestra. La testa di destra riusciva sempre a saziarsi, mentre quella di sinistra era continuamente tormentata dai morsi della fame. Fu così che un giorno la testa di sinistra disse alla destra: ”Conosco, qui vicino, un cespuglio di bacche squisite di cui ti delizieresti. Vieni che ti porto dove cresce”. In verità sapeva che quelle bacche erano velenose, ma voleva, con questo stratagemma, disfarsi della testa rivale, per poter poi mangiare a suo piacimento. Fu così che l’uccello di destra si rimpinzò di quell’erba e il veleno invase tutto il corpo dell’uccello a due teste che, in poco tempo, morì.                                                                                                                                                        
Le riflessioni : Questa storiella zen mi sembra la metafora del momento critico che stiamo attraversando. L’uccello è il nostro Bel Paese, le bacche velenose sono la crisi economica che ci attanaglia e le teste sono i pilastri della conservazione, ovvero il privilegio, il corporativismo e la demagogia che campeggiano nella testa dei nostri politici. Tutti a dire che bisogna fare il bene del Paese ed ognuno pone dei distinguo nell’appoggiare questo nascente governo. Evidentemente, nel dire questo, non perdono di vista il proprio elettorato. Per uscire da questo stallo politico ed economico occorrerebbe individuare dove sta il bene del Paese. Il bene del Paese s’identifica certamente con un bene comune di tutti i cittadini, proprio di tutti,  che non coincide con la volontà della maggioranza, intesa come la somma delle volontà individuali. Bene comune e democrazia, intesa come luogo di legittimazione degli interessi solo di una parte, anche se maggioranza,  non sono la stessa cosa.  La crisi si supera solo se si esce dalla logica degli schieramenti politici, se destra e sinistra, maggioranza e opposizione rinunciano ai loro egoismi nell’interesse dell’intero Paese. Ricordate, politici,  che i cittadini vi tengono d'occhio e giudicano i vostri comportamenti. Se affonda la nave andiamo tutti a fondo, dico tutti; anche voi ed i vostri privilegi!
Buona vita!
maestrocastello

sabato 12 novembre 2011

La casa va a fuoco e questi litigano sul nome del pompiere che spegnerà l’incendio.


L’Italia è a rischio bancarotta eppure ce n’è voluto di tempo per far capire a questo governo che l’ora della ricreazione era finito, che il malato era grave  e c’era bisogno di cure mirate. Fino alla vigilia della scorsa estate si negava perfino che la crisi riguardasse anche noi, poi ci sono state due manovre economiche che gli speculatori hanno vanificato in pochi mesi. Gli alti interessi del nostro debito pubblico hanno  presto inghiottito i sacrifici imposti alla gente. La situazione è precipitata a tal punto, che gli italiani, questa settimana,  si son ridotti a monitorare  costantemente lo spread che insieme al livello del Po costituiscono due serie minacce per le nostre vite. Dopo aver speculato sul debito pubblico, gli insospettabili padroni della finanza mondiale,  cui nessuno s’è preoccupato di mettere un freno, hanno iniziato a speculare puntualmente anche sulla mancata crescita di Paesi come il nostro , che, stremati dai tagli, non sono più in grado di trovare le risorse per finanziare gli investimenti produttivi. Mettiamoci pure che le ricette anticrisi, intraprese finora, oltre a non fornire valide garanzie ai nostri creditori; hanno finito per generare la caduta dei consumi, nuova precarietà, emarginazione sociale e maggiori disuguaglianze. L’unica medicina utile in questo momento sarebbe la crescita ed è proprio di oggi l’approvazione trasversale della legge di stabilità economica e le dimissioni dell’attuale governo, per fare spazio ad un governo (Monti, si dice)che dia fiducia ai mercati e sia in grado di prendere alcuni provvedimenti necessari a traghettare l’Italia fuori dalla crisi. Non è certo il tempo, questo, di badare all’orticello privato; tutti dovrebbero anteporre gli interessi del Paese a quelli  di partito. Monti, Alfano, Dini,Amato, Gianni  Letta, questi sono i nomi che circolano.  Ragazzi, sembra che i politici non abbiano alcuna fretta e non hanno ben compreso la gravità del momento. La casa va a fuoco e non sembra tanto importante chiamare presto i pompieri, quanto  chi deve avere questo privilegio. I partiti hanno iniziato la loro manfrina, ciascuno fa i propri conti  e i nomi graditi, in proiezione  elettorale e si muove secondo le proprie convenienze. Qualsiasi governo arriverà  richiederà, comunque, nuovi sacrifici per fronteggiare la crisi. La nostra gente è disposta a stringere ancora una volta la cinghia, purché ci restituiscano un Paese risanato, dove ci sia crescita economica, giustizia sociale e buone prospettive per il futuro dei nostri figli. Questo è possibile?
Buona vita!
maestrocastello

mercoledì 9 novembre 2011

Chi parla male, pensa male e vive male.


 “ Ma come parla?! ... Senta, ma lei è fuori di testa!! - (parte una sberla) - Come parla?! Come parla?! - (seconda sberla)-  Le parole sono importanti! Ma come parla?!” Ricordate l’incalzare di Michele, protagonista del film "Palombella Rossa" di Nanni Moretti con la sua interlocutrice? La “summa filosofica” di Michele (e di Nanni) è: “Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!” . Abbiamo ereditato dai nostri antenati un lascito importante che è rappresentato dalla nostra lingua nazionale, componente essenziale di italianità ed elemento  fondante della nostra Patria., nonché veicolo essenziale della nostra civiltà.  La lingua italiana,collante essenziale dell’unità nazionale, al pari della cucina, è riuscita ad unirci là dove i governi hanno fallito. Ci pensate che nel1860  erano stati disegnati i confini di un regno, l’Italia, al cui interno gli abitanti non si capivano l’un l’altro? “L’italiano, diceva Carlo Azeglio Ciampi,  una lingua che entra nell’animo dello straniero che ad essa si avvicina e spesso se ne innamora, perché la sente capace, forse più di ogni altra, di esprimere con compiutezza sentimenti e stati d’animo, grazie alla sua struttura ed alla musicalità”.
Poeti e letterati italiani hanno espresso tutta la loro arte attraverso la nostra lingua nazionale che nel corso della storia è divenuta sempre più aulica e sempre più nobile. Le parole sono importanti, è vero; ma noi come parliamo? La lingua è in continua trasformazione. Le parole che usiamo oggi non sono le stesse che usavano i nostri nonni e ancora più indietro, i nostri antenati. Nel tempo la lingua cambia: alcune parole si modificano, altre vengono sostituite, altre ancora si perdono. Nel tempo quindi la lingua si evolve per vari motivi. Prima di tutto bisogna capire la storia. Gli antichi Romani, in Italia, parlavano il latino. Almeno lo parlavano le persone colte, che ci hanno lasciato i loro scritti. Il popolo parlava il vulgus, una lingua di cui non abbiamo nessuna traccia scritta, perché era una lingua orale. Quando i Romani conquistavano dei territori, imponevano la loro lingua ai popoli sottomessi, in tutto l'Impero. La lingua ufficiale era così il latino, ma nei vari territori esso si mescolò alle varie lingue locali: nacquero cosi diverse lingue volgari. Dopo tanti secoli in Italia si stabilì che la lingua volgare fiorentina usata da scrittori e poeti come Dante, Petrarca e Boccaccio diventasse la lingua ufficiale scritta. Da allora, pian piano, quella diventò la lingua comune a tutta l'Italia, l'italiano, mentre le varie lingue volgari parlate nelle diverse regioni divennero i dialetti regionali. Negli altri stati nati dalla disgregazione dell'Impero Romano le lingue volgari hanno avuto i loro percorsi, divenendo lingue nazionali. Per la loro origine comune oggi sono chiamate neolatine (derivanti dal latino), come l'italiano, il francese, lo spagnolo, il portoghese, il rumeno, il ladino e il sardo. Queste lingue, infatti, sono molto simili fra loro. Come tutte le lingue anche la nostra è cambiata nel tempo. Molte parole che una volta si usavano oggi non si usano più: sono parole arcaiche ( ad es. pargolo, donzella, augello etc.), mentre ci sono parole nuove (neologismi) che si aggiungono al nostro uso comune, come cliccare, microonde, euro, bancomat ...). La lingua italiana è un grande organismo vivente, che continuamente si rinnova. Al suo interno ci sono di continuo nuove acquisizioni, che compensano le perdite. Da alcuni decenni, però, la lingua italiana sembra malata, è iniziata;infatti, la sua lenta e progressiva agonia e le cause sono molteplici. La massificazione della cultura ha sminuito l’azione incisiva che un tempo aveva la scuola ed oggi capita anche di vedere che freschi diplomati non sono più in grado di scrivere quattro righe senza commettere una montagna di errori. L’inglese ha fatto irruzione nella nostra vita e, dalla pubblicità alla musica, siamo inondati di termini accattivanti di cui non conosciamo neppure il significato. I nostri ragazzi cazzeggiano con questa lingua e poi sono insufficienti proprio nelle interrogazioni di inglese. Parla come magni! - si dice a Roma. Per ripristinare la forza della nostra lingua bisogna riabituare la gente alla complessità del ragionamento, alla capacità di astrazione, alla riflessione che formula le idee. Lo strumento principe per far questo è la lettura. Per salvare la lingua serve il libro," il pensiero articolato che obbliga al raccoglimento, che stacca il pensiero dal mondo e lo trattiene fra le parole". Solo così potremo riabituarci al chiaro parlare  e riappropriarci, così,  della nostra bella lingua italiana.
Buona vita!
maestrocastello

lunedì 7 novembre 2011

La nonna che sussurrava al computer



Negli anni sessanta l’espressione “beat” contribuiva a marcare un confine tra nuove e vecchie generazioni, ora, nell’epoca del computer, in virtù di una singolare assonanza si potrebbe dire che sia il termine “bit” che ”byte” servono, invece, a caratterizzarne il divario. Siamo nell’era dell’informazione e il “bit” è, appunto, l’unità di misura delle informazioni, come il metro lo è per le lunghezze, il litro per le misure di capacità e via discorrendo. Per giovani e giovanissimi l’uso di internet è pane quotidiano, non così per i loro nonni che stanno scoprendo soltanto in età matura il fascino di usare il computer. In varie parti d’Italia prolificano progetti di alfabetizzazione informatica per i non più giovanissimi. Comuni, associazioni, cooperative e scuole organizzano corsi gratuiti di informatica per anziani, con l’obiettivo importante di favorire il dialogo e lo scambio di saperi tra le generazioni. E’ il caso di Reggio Emilia che nel 2011 ha dato vita alla terza edizione del progetto “Nonno Bit e nonna Byte”. Nelle aule dell’Università o nelle sale delle biblioteca comunale,  anziani, sotto la guida di alunni delle superiori, apprendono l’uso della videoscrittura, imparano ad inviare una mail o come si naviga su internet. Addirittura, anche in diverse scuole elementari si vivono iniziative analoghe, dove anziani imparano ad usare il computer sotto la guida dei nipoti che fanno loro da tutor e questa è un’esperienza scolastica insolita e divertente, dove si sperimentano insieme ruoli diversi da quelli scolastici tradizionali. Devo dire che i risultati sono sempre sorprendenti, perché se da un lato l’esperienza permette ai ragazzi di esprimere capacità e risorse insospettabili; dall’altro, fornisce competenze nuove agli anziani, come saper scrivere una mail ad un parente lontano o la capacità di accedere ai servizi del Comune in via telematica e colma sicuramente il divario generazionale tra nonni e nipoti che si riteneva incolmabile. Se ogni Comune italiano seguisse l'esempio di Modena e Reggio Emilia o quello della quarta elementare "Mar dei Caraibi di Ostia, sarebbe grandioso;  
Spero che tanti altri sindaci prendano esempio da queste belle realtà italiane e sappiano rendere con poco un servizio utile e meritevole ai loro concittadini non più giovani. 
Buona vita!
maestrocastello

sabato 5 novembre 2011

Il fascino del futile

FOLLA DAVANTI AL NUOVO CENTRO TRNY DI ROMA

Il fatto : Oltre diecimila persone, il 27 ottobre 2011 a Roma, prendono d’assalto un nuovo centro Trony, aperto in zona Ponte Milvio. Tutti in fila per una lavatrice. Sono scene da dopoguerra, quando si faceva la fila con la tessera del pane. La caccia all’ hi-tech di ultimo grido è addirittura iniziata nella nottata. Tra i  più ostinati sicuramente i giovanissimi: “E’ dalle 5 di mattina che siamo in fila. Abbiamo comprato due stampanti e una PS3: d’altronde la play a 150 euro non la trovi da nessuna parte”. Questa è solo l’ultima delle tante scene di follia di massa che si ripetono continuamente nelle nostre città all’inaugurazione di ogni centro commerciale.
Riflessione  : La forza incrollabile del moderno capitalismo consiste proprio nella sua stessa follia produttivistica dell’effimero e dello sperpero, inventando continui nuovi falsi bisogni e procurando  l’ansia nel consumatore di rimanerne escluso. Se non vuoi essere out, non puoi certo prescindere dal possedere l’ultimo modello di iPod, iPhon e iPad. Magari,  sei un giovane ed un lavoro non ce l’hai; ma il telefonino, quello non ti deve mancare. Spesso mi chiedo se il capitalismo un’etica ce l’abbia e di che tipo. Come tanti, credo che, oggi, l’economia una morale non ce la può avere; fintanto che non ritorna ad essere politica, rintroducendo il problema della giustizia nello scambio economico, entro  l’orizzonte del bene comune. Il vero successo storico del capitalismo, nei primi anni del dopoguerra, era stata la realizzazione di un patto tra capitalismo e democrazia che associava la promessa della prosperità economica a quella di una crescente equità sociale. Quel compromesso è stato spazzato via dalla liberazione dei movimenti di capitale e dalla globalizzazione che ne sono risultati. Le multinazionali aprono e chiudono fabbriche in barba ai Paesi ospitanti e occupatii che possono trovarsi senza posto di lavoro, dall’oggi al domani.La modernità inonda quotidianamente il pianeta Terra di immense energie dissipate con un uso ecologicamente ed economicamente dissennato di risorse già scarse che scuotono alla radice i fondamenti stessi della vita. effetto serra, inquinamento, problema dello smaltimento dei rifiuti non sono favole moderne, ma tutte scorie del profitto a tutti i costi.
Domanda : “Un capitalismo etico è possibile?” Sì, se crediamo all’equazione tra eticità ed economia :“Più ricco è il sistema dei valori morali di un paese, più ricca la sua economia”, dicono i grandi economisti. Prendiamo l’esempio di come il Giappone, Paese ai margini del mondo, sconfitto e distrutto dalla guerra, senza particolari risorse e con una lingua incomprensibile; sia potuto diventare, in poco tempo, una delle economie più potenti del mondo. Questo non è certo spiegabile solo con l’economia; dietro di essa c’è la dimensione etica. La European School of Economics crede che la ricchezza di un’economia è solo il riflesso grossolano della sua eticità e che una società è ricca e sana tanto quanto il suo sistema di valori. La European School of Economics non punta tanto sugli stati, quanto sull’individuo, perché solo l’individuo può trasformare la società e migliorarla. Individuo deriva da indivisibile, indica una condizione di integrità e di compattezza interiore. La sua missione è di educare i giovani a un sistema ricco di sani principi e di valori con la capacità di sostenere l’energia e la responsabilità della ricchezza.
Buona vita!
maestrocastello

mercoledì 2 novembre 2011

Filo diretto coi nostri defunti.


Sono sempre stato contrario all’istituzione di giornate per commemorare qualcosa, perché si incorre inevitabilmente nella facile retorica; ma faccio alcune eccezioni, come, ad esempio, per il giorno dei morti. “Il culto dei morti segna il grado di civiltà di un popolo”, scrive Ugo Foscolo nelle “Ultime lettere di Jacopo Ortis.  La giornata per commemorare i defunti fu fissata nel giorno successivo ad Ognissanti e nessuno di noi, in questo giorno, si esime dal recarsi al cimitero per deporre fiori, accendere lumini, lucidare lapidi o lustrare immagini, serie o sorridenti che siano, dei nostri cari. Ma questi momenti di gestualità collettiva e di fede atavica risulteranno del tutto inutili, se non ci inducono anche e soprattutto a fare una seria riflessione sulla vita e sulla morte. Purtroppo non ci è di grande aiuto l’essere stati abituati a convivere con tanti fatti tragici di morte e di efferata crudeltà che ci accadono intorno; eppure sarebbe necessario pensare ogni tanto proprio alla morte, per dare il giusto valore alle cose e stabilire le priorità fra esse. Dovremmo, innanzitutto,  partire dalla premessa che tutti siamo destinati alla morte:“Certo le statistiche sulla morte sono davvero impressionanti”, soleva ironizzare George Bernard Shaw, “una persona su una muore!”. In questo non dobbiamo cogliere nulla di drastico, ma solo la consapevolezza del destino dell’uomo. La preghiera ed il raccoglimento davanti alle tombe devono testimoniare l'intimo legame che ancora ci lega ai nostri cari e l'attualità del patrimonio dei valori più profondi dell'esistenza umana che da essi abbiamo ereditato. Mio padre era una persona sempre gioviale e la foto di lui che sorride sulla lapide non mi fa mai pensare di trovarmi in un cimitero. Dobbiamo costruirci un’idea serena, gioviale della morte. Mi piace la tradizione siciliana che vuole che i defunti portino dei regali ai bambini nella notte a cavallo tra l'1 e il 2 novembre; questo viene inteso come il loro modo di comunicarci il loro amore e la loro protezione anche al di là della stessa vita. Rechiamoci al Camposanto con l’animo sereno, senza tristezza e non come scrive il bambino del libro “Io speriamo che me la cavo:  “Prima di partire...ridevo sempre, a casa giocavo. Ma era il giorno dei morti, e mio padre mi aveva detto che io dovevo essere triste, perché era il giorno dei morti, e allora io l'ho fatto contento e sono diventato triste…” In questa giornata cogliamo l’occasione per riflettere sul  senso più profondo della vita, recuperando quei sentimenti che si vanno ormai perdendo, come la solidarietà, la pace e l’ amore verso il nostro prossimo.
Buona vita!
maestrocastello