Sta per finire la ricreazione e fra qualche settimana
ricominciano i giochi, ricomincia la scuola. Ma perché andare a scuola? Bella domanda! E’ faticoso ed è normale
non avere voglia di fare fatica, però la
fatica di andare a scuola ne vale davvero
la pena, e questo lo capiamo sempre dopo, ci permette di crescere, a scuola s’impara
a conoscere il mondo che ci circonda e vengono dati strumenti indispensabili
per essere un giorno una persona adulta. Per alcuni bambini sarà la primissima volta,
una specie di battesimo che li accoglierà nel mondo dei grandi e avverrà un
distacco dalle loro famiglie, spesso condito di pianti, doloroso quanto volete;
ma necessario. Qual è il vero senso dell’educazione? Questa è la domanda che i genitori dovrebbero porsi prima di decidere come scegliere una scuola per i
propri figli e come prepararli a questa
nuova ed importante fase della vita. Chiedersi perché questi bambini
debbano andare a scuola e non solo perché lo fanno tutti, quale sia la vera
funzione dell’educazione è cosa molto importante Rispondere ad una tale domanda è utile per
insegnanti e genitori; deve esserci un’unità di intenti tra casa e scuola.
Pensate forse che lo scopo dell’educazione sia soltanto preparare i ragazzi a
superare un giorno qualche esame e trovare un lavoro? E’ solo per questo che i
bambini, i ragazzi e i giovani vengono educati? Avere un lavoro e guadagnarsi da vivere è
necessario, ma si esaurisce tutto in questo contesto? Allora non dovremmo parlare di educazione, ma
piuttosto di addestramento. L’educazione è fondamentale per acquisire una
consapevolezza dei propri compiti nella vita che si manifestano attraverso il
lavoro, i propri compiti, le proprie responsabilità nei confronti di noi
stessi, degli altri esseri e del pianeta tutto. L’educazione è fondamentale per
avvicinarsi alla vita, essere dentro la vita e cercare il più possibile di
comprenderla. E non sono proprio la famiglia e
la scuola i mediatori ideali tra il bambino e la vita, tra il bambino e il
mondo? Attraverso il loro aiuto il bambino potrà superare serenamente le tappe
della separazione dai genitori e insegnanti
ed accettare il nuovo. I contenuti proposti dalla scuola attraverso il percorso
didattico hanno un grande valore perché attraverso essi portiamo ai bambini il
mondo, portiamo i bambini nella vita con tutti i suoi problemi. La nostra preoccupazione deve essere magari
di organizzare per loro ambienti sereni con insegnanti preparati, luoghi dove
nutrire l’intelligenza del loro pensiero ; affinché un giorno i nostri bambini possano dare le risposte e trovare le
soluzioni ai problemi della vita.
Buon anno scolastico ai bambini e buona vita ai loro
genitori! venerdì 30 agosto 2013
martedì 27 agosto 2013
Sono tornati i barbari!
Alla festa della Lega di Alzano Lombardo Umberto Bossi ha parlato anche
del Colosseo ed ha confidato che qualche tempo fa il sindaco di Roma gli aveva
chiesto aiuto per trovare i fondi necessari al restauro del Colosseo e che lui
non lo aiutò, ”Se mi dici di trovare soldi per buttarlo giù, magari…”. Ed ha
anche aggiunto (sentite la chicca) : “In tutto il tempo che sono stato a Roma,
io non sono mai andato al Colosseo”. Bella novità! Sarebbe strano il contrario. Sono sempre più convinto
che noi italiani non ci meritiamo il vasto patrimonio culturale, storico e
paesaggistico che abbiamo ereditato. Da parecchi anni l’Italia è stata invasa
da barbari nostrani, si tratta di un’invasione interna, sono italiani come noi questi barbari e non si distinguono all’apparenza dagli italiani veri, ma sono riconoscibili
per quello che fanno e fanno purtroppo continuo scempio del nostro territorio cambiando i connotati ad ameni paesini di
montagna o splendide cittadine di pianura. Appena possono questi signori distruggono
tutto ciò che stimano vecchio per far posto al nuovo, da cui naturalmente
traggono sempre un guadagno. Aspirano ad essere civili, ma hanno un’idea strana
della civiltà. Essi si vergognano delle strade strette, magari lastricate a
pietre antiche, delle vecchie mura, di monasteri fatiscenti, di campanili
d’epoca che cascano a pezzi; si
vergognano dei loro nonni e dei loro alberi. I barbari non hanno il gusto della
conservazione, ma il genio dell’inaugurazione; lasciano cadere in rovina le
cose per poi giustificarne la distruzione. I barbari nostrani odiano i musei e,
badate, solo da noi la parola museo viene usata in senso dispregiativo. E’
difficile combatterli perché sono tanti e si
nascondono nei posti di maggiore responsabilità: sono sindaci, assessori
comunali, ricchi, neoricchi, cafoni arricchiti; tutta gente che manovra le leve
del comando. Magari entrano nel vecchio teatro settecentesco del paese questi
signori e sognano di abbatterlo per farci una multisala come quelle delle
grandi città, nella piazzetta dove giocavano spensierati da bambini ci sono due
querce secolari e loro pensano di tagliarle per far posto al parcheggio delle
auto, i lampioni di ghisa di epoca umbertina sono cosa d’altri tempi e loro si
battono per toglierli e farci mettere dei tubi fluorescenti che accecano e
svelano la povertà dell’architettura paesana; tutto in nome del progresso. I
barbari sono insensibili alla segreta bellezza del tempo e non hanno più il
rispetto che la maestà del nostro Belpaese e la sua gloria imponevano ai barbari
di una volta, ad esempio ai Goti. Mentre avete il bel ricordo del campanile
della chiesa madre del vostro paese natio che appare i tutte le cartoline,
solenne ed austero in tutta la sua
bellezza; poi vi capita di vedere in giro strane forme di campanili moderni che
scimmiottano l’architettura, campanili
senza fede che non riescono a nascondere i loro tralicci da trampolino e quella
che dovrebbe essere la croce, sembra piuttosto l’antenna della televisione.
Questi campanili moderni, foraggiati dai barbari di cui sopra con denaro di tutti, sono pensati da fior di ingegneri e una volta messi su, restano come nel progetto, estranei
all’ambiente, con l’aria proterva delle cose stupide. Questi sciacalli
abbattono palazzi d’epoca, chiese antiche per far posto a costruzioni dagli
schemi geometrici ispirati nientemeno al supermercato, al cinematografo, al serbatoio
dell’acqua. Nelle chiese di un tempo l’uomo esprimeva un tentativo
d’elevazione, oggi si sente che il suo pensiero è rivolto altrove: alle raffinerie, alle pompe di benzina, ai
centri commerciali o ai magazzini dell’ IKEA. Incredibile come anche nei piccoli centri questa moda va prendendo piede, comincia a diventar impossibile
ritornare in un paese che ci era piaciuto senza la sorpresa di trovarlo trasformato solo un anno dopo. Io stesso quando torno al mio paese vorrei
ritrovarlo sempre come l’avevo lasciato e invece c’è sempre qualcuno che mi
sottolinea qualche elemento di novità e quello che più mi amareggia è che negli
occhi delle persone che amo e che ho lasciato laggiù, leggo la soddisfazione del
progresso compiuto, leggo un solo
desiderio, quello di distruggere tutto in un colpo solo e costruire magari una
città come quelle viste al cinema: strade sopraelevate, grattacieli, tunnel,
ascensori, centri commerciali, multisale, saloni di bellezza. Io che respiro ancora i ricordi del passato,
vedo ancora il mio paese come un soffio
di vita possibile, una nicchia, un affresco, un santuario della geografia (come dice il
paesologo Franco Arminio) e so bene che sono un illuso che si ostina a
combattere con le sole armi della denuncia una guerra impari con questi feroci barbari moderni.
Buona vita!
sabato 24 agosto 2013
Lo scemo del paese.
Attraversa
la notte Michele con la sua bicicletta chiazzata di ruggine, la catena che ogni
tanto scappa e un fanale che lampeggia a intermittenza. Michele è lo scemo del
paese, ma non è l’unico; sembra un moderno don Chisciotte sul suo Ronzinante di
ferro. Sul suo volto non si scorge follia, piuttosto lo sguardo trasparente di
chi penetra le cose, di chi vede spettacoli che sono preclusi ad occhi comuni che
si fermano sulla soglia del reale; senza parole le cose rimangono invisibili come
questa notte che se ne sta muta, là fuori dalle finestre col suo volto di
mistero e Michele l’attraversa per sorprendere i pensieri come fanno i poeti e
dar loro voce. Lui ha la purezza dei bambini, gli occhi luminosi degli artisti
che imprigionano il sacro fuoco che portano dentro e lo trattengono a stento,
come credevano gli antichi. Se noi, girando il paese, siamo presi da un senso
di stanchezza e di muffa ben confezionata; Michele no, lui di questo luogo riesce
ancora a sentire il respiro, ad avvertire la faticosa dolcezza della campagna. Tanti
sono tentati dall’idea di fuggire, ma lui no, è troppo preso dai casini che ha
dentro la testa matta per pensare pure a quelli del paese. E’ nato qui e non
può fuggire, è come un’icona del luogo e lui sa che è troppo importante; deve
interpretare il suo ruolo di scemo e portare allegria tra la gente, altrimenti
sarebbe un mortorio; specialmente l’inverno. A volte s’improvvisa vigile urbano
e s’appresta a prendere i numeri delle targhe di auto in sosta, quando imita alla
perfezione versi di animali o il suono di un antifurto o quando gira per strade
del paese a fare commissioni a bordo della sua bici mezza scassata. Quando
sente il rumore di un aereo, scende dalla bici e si butta per terra supino, mette
le dita a mò di mitraglia, punta l’aereo e quando lo ritiene a tiro:
“ta-ta-ta—ta-ta-tà! Morite americani di mmerda!” Non si sa perchè ce l'abbia tanto con gli americani. Davanti ai bar, quelli che
bivaccano e bevono birra, s’ammazzano dalle risate coglionando Michele al suo
passaggio in piazza. Michele è senza età e senza famiglia, anzi una famiglia
lui l’avrebbe, ma i tanti fratelli partirono un tempo, lasciandolo solo a
custodire la casa paterna che viene aperta regolarmente in agosto: arrivano i
fratelli, con moglie e nipoti, per la festa del santo patrono, cinque sei
giorni e chi s’è visto s’è visto. Mai nessuno che gli abbia detto: “Ti porto
con me”. Meglio così, povero Michele, perché ne morirebbe, lui è fatto per
stare in questo posto dove il tempo scorre lento, non ci sono motori accesi, ma
lucertole che riposano, cicale che brillano; forse lui sa che gli unici che lo
porteranno sicuramente con sé saranno i suoi vecchi che lo aspettano al
cimitero. Proprio ieri ha accompagnato un fratello alla macchina
fuori paese e li ha visti partire e di loro gli rimangono soltanto i
vestiti dismessi dai nipoti e la voce del fratello: “Mi raccomando fai il
bravo!” E’ una vita che Michele fa il bravo e non se lo caca ugualmente nessuno. L’ansia della festa è passata: la
gente, la processione, gli spari, stare sotto il palco dei cantanti è stato come un sogno; ora è di nuovo solo ad aspettare l'inverno in
compagnia dei suoi pensieri che porta a spasso in questa notte ammantata di
odore di ginestre e di origano. Una luminaria della festa rimasta accesa da
ieri rischiara un cane che dorme in mezzo alla strada, Michele rallenta quando
sente arrivare dall’alto un suono d’aereo e intravede una flebile luce tra le
ombre delle montagne. Il rumore si fa sempre più intenso e la luce più chiara.
Michele smonta dalla bici e si piazza proprio al centro della strada illuminata, sdraiato pancia all’aria, aspetta che arrivi l’aeroplano,
proprio accanto al cane che scappa via, al momento che ritiene più giusto Michele
attacca a sparare a mitraglia: “Ta-ta-ta-ta-ta-ta….. ta-ta-ta-ta-ta….. ta-ta-ta-ta-ta-ta….americani di mmerda!” In
quell’urlo sfoga tutta la sua rabbia, forse per essere nato così.
La sua voce squarcia la notte, il paese sta a quest’ora dormendo e nessuno potrà ridere di lui.
La sua voce squarcia la notte, il paese sta a quest’ora dormendo e nessuno potrà ridere di lui.
Buona
vita!
maestrocastello
domenica 18 agosto 2013
Il rumore del mare.
Avrò
avuto quattro anni e quel giorno il mare sputava conchiglie. Camminavo sulla
spiaggia per mano a mio padre e lui ne trovò una molto grande abbandonata lì
dalla corrente e mi disse di prenderla.
Il
mare era fermo, il vento anche. Gliela
diedi, lui me l’appoggiò sull’orecchio e
mi chiese, tappandomi con la mano l’altro orecchio
-
Cosa senti?”
Non
sapevo dare un nome a quella cosa.
-
Sai cos’è?
-
No.
-
Il mare! – fece mio padre.
-
Il mare?
- Sì, il rumore delle onde rimane incastrato nelle
conchiglie e loro lo ripetono per sempre.
Conservai la conchiglia e tutte le sere l’ascoltavo
e immaginavo quale segreto nascondesse quell’eco. Mi consolava, anche che se
non riuscivo a capire come mai il rumore era sempre lì, anche quando il mare non
c’era più.
Buona vita!
venerdì 2 agosto 2013
Chi crede ai miracoli?
Sembra assurdo, ma il popolo ha
un’estrema fiducia per il soprannaturale e una diffidenza invincibile per tutto
ciò che è opera dell’uomo. In tempo di crisi è di moda la locuzione: “Solo un
miracolo potrà salvarci!” E’ sorprendente la frequenza con cui s’invocano i
miracoli, ad ogni occasione e per la più piccola contrarietà; ma più
sorprendente il gran numero di miracoli che realmente succedono, alcuni persino
a data fissa e in luoghi prestabiliti. I tram non funzionano, gli uffici nemmeno,
i treni si scontrano; i miracoli, invece, sono le uniche manifestazioni
regolari. Dio e i santi vengono invocati ogni istante e per ogni faccenda, da
quelle di cuore a quelle di natura finanziario-economiche. Alla credenza nel miracolo è legata la
credenza in Dio e in Dio e nei santi ci credono soprattutto i
poveri e nel segreto dei loro pensieri se
li immaginano ricchi o in grado di procurare ricchezze facendo appunto dei miracoli. Dice Dostoewskij che l’uomo non cerca tanto Dio quanto i miracoli
e non avendo la forza di rinunciare ad essi, si crea nuovi miracoli suoi propri
e si inchina ai prodigi di un guaritore o alle stregonerie di una fattucchiera”
Ma, allora, credere o non credere? Credere è più confortante, ecco perché il
fenomeno è così diffuso nel popolo,
soprattutto nel Sud dove c’è tanto bisogno di miracoli. Qui mi viene in mente
la scenetta di Massimo Troisi e Lello Arena che si litigavano la precedenza nel
farsi ascoltare da San Gennaro: “ San Gennà, fammi fare un ambo 15 e 58 una
settimana sì e una no, che ti costa, ti prometto quattro candele ogni lunedì” “
e t’è spengo tutte quante io, San Gennà! 5 e 25, ricordati che so’ cliente!”
A quali santi chiedere i miracoli? Conosco
una persona che ha una teoria tutta sua in fatto di miracoli. “ E’ inutile”
dice “ rivolgersi per delle intercessioni a santi molto noti e appunto perché
tali, sovraccarichi di richieste e di
lavoro arretrato. Pregare sant’Antonio o santa Rita, san Francesco o san
Gennaro per risolvere il problema di una cambiale di un frigorifero è
sbagliato. Quelli sono continuamente interpellati per questioni di maggiore
importanza, con diritto alla precedenza, come malattie, ritrovamento di persone
disperse, ricerca di posti di lavoro ed esami. Bisogna, invece, indirizzarsi a
santi poco noti che hanno bisogno di farsi una clientela e possono cominciare
anche con piccoli interventi. E poi, diciamoci la verità, il miracolo noi lo
chiediamo al santo che intercede presso il suo Principale che è Dio in persona
e Dio, si sa, ascolta maggiormente i santi poco conosciuti che lo importunano
con meno frequenza. Sempre la nostra conoscente dice che i santi minori sono
come i giovani medici o gli avvocati freschi di laurea che possono crearsi una
specializzazione: santa Lucia per la vista, san Ciro per i calcoli renali,
santa Chiara per la televisione, Meglio ancora è pregare i beati che hanno una
specializzazione ed hanno anche il bisogno di fare miracoli per avere lo scatto
a santi: ad esempio la beata Veronica da Binasco per le cambiali, sant’Asterio
per un prestito, san Basilide per un muto ventennale o santa Zita per aiutarti
a trovare una cameriera ad ore. I miracoli li chiedono soprattutto i poveri che
i ricchi sono miracolati all’origine per via della botta di culo di essere nati
nel lusso. Privi di risorse, i poveri credono in Dio anche se spesso lo
bestemmiano incolpandolo delle proprie disgrazie, i poveri vivono nella gaia
miseria possibile, confortati da una tenace fede nel dopodomani e se poi ci
arrivano davvero a dopodomani, questo per loro è già un miracolo.
Buona vita!
maestrocastello
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