venerdì 30 agosto 2013

Perchè la scuola?

Sta per finire la ricreazione e fra qualche settimana ricominciano i giochi, ricomincia la scuola. Ma perché andare a scuola?  Bella domanda! E’ faticoso ed è normale non  avere voglia di fare fatica, però la fatica di andare a scuola ne  vale davvero la pena, e questo lo capiamo sempre dopo, ci permette di crescere, a scuola s’impara a conoscere il mondo che ci circonda e vengono dati strumenti indispensabili per essere un giorno una persona adulta.  Per alcuni bambini sarà la primissima volta, una specie di battesimo che li accoglierà nel mondo dei grandi e avverrà un distacco dalle loro famiglie, spesso condito di pianti, doloroso quanto volete; ma necessario. Qual è il vero senso dell’educazione?  Questa è la domanda che i genitori dovrebbero porsi prima di decidere come scegliere una scuola per i propri figli e come prepararli a questa  nuova ed importante fase della vita. Chiedersi perché questi bambini debbano andare a scuola e non solo perché lo fanno tutti, quale sia la vera funzione dell’educazione è cosa molto importante  Rispondere ad una tale domanda è utile per insegnanti e genitori; deve esserci un’unità di intenti tra casa e scuola. Pensate forse che lo scopo dell’educazione sia soltanto preparare i ragazzi a superare un giorno qualche esame e trovare un lavoro? E’ solo per questo che i bambini, i ragazzi e i giovani vengono educati?  Avere un lavoro e guadagnarsi da vivere è necessario, ma si esaurisce tutto in questo contesto?  Allora non dovremmo parlare di educazione, ma piuttosto di addestramento. L’educazione è fondamentale per acquisire una consapevolezza dei propri compiti nella vita che si manifestano attraverso il lavoro, i propri compiti, le proprie responsabilità nei confronti di noi stessi, degli altri esseri e del pianeta tutto. L’educazione è fondamentale per avvicinarsi alla vita, essere dentro la vita e cercare il più possibile di comprenderla.  E non sono proprio la famiglia e la scuola i mediatori ideali tra il bambino e la vita, tra il bambino e il mondo? Attraverso il loro aiuto il bambino potrà superare serenamente le tappe della separazione dai genitori  e insegnanti ed accettare il nuovo. I contenuti proposti dalla scuola attraverso il percorso didattico hanno un grande valore perché attraverso essi portiamo ai bambini il mondo, portiamo i bambini nella vita con tutti i suoi problemi.  La nostra preoccupazione deve essere magari di organizzare per loro ambienti sereni con insegnanti preparati, luoghi dove nutrire l’intelligenza del loro pensiero ; affinché un giorno i nostri bambini  possano dare le risposte e trovare le soluzioni ai problemi della vita. 
Buon anno scolastico ai bambini e buona vita ai loro genitori!           

martedì 27 agosto 2013

Sono tornati i barbari!

Alla festa della Lega di Alzano Lombardo Umberto Bossi ha parlato anche del Colosseo ed ha confidato che qualche tempo fa il sindaco di Roma gli aveva chiesto aiuto per trovare i fondi necessari al restauro del Colosseo e che lui non lo aiutò, ”Se mi dici di trovare soldi per buttarlo giù, magari…”. Ed ha anche aggiunto (sentite la chicca) : “In tutto il tempo che sono stato a Roma, io non sono mai andato al Colosseo”. Bella novità!  Sarebbe  strano il contrario. Sono sempre più convinto che noi italiani non ci meritiamo il vasto patrimonio culturale, storico e paesaggistico che abbiamo ereditato. Da parecchi anni l’Italia è stata invasa da barbari nostrani, si tratta di un’invasione interna, sono italiani come noi  questi barbari e non si distinguono all’apparenza dagli italiani veri, ma sono riconoscibili per quello che fanno e fanno purtroppo  continuo scempio  del nostro territorio  cambiando i connotati ad ameni paesini di montagna o splendide cittadine di pianura. Appena possono questi signori distruggono tutto ciò che stimano vecchio per far posto al nuovo, da cui naturalmente traggono sempre un guadagno. Aspirano ad essere civili, ma hanno un’idea strana della civiltà. Essi si vergognano delle strade strette, magari lastricate a pietre antiche, delle vecchie mura, di monasteri fatiscenti, di campanili d’epoca che cascano a pezzi;  si vergognano dei loro nonni e dei loro alberi. I barbari non hanno il gusto della conservazione, ma il genio dell’inaugurazione; lasciano cadere in rovina le cose per poi giustificarne la distruzione. I barbari nostrani odiano i musei e, badate, solo da noi la parola museo viene usata in senso dispregiativo. E’ difficile combatterli perché sono tanti e si  nascondono nei posti di maggiore responsabilità: sono sindaci, assessori comunali, ricchi, neoricchi, cafoni arricchiti; tutta gente che manovra le leve del comando. Magari entrano nel vecchio teatro settecentesco del paese questi signori e sognano di abbatterlo per farci una multisala come quelle delle grandi città, nella piazzetta dove giocavano spensierati da bambini ci sono due querce secolari e loro pensano di tagliarle per far posto al parcheggio delle auto, i lampioni di ghisa di epoca umbertina sono cosa d’altri tempi e loro si battono per toglierli e farci mettere dei tubi fluorescenti che accecano e svelano la povertà dell’architettura paesana; tutto in nome del progresso. I barbari sono insensibili alla segreta bellezza del tempo e non hanno più il rispetto che la maestà del nostro Belpaese e la sua gloria imponevano ai barbari di una volta, ad esempio ai Goti. Mentre avete il bel ricordo del campanile della chiesa madre del vostro paese natio che appare i tutte le cartoline, solenne ed  austero in tutta la sua bellezza; poi vi capita di vedere in giro strane forme di campanili moderni che scimmiottano l’architettura,  campanili senza fede che non riescono a nascondere i loro tralicci da trampolino e quella che dovrebbe essere la croce, sembra piuttosto l’antenna della televisione. Questi campanili moderni, foraggiati dai barbari di cui sopra con denaro di tutti, sono pensati da fior di ingegneri e una volta messi  su, restano come nel progetto, estranei all’ambiente, con l’aria proterva delle cose stupide. Questi sciacalli abbattono palazzi d’epoca, chiese antiche per far posto a costruzioni dagli schemi geometrici ispirati nientemeno al supermercato, al cinematografo, al serbatoio dell’acqua. Nelle chiese di un tempo l’uomo esprimeva un tentativo d’elevazione, oggi si sente che il suo pensiero è rivolto altrove:  alle raffinerie, alle pompe di benzina, ai centri commerciali o ai magazzini dell’ IKEA. Incredibile come anche nei piccoli centri questa moda va prendendo piede, comincia a diventar impossibile ritornare in un paese che ci era piaciuto senza la sorpresa di trovarlo trasformato solo un anno dopo. Io stesso quando torno al mio paese vorrei ritrovarlo sempre come l’avevo lasciato e invece c’è sempre qualcuno che mi sottolinea qualche elemento di novità e quello che più mi amareggia è che negli occhi delle persone che amo e che ho lasciato laggiù, leggo la soddisfazione del progresso  compiuto, leggo un solo desiderio, quello di distruggere tutto in un colpo solo e costruire magari una città come quelle viste al cinema: strade sopraelevate, grattacieli, tunnel, ascensori, centri commerciali, multisale, saloni di bellezza.  Io che respiro ancora i ricordi del passato, vedo ancora  il mio paese come un soffio di vita possibile, una nicchia, un affresco, un santuario della geografia (come dice il paesologo Franco Arminio) e so bene che sono un illuso che si ostina a combattere con le sole armi della denuncia una guerra impari con questi feroci barbari moderni.

Buona vita!

sabato 24 agosto 2013

Lo scemo del paese.

Attraversa la notte Michele con la sua bicicletta chiazzata di ruggine, la catena che ogni tanto scappa e un fanale che lampeggia a intermittenza. Michele è lo scemo del paese, ma non è l’unico; sembra un moderno don Chisciotte sul suo Ronzinante di ferro. Sul suo volto non si scorge follia, piuttosto lo sguardo trasparente di chi penetra le cose, di chi vede spettacoli che sono preclusi ad occhi comuni che si fermano sulla soglia del reale; senza parole le cose rimangono invisibili come questa notte che se ne sta muta, là fuori dalle finestre col suo volto di mistero e Michele l’attraversa per sorprendere i pensieri come fanno i poeti e dar loro voce. Lui ha la purezza dei bambini, gli occhi luminosi degli artisti che imprigionano il sacro fuoco che portano dentro e lo trattengono a stento, come credevano gli antichi. Se noi, girando il paese, siamo presi da un senso di stanchezza e di muffa ben confezionata; Michele no, lui di questo luogo riesce ancora a sentire il respiro, ad avvertire la faticosa dolcezza della campagna. Tanti sono tentati dall’idea di fuggire, ma lui no, è troppo preso dai casini che ha dentro la testa matta per pensare pure a quelli del paese. E’ nato qui e non può fuggire, è come un’icona del luogo e lui sa che è troppo importante; deve interpretare il suo ruolo di scemo e portare allegria tra la gente, altrimenti sarebbe un mortorio; specialmente l’inverno. A volte s’improvvisa vigile urbano e s’appresta a prendere i numeri delle targhe di auto in sosta, quando imita alla perfezione versi di animali o il suono di un antifurto o quando gira per strade del paese a fare commissioni a bordo della sua bici mezza scassata. Quando sente il rumore di un aereo, scende dalla bici e si butta per terra supino, mette le dita a mò di mitraglia, punta l’aereo e quando lo ritiene a tiro: “ta-ta-ta—ta-ta-tà! Morite americani di mmerda!” Non si sa perchè ce l'abbia tanto con gli americani. Davanti ai bar, quelli che bivaccano e bevono birra, s’ammazzano dalle risate coglionando Michele al suo passaggio in piazza. Michele è senza età e senza famiglia, anzi una famiglia lui l’avrebbe, ma i tanti fratelli partirono un tempo, lasciandolo solo a custodire la casa paterna che viene aperta regolarmente in agosto: arrivano i fratelli, con moglie e nipoti, per la festa del santo patrono, cinque sei giorni e chi s’è visto s’è visto. Mai nessuno che gli abbia detto: “Ti porto con me”. Meglio così, povero Michele, perché ne morirebbe, lui è fatto per stare in questo posto dove il tempo scorre lento, non ci sono motori accesi, ma lucertole che riposano, cicale che brillano; forse lui sa che gli unici che lo porteranno sicuramente con sé saranno i suoi vecchi che lo aspettano al cimitero. Proprio ieri ha accompagnato un fratello  alla macchina  fuori paese e li ha visti partire e di loro gli rimangono soltanto i vestiti dismessi dai nipoti e la voce del fratello: “Mi raccomando fai il bravo!” E’ una vita che Michele fa il bravo e non se lo caca ugualmente  nessuno. L’ansia della festa è passata: la gente, la processione, gli spari, stare sotto il palco dei cantanti è stato  come un sogno; ora è di nuovo solo ad aspettare l'inverno in compagnia dei suoi pensieri che porta a spasso in questa notte ammantata di odore di ginestre e di origano. Una luminaria della festa rimasta accesa da ieri rischiara un cane che dorme in mezzo alla strada, Michele rallenta quando sente arrivare dall’alto un suono d’aereo e intravede una flebile luce tra le ombre delle montagne. Il rumore si fa sempre più intenso e la luce più chiara. Michele smonta dalla bici e si piazza proprio al centro  della strada illuminata, sdraiato  pancia all’aria, aspetta che arrivi l’aeroplano, proprio accanto al cane che scappa via, al momento che ritiene più giusto Michele attacca a sparare a mitraglia: “Ta-ta-ta-ta-ta-ta…..  ta-ta-ta-ta-ta…..  ta-ta-ta-ta-ta-ta….americani di mmerda!” In quell’urlo sfoga tutta la sua rabbia, forse per essere nato così.       
La sua voce squarcia la notte, il paese sta a quest’ora  dormendo e nessuno potrà ridere di lui.
Buona vita!

maestrocastello


domenica 18 agosto 2013

Il rumore del mare.

Avrò avuto quattro anni e quel giorno il mare sputava conchiglie. Camminavo sulla spiaggia per mano a mio padre e lui ne trovò una molto grande abbandonata lì dalla corrente e mi disse di prenderla.
Il mare  era fermo, il vento anche. Gliela diedi, lui me l’appoggiò sull’orecchio e  mi chiese, tappandomi con la mano l’altro orecchio
- Cosa senti?”
Non sapevo dare un nome a quella cosa.
- Sai cos’è?
- No.
- Il mare! – fece mio padre.
- Il mare?
- Sì, il rumore delle onde rimane incastrato nelle conchiglie e loro lo ripetono per sempre.

Conservai la conchiglia e tutte le sere l’ascoltavo e immaginavo quale segreto nascondesse quell’eco. Mi consolava, anche che se non riuscivo a capire come mai il rumore era sempre lì, anche quando il mare non c’era più.

Buona vita!

venerdì 2 agosto 2013

Chi crede ai miracoli?

Sembra assurdo, ma il popolo ha un’estrema fiducia per il soprannaturale e una diffidenza invincibile per tutto ciò che è opera dell’uomo. In tempo di crisi è di moda la locuzione: “Solo un miracolo potrà salvarci!” E’ sorprendente la frequenza con cui s’invocano i miracoli, ad ogni occasione e per la più piccola contrarietà; ma più sorprendente il gran numero di miracoli che realmente succedono, alcuni persino a data fissa e in luoghi prestabiliti. I tram non funzionano, gli uffici nemmeno, i treni si scontrano; i miracoli, invece, sono le uniche manifestazioni regolari. Dio e i santi vengono invocati ogni istante e per ogni faccenda, da quelle di cuore a quelle di natura finanziario-economiche.  Alla credenza nel miracolo è legata la credenza  in Dio e  in Dio e nei santi ci credono soprattutto i poveri e nel segreto dei loro pensieri  se li immaginano ricchi o in grado di procurare ricchezze facendo appunto dei  miracoli. Dice Dostoewskij che  l’uomo non cerca tanto Dio quanto i miracoli e non avendo la forza di rinunciare ad essi, si crea nuovi miracoli suoi propri e si inchina ai prodigi di un guaritore o alle stregonerie di una fattucchiera” Ma, allora, credere o non credere? Credere è più confortante, ecco perché il fenomeno è così diffuso  nel popolo, soprattutto nel Sud dove c’è tanto bisogno di miracoli. Qui mi viene in mente la scenetta di Massimo Troisi e Lello Arena che si litigavano la precedenza nel farsi ascoltare da San Gennaro: “ San Gennà, fammi fare un ambo 15 e 58 una settimana sì e una no, che ti costa, ti prometto quattro candele ogni lunedì” “ e t’è spengo tutte quante io, San Gennà! 5 e 25, ricordati che so’ cliente!”
A quali santi chiedere i miracoli? Conosco una persona che ha una teoria tutta sua in fatto di miracoli. “ E’ inutile” dice “ rivolgersi per delle intercessioni a santi molto noti e appunto perché tali, sovraccarichi di  richieste e di lavoro arretrato. Pregare sant’Antonio o santa Rita, san Francesco o san Gennaro per risolvere il problema di una cambiale di un frigorifero è sbagliato. Quelli sono continuamente interpellati per questioni di maggiore importanza, con diritto alla precedenza, come malattie, ritrovamento di persone disperse, ricerca di posti di lavoro ed esami. Bisogna, invece, indirizzarsi a santi poco noti che hanno bisogno di farsi una clientela e possono cominciare anche con piccoli interventi. E poi, diciamoci la verità, il miracolo noi lo chiediamo al santo che intercede presso il suo Principale che è Dio in persona e Dio, si sa, ascolta maggiormente i santi poco conosciuti che lo importunano con meno frequenza. Sempre la nostra conoscente dice che i santi minori sono come i giovani medici o gli avvocati freschi di laurea che possono crearsi una specializzazione: santa Lucia per la vista, san Ciro per i calcoli renali, santa Chiara per la televisione, Meglio ancora è pregare i beati che hanno una specializzazione ed hanno anche il bisogno di fare miracoli per avere lo scatto a santi: ad esempio la beata Veronica da Binasco per le cambiali, sant’Asterio per un prestito, san Basilide per un muto ventennale o santa Zita per aiutarti a trovare una cameriera ad ore. I miracoli li chiedono soprattutto i poveri che i ricchi sono miracolati all’origine per via della botta di culo di essere nati nel lusso. Privi di risorse, i poveri credono in Dio anche se spesso lo bestemmiano incolpandolo delle proprie disgrazie, i poveri vivono nella gaia miseria possibile, confortati da una tenace fede nel dopodomani e se poi ci arrivano davvero a dopodomani, questo per loro è già un miracolo.
Buona vita!
maestrocastello