domenica 29 settembre 2013

Italia vendesi

E’ tempo di saldi: l’Italia è in vendita, o meglio, le punte di diamante della nostra economia sono svendute sul mercato internazionale; proprio mentre giungono dalla Germania lezioni di come si fa la politica. Complice la crisi economica, i colossi mondiali sono pronti a fare super-affari nel nostro belpaese ed azzannano i nostri gioielli, portandoseli a casa a prezzi stracciati. Il mercato è così: chi ha fame vende, chi ha soldi compra. Lo scippo di Telecom ed Alitalia da parte di spagnoli  e franco-olandesi non arriva all’improvviso, ma parte da lontano. L’Italia si va man mano sgretolando: negli ultimi vent’anni abbiamo dato via interi spezzoni del comparto industriale, dalla chimica alla  grande distribuzione. Molti marchi che erano un vanto del made in Italy sono stati acquisiti da concorrenti stranieri, non solo da multinazionali occidentali; ma anche da Paesi emergenti come il Brasile, la Cina,  e l’India, la Russia e soprattutto la penisola araba. Qualche esempio? È presto fatto Bernard Amault è proprietario della Lymh che non è solo il padrone incontrastato di Bulgari, ma anche di Emilio Pucci, Acqua di Parma e Fendi. Ppr controlla Gucci, la francese Pinault controlla Bottega Veneta, Sergio Rossi e come prossimo obiettivo mira addirittura alla Edison, colosso energetico italiano. Gianfranco Ferrè è stato ceduto a Paris Gruop di Dubai, la Safilo è finita nelle mani del gruppo olandese Hal Holding. Per non parlare del settore alimentare italiano che viene continuamente saccheggiato: la francese Lactalis ha messo le mani su Parmalat, Galbani, Invernizzi, Cademartori e Locatelli. La Standa è diventata austriaca, persino Cova, la pasticceria modello di Milano è finita in mani francesi e che dire delle aziende vinicole del Chianti che vengono acquistate non più solo da inglesi e francesi, ma da cinesi e indiani? I thailandesi hanno comprato l’Inter, gli americani la Roma; manca solo che ci vendiamo davvero la Fontana di Trevi  e siamo apposto. Vi domanderete: e la politica dov’è? E’ assente!  L’unica preoccupazione del Presidente della Repubblica Napolitano è di preservare una fragile stabilità politica e il già debole governo delle larghe intese che proprio in queste ore sta per sciogliersi, per l’irresponsabilità di una schiera di parlamentari che si sono dimessi in massa, compresi i ministri di quella parte politica, preoccupati più di salvare il culo al loro padrone che a fare il bene del nostro Paese e proprio quando  ne avrebbe più bisogno. A Cernobbio, poche settimane fa, gli strateghi  della politica,  per fare cassa, hanno avanzato proposte che mirano a disfarsi di colossi quali Eni, IRI, Finmeccanica e metterli in mano dei privati.Sappiamo bene gente come Colaninno padre o Bernabè come hanno curato le aziende a loro affidate.  Di questo passo l’Italia non solo non aggancerà la ripresa, ma brucerà le sue residue risorse economiche e umane, procedendo in una desertificazione ad altissimo rischio per il proprio futuro. Siamo un Paese debole che vende i suoi pezzi migliori e non ha uno straccio di strategia industriale. Finirà che perderemo gradualmente tutte le nostre aziende e con queste i loro utili che finiranno tutti all’estero. Per non parlare della forza lavoro che si perderà, soprattutto quella dirigenziale e più specializzata. Speriamo che questa lezione serva d’esempio agli italiani, a far capire che di questi politici non sappiamo che farcene, che l’immobilismo danneggia il paese ed è complice della cattiva politica ed allora è meglio cambiare totalmente questo governo e i suoi governanti e sperare che le cose volgano al meglio.

Buona vita!

sabato 28 settembre 2013

Omaggio a Carlo Castellaneta.

A poche settimane dalla scomparsa di Alberto Bevilacqua, ci lascia un altro grande della letteratura italiana: Carlo Castellaneta. Di padre pugliese, Castellaneta è nato nel '30 a Milano, città a cui a dedicato ben 18 romanzi. Scrittore di narrativa e giornalista, è autore di numerosi romanzi di successi, tradotti in varie lingue. Mi piace ricordarlo con un breve estratto di un suo lavoro intitolato “Alla ricerca di una vita possibile”, molto attuale e molto significativo che invita l'uomo di oggi a riflettere.

Buona vita!


Alla ricerca di una vita possibile
di Carlo Castellaneta

Ho sempre pensato, e continuo a pensare, che alla fine della vita sapremo di noi stessi, nel migliore dei casi, l'ottanta per cento di quanto ci serviva per essere felici. Perché nell'altro venti per cento ci sono tutte le contraddizioni irrisolte che ci siamo portati dietro fino all'ultimo giorno, i dubbi, le paure, le illusioni che ci hanno accompagnato dall'infanzia alla vecchiaia, intrecciati in modo così complesso da non riuscire mai a venirne a capo.
Sono voci esterne, molto spesso futili, che però non possiamo fare a meno di ascoltare, e che mettono in dubbio  le certezze del giorno prima.
E se andassi a vivere in campagna? E se tornassi a stabilirmi in città? E perché continuo a pensare a quella donna che conosco appena? Oppure è il lavoro che non mi dà più soddisfazione? E a chi potrei confidare questa inquietudine?
Così si agitano dentro di noi le passioni più diverse, a volte in contrasto l'una con l'altra.
Potrei fare un figlio. Oppure lasciare il lavoro e girare il mondo. Dare un senso alla mia vita impegnandomi nel volontariato o magari farmi un’ amante.
Paradossalmente siamo immuni da queste suggestioni quando siamo preoccupati da un problema serio, economico o di salute; altrimenti la mente non cessa di inseguire le sue chimere.
Comunque, quale che sia il nostro comportamento, passivo o attivo, continuiamo a navigare a vista, senza carte né strumenti di bordo, dando piccoli colpi di timone per correggere la rotta appena avvistiamo qualche scoglio.
Ma siamo sicuri che sia questo piccolo cabotaggio la vita che abbiamo vagheggiato da giovani? Cioè quando sognavamo le grandi traversate?
L'usa e getta che la società ci impone come modello ci lascia alla fine con un pugno di mosche. Questo lo sappiamo, ma senza cadere in un rifiuto totale, che sarebbe irrealizzabile, sentiamo tuttavia un bisogno di certezze che diano più senso alla vita.
Non esistono nella vita istruzioni per l'uso…..
così consumiamo le nostre giornate spendendo quel poco o tanto di coraggio che abbiamo unicamente per sopravvivere, senza pensare a come rinnovarci, ma con la oscura cognizione di uno spreco, cercando qualche consolazione nelle vacanze, in un viaggio, nel cambiare l'automobile, nel cercare una casa in campagna, sapendo benissimo che l'appagamento sarà solo temporaneo, e altri desideri sopravverranno.
A questo punto, come salvarci dal circolo vizioso dei bisogni insoddisfatti e dei falsi bisogni?
Probabilmente dovremmo far nostro l'insegnamento di Fromm: che essere è più importante che avere.
Ma, aggiungo io, imparare anche (e insegnarlo ai nostri figli cresciuti nella civiltà del consumismo) che desiderare è più importante che avere. Anzi è il modo più sicuro per sentirsi vivi e apprezzare le cose che abbiamo, dopo che siamo riusciti a ottenerle.
In fondo, se ci pensiamo, la vera felicità consiste nella soddisfazione di aver raggiunto un traguardo, per modesto che sia, con le nostre sole forze, attingendo a quell'energia latente che sonnecchia pigra dentro di noi.
E, se mi è consentita una piccola formula, nell'accettare i nostri limiti con maggior consapevolezza.
Forse la sola risposta agli interrogativi che ci assillano è : impegnarsi a costruire, senza temere di dovere in futuro demolire. Dare amore senza aspettarsi di riceverne in eguale misura. Costruire affetti, amicizie, tenerezza. Qualcosa che non si compera, qualcosa su cui poter contare.


martedì 24 settembre 2013

Dieci favole politicamente scorrette


Durante l’estate appena trascorsa mi è capitato di leggere questo libretto in forma digitale che mi ha incuriosito e divertito. Sono dieci brevi favole che hanno tutte come soggetto, affatto mascherato, il Cavaliere d’Italia per antonomasia. Lo scrittore siciliano ha una dichiarata avversione per il Cavaliere e non lo nasconde: “la mia avversione per Berlusconi è totale – dice ad un giornalista – Attenzione, però – subito precisa – è un’avversione limitata a lui, di persona pirsonalmente”. Per esprimere il proprio pensiero, Camilleri pensa bene di farlo attraverso il linguaggio metaforico delle favole, lo stesso che usavano Esopo e Fedro. Fra realtà e fantasia, il mondo favolistico di Camilleri è caratterizzato da uno spiccato senso dell’umorismo che è visibile anche negli episodi di Montalbano anche grazie ai tanti termini dialettali con cui farcisce i racconti. La metafora in lui è blanda, forse perché vuole essere sicuro che il lettore capisca bene di chi si sta parlando; ma non è mai sarcasmo, magari semplice satira politica e sociale. Il suo è un invito a guardare la realtà con la maturità del distacco. Pensavo di proporvene qualcuna di tanto in tanto, sempre che a voi possa fare piacere.
Buona vita!
…………….
Il pelo, non il vizio.
di Andrea Camilleri.
In Iliata ci fu un Cavaliere che, in pochi anni, accumulò una fortuna immensa. Un giorno alcuni magistrati cominciarono ad interessarsi dei suoi affari. E cominciarono a piovergli addosso accuse di falso, corruzione, concussione, evasione fiscale ed altro ancora. Arrivarono le prime sentenze di condanna. Il Cavaliere, attraverso i suoi giornali, le sue televisioni, i suoi deputati (aveva fondato un partito), scatenò una violenta campagna contro i magistrati che indagavano su di lui, accusandoli di esercitare una giustizia di parte. Lui stesso si definì un perseguitato politico. Tanto fece e tanto disse che molti iliatesi gli credettero. Poi un giorno (come capita e capiterà a tutti) morì. Nell’aldilà venne fatto trasìre in una càmmara disadorna. C’era un tavolino malandato darré il quale, sopra una seggia di paglia, stava assettato un omino trasandato.
 “Tu sei il cavaliere?”- spiò l’omino.
“Mi consenta” - fece il Cavaliere irritato per quella familiarità - “Mi dica prima di tutto chi è lei”
“Io sono il Giudice Supremo”, disse a bassa voce l’omino.
“E io la ricuso!”, gridò pronto il Cavaliere che aveva perso tutto il pelo, la carne, le ossa; ma non il vizio.

N.B: “Iliata” sta per Italia e “iliatesi” sta per italiani.

lunedì 23 settembre 2013

Battuta di caccia nel mio paese.

La foto è di Enzo Vitagliano
E’ mattina presto e mi aggiro fra le strade del mio paese, sembro un cacciatore ad una battuta di caccia; solo che al posto del fucile imbraccio una macchina fotografica digitale che nemmeno so usare tanto bene. Sarà la nebbia di questo inizio dicembre, saranno le strade tutte deserte o le tante porte tutte serrate che mi convinco che la mia sarà la caccia della desolazione. Il mio paese è un vero labirinto, ma io ne conosco ogni angolo; ogni pietra di questo luogo mi dice qualcosa: le strade che s’inerpicano in alto come serpenti, ora si restringono fino a diventare strettoie semibuie che noi chiamiamo trasonne e subito dopo ridiventano strade che s’infilano tra le case e sbucano tutte al castello. I primi dodici anni della mia vita li ho trascorsi qui a correre  e giocare, quando le strade appartenevano ancora ai bambini. Questi spazi una volta erano gremiti di gente, qui c’era vita, il tempo scorreva senza fretta ed io, sempre scalzo, giocavo e crescevo, crescevo e giocavo dalla mattina alla sera a qualsiasi cosa: a pallone, a trombone, a cavalletto, a bottoni, a semi di cachi, con semplici sassetti, con tappi di bottiglia schiacciati, allo schiaffo del soldato e ricordo che ci andavamo belli pesanti. Mentre m’inerpico per una salita più ripida i miei pensieri sono distratti dal rumore che fanno le mie scarpe nuove sull’acciottolato, me le guardo e ripenso a quando le avevo piene di buchi o non le avevo affatto e andavo scalzo. Guardo quelle case vuote e cerco di abbinarle al ricordo di chi le abitava un tempo e penso: chissà in quale parte del mondo è finita questa gente. Mi accorgo che inseguo le mie visioni, le non presenze; il mio paese ideale è fatto di assenze, di quello che non c’è: sono sparite le persone che mi davano gioia, non vedo nemmeno un cane; strano, eppure questo era il paese dei cani, una volta ce n’erano tanti; forse è troppo presto anche per loro. Solo le case sono sempre al loro posto, magari infreddolite ed immalinconite  mentre aspettano il ritorno di Ulisse, tante hanno cambiato il look coi soldi del terremoto: devo dire, in confidenza, che le preferivo com' erano prima, tutte scrostate, ma palpitanti di vita. Pure le strade sono sempre al loro posto, anche se sono orfane dei sassi di un tempo, caratteristica e vanto di questo paese che insieme ai sassi delle sue abitazioni le davano quel tratto medievale che gli appartiene: amministrazioni di barbari moderni che non hanno rispetto per la storia e per le cose passate pensarono bene che andavano rimosse. Hanno rimosso le pietre, ma nessuno ha pensato a qualche corrimano in più per gli anziani. Arrivo, tutto accaldato, a piazza Chiancato con l’idea di dissetarmi al vecchio fontanino e mi accorgo che hanno levato pure quello;  non mi resta che ripescarlo nell’archivio dei miei ricordi, quando facevo la fila per la provvista dell’acqua della mia famiglia. Ora che ci penso, non ne ho visti nessuno in giro, vuoi vedere che questi sapientoni hanno rimosso tutti fontanini? Già, noi siamo come i paesi africani, sempre col problema dell'acqua e proprio in estate quando arrivano i turisti. La Madonnina, per fortuna, è sempre al solito posto, all’angolo in alto, a vegliare sui pochi coraggiosi che sono rimasti e con un occhio benevolo rivolto ai tanti figli che hanno dovuto far le valige e andarsene. Anche se reputo che la luce non sia ideale, mi decido finalmente a fare qualche scatto con la mia macchinetta nuova per dare un senso a questa mattinata. Punto via Fratelli Bandiera, scatto e controllo subito il risultato: rimango sorpreso dalla bellezza della foto e allora prendo coraggio e dò inizio a tutta una serie di scatti: il Chiancato, Piazza Comune Vecchio, Via Monteforte; fotografo case, tetti, portali, trasonne, sassi, vasi di fiori davanti alle porte e un vecchio che sta curiosando dietro una finestrella bassa bassa. Le foto sono una più bella dell’altra. Non è solo merito della macchinetta, ma dipende anche dalla bellezza di questi posti che sono unici e sono miei. Mi porto al castello imperiale che palpita di storia: Svevi, Normanni ed Angioini; quanti l'hanno abitato a suo tempo: ora è stata una fortezza inattaccabile, ora una residenza regale  e piena di fasto di cui non rimangono che le sole mura; mobili e suppellettili sono spariti nel nulla. Mi porto proprio in cima alla torre, come facevo da bambino, e rivedo Sant'Agata avvolta nel freddo e nella nebbia che si va ormai diradando,  faccio qualche  foto da lontano ad  un panorama che toglie il respiro per quant'è bello e il mio sguardo si perde tra il grigio dei tetti, il marrone vivo-striato dei tratti di terra e il verde sfumato che tinteggia il Monte della Croce: che fantasia di colori!. Dopo qualche scatto, ripongo la macchinetta e rimango in silenzio a guardare il mio paese ancora addormentato e  mi par di sentire il suo cuore che pulsa piano sotto le case di pietra e penso alla mia vita di città, alle sue accelerazioni, ai rumori, al traffico cittadino, allo spavento che ci fanno  ora  le metropoli che ci ospitano e che vanno perdendo ogni fisionomia di luogo abitativo. Ermanno Olmi dice che rendere umana una metropoli, è come voler suonare il violino nelle officine dell'Ilva. Chi lo sentirebbe? Qui, invece,  è diverso: si respira un tempo magico, quasi sospeso;  ma pieno di vita e fuori  dal mondo inutile delle convenzioni  e lo leggi nel sorriso schietto della gente che ti saluta per primo anche se non ti conosce. Qui si vive una vita tranquilla, pur nella difficoltà del clima e delle distanze. In città, ad esempio,  accogliamo la neve come un evento utile solo a fare foto da mettere su facebook, mentre qui è un fatto normale che segnala il naturale avvicendarsi delle stagioni dell'anno e nessuno se ne  lamenta più di tanto; anzi i vecchi ricordano l'adagio ai più giovani:"sotto la neve pane, sotto l'acqua fame"  e  la neve viene quasi invocata come una necessità. Qui senti ancora il respiro ecologico che dovrebbe avere la nostra vita, quello stesso che si va perdendo in città, l'umanesimo proprio delle montagne che ti dà ancora l'idea di una comunità dose si coniugano bene sentimenti ed ambiente. Toh, sta spuntando il sole che sgomita in mezzo alle nuvole! Mi muovo per scendere in piazza, voglio incontrare
gente; chissà se mi riconoscerà qualcuno!
Buona vita!

martedì 17 settembre 2013

Pensioni come fossero medaglie al valore: d’oro, d’argento e di bronzo.



Capita pure come ieri sera, prima di addormentarti, prendi il telecomando e inizi il solito giro dei canali e tra i vari programmi di politica chiacchierata, ti soffermi su La7: stanno parlando di pensioni d’oro e t’accorgi che il nostro inguaiato Paese, da una parte nega la pensione  di mille euro al vecchietto che ha versato contributi per una vita, ma siccome non ha ancora raggiunto i sessantasette anni di età non può ancora andare in pensione e poi concede a uno come Sergio D’Antoni, ex sindacalista ed ex parlamentare, una pensione di 7.500 euro mensili da quando aveva appena cinquant’anni e, sempre allo stesso, un vitalizio da 8.700 come ex politico. Dice che le leggi lo permettevano. Insomma questo signore che ha lottato per far percepire ad un lavoratore comune mille euro al mese; lui ne percepisce quindicimila. Ma non è l’unico, anzi è uno di quelli che percepisce di meno; perché veniamo a scoprire che esiste un lunghissimo elenco di ex manager che percepiscono 40, 50 mila euro mensili. C’è qualcuno in testa a tutti come Mauro Sentinelli, ex manager telecom, che percepisce addirittura 91 mila euro al mese: qualcosa come tremila euro al giorno; uno scandalo! Il presidente degli USA ha dichiarato di percepire 320 mila dollari all’anno e questo Sentinelli ne prende un milione e cento di euro: cose dell’altro mondo!  Ed hanno pure ragione, perché le leggi dell’epoca glielo hanno permesso, leggi “ad personam” fatte da politici compiacenti a persone che non conosce nessuno, che non hanno portato alcun beneficio all’Italia e forse neppure alle aziende che dirigevano; tante le hanno addirittura mandate in rovina. Nessuno ha tenuto conto, all’epoca, che questi signori avrebbero percepito di pensione più di quanto avrebbero versato. Le loro pensioni le paghiamo tutti noi, le pagano anche quelle persone che di pensione non ne hanno nessuna, perché non hanno avuto un lavoro che gliela garantisse. Oppure perché non hanno maturato gli anni necessari, perchè licenziati o esodati. Dove sono quegli ideali di uguaglianza, di giustizia sociale, di equa distribuzione della ricchezza che uno stato democratico deve garantire a tutti i cittadini e di cui i nostri politici si riempiono continuamente la bocca? Vi ricordate Mario Monti quando prometteva di tagliare i costi della politica e ridurre i privilegi? Non è successo un bel niente! Sono ancora 930 parlamentari, tutti tromboni ancora seduti agli scranni che si parano il culo l’uno con l’altro e non riescono a fare uno straccio di legge elettorale e dopo appena un mandato hanno tutti  diritto a pensione; mentre un povero cristo che lavora in cantiere deve aspettare la vigilia della morte. E le lacrime della Fornero ve le ricordate, quando estorse l’allungamento dell’età pensionabile ai cittadini comuni? Cambiano i governi, ma non cambia la musica, si parlava di mettere un tetto di 5.000 euro per tutti: CHIACCHIERE! Di ridare indietro i finanziamenti dei partiti: CHIACCHIERE! Perché se li sono già spesi, prima di prenderli. Una cosa intollerabile, vera vergogna perpetrata negli anni e voluta dalle forze politiche per favorire questa o quella casta, amici degli amici, portatori di voti e di favori, uno scambio di potere. Uno schiaffo alla povertà e alla giustizia sociale. Scusate lo sfogo, questa sera andrò a letto incazzato.
Buona vita!

sabato 14 settembre 2013

ALTRI CINQUECENTO DI QUESTI POST!

Il blog maestrocastello ha raggiunto il traguardo di cinquecento post scritti in quasi cinque anni di vita. Ringrazio quanti hanno interesse a leggere periodicamente i miei articoli e i lettori di passaggio, a coloro che  dedicano un po’ del loro tempo alla lettura, in un periodo dove s’è perso completamente il gusto di leggere e la vita di molti si svolge nel mondo virtuale di facebook , ridotta a scopiazzare aforismi, dove il linguaggio si limita al solo: “Mi piace “.
Spero di avere salute e fantasia per continuare a proporre altri spunti che invitino a riflettere e a dare emozioni. Ringrazio il sito santagatesinelmondo  che pubblica quasi tutti i miei articoli e i vari gruppi su fb e Wikio, Virgilio ed altre agenzie che mi fanno l’onore di pubblicare i miei post.
Un invito ai miei ex allievi a non smettere di leggere, se già lo fanno o a riprendere a leggere, se hanno perduto l’abitudine. Diceva Flaubert: “Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi, o, come gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere”.
Buona vita!
P.S. A proposito, la torta è invitante, ma io non sono attrezzato coi denti; perciò la lascio tutta
a voi.

giovedì 12 settembre 2013

Un ciclone di nome Francesco.

Questo birba d’un Papa non finisce mai di stupirci, ogni giorno rompe il protocollo a cui gli altri papi si attenevano scrupolosamente e ne combina sempre una nuova. Quando parla non c’è mai nulla di scontato, non ha peli sulla lingua. Ad esempio, incontrando le suore delegate di molti ordini religiosi ha detto esplicitamente: “Siate madri non zitelle!”, oppure rivolto a preti e suore: “A me fa male vedere un prete o una suora su macchine di lusso” o quando ha fatto l’appello per una  Chiesa povera: “San Pietro non aveva un conto in banca”. Papa Francesco non si sottrae mai all’abbraccio dei fedeli e in particolare dei ragazzi. Durante le visite a San Pietro non declina le richieste dei giovani a farsi immortalare con i telefonini; appare in posa come fosse un amico qualsiasi, addirittura, la scorsa settimana,  vedendo che un ragazzo sgomitava per scattargli una foto, ha voluto che gli consegnasse il telefonino e se l’è scattata da solo. Incredibile per un Papa! La foto  è stata postata anche su Twitter e ha fatto il giro del web con tanto di commenti entusiastici del tipo: “Papa Francesco sempre più social”, oppure “Il Papa fa l’autoscatto e prepara la domenica dei palmari” o  “Questo Papa è troppo avanti” e ancora “Papa Francesco sei la cosa più luminosa in questo momento di caos!”. I maligni sostengono che questi gesti sono solo esteriorità e che nelle cose che contano la Chiesa è restia a cambiare. Noi apprezziamo invece questi gesti come un segnale positivo da parte del capo di un’istituzione che era rimasta statica per troppi anni. Questo papa nero vestito di bianco ci dà speranza, ci danno speranza i gesti che continuamente va compiendo a favore dei diversi e della povera gente, ad esempio, quando chiama uno studente gay e cattolico di Tolosa che gli  aveva scritto per confidargli le sue difficoltà e gli dice: “La tua omosessualità non è una cosa grave” o l’altra telefonata alla trentacinquenne Anna Romano, ragazza divorziata incinta ed abbandonata dall’attuale compagno che la voleva far abortire: Papa Francesco le ha fatto coraggio e le avrebbe promesso di battezzare personalmente il suo bambino. Uno che afferma:”Chi sono io per giudicare gay e divorziati?” non ti dà forse speranza? Uno che si schiera apertamente contro la guerra; non ti dà forse speranza? Aristotele dice che la speranza è un sogno fatto da svegli e noi diciamo a questo Papa: Forza, Francesco, facci sognare!
Buona vita!

sabato 7 settembre 2013

Gli italiani popolo di scrittori.

Gli italiani amano le arti. Hanno l’arte della chiacchiera e della polemica, conoscono anche l’esistenza dei libri, ma non ne leggono molti; anzi non leggono affatto e preferiscono tramandarsi oralmente  leggende, racconti e molti proverbi con i quali infiorano ogni conversazione, proprio come i Rom. L’italiano non legge, ma bisogna ammettere che scrive. Dategli una matita (pardòn), una bomboletta e un muro bianco, meglio se tinteggiato di fresco: comincerà a lasciarvi le sue riflessioni e tracce che comprendono nome e data. Se poi è certo di non essere disturbato durante il lavoro si abbandonerà ai suoi generi preferiti, lo scatologico (da skatos = escrementi)  del tipo: “ Renato è un pezzo di merda!” o  erotico: “Mariangela la dà a tutti!”. Mettetelo a confronto con altri scrittori, affronterà il genere polemico: “ A Zoro, sei na pippa!”.  Annoiatelo : passerà alle ingiurie: “ Mario, sei un cornuto!”. Più avanti comincia la letteratura non impegnata che non lo interessa, benché sia disposto a uno strappo per la lirica pura e la riflessione profonda  del tipo: “Il futuro non è più quello di una volta.” o “ Alla fine non voglio bene a tutti, voglio bene solo a Mara”. Vogliamo dire una volta per tutte che chi appone la firma su muri appena dipinti, su negozi o palazzi dà segno di inciviltà e non merita la stima del cittadino comune né tanto meno degli artisti dell’aerosol, ovvero coloro che disegnano i muri con le bombolette, i writers? Bisogna fare una distinzione tra graffiti e tag: i primi sono una forma di espressione artistica per mezzo di immagini più o meno complesse  e questi lavori sono spesso ritenuti vere opere d’arte; mentre le seconde solo segni e firme eseguite con un colpo di spray. La  scritta è espressione di vacuità, di qualcuno che non ha niente di meglio da fare e, se ciò accade ad un giovane, rappresenta un segnale molto triste di un disagio personale che, se si estende, può diventare disagio sociale. La scritta è una forma di comunicazione personale che rappresenta un gesto di autoaffermazione e trasgressione nello stesso tempo. Perché imbrattano questi ragazzi? Lasciare la propria firma è un modo per dire io esisto, sono passato di qui e ho lasciato un segno che mi farà ricordare e riconoscere con la mia nuova identità. Una inequivocabile richiesta d’attenzione in una società troppo affollata e distratta. Quelli che mi fanno impazzire sono i “poeti dei muri” , coloro che scrivono frasi d’amore sotto le case delle innamorate, presi da una voglia dirompente di gridare a tutti i propri sentimenti, per scaricare le proprie paure o per vincere la timidezza di dire le stesse cose faccia a faccia. “Fede ti amo un casino”, “Principessa torna a volare con me” o “”Io ho freddo! Fiammetta mi riscalda il cuore”, oppure “Non accettare sogni dagli sconosciuti”. C’è un’urgenza di comunicare che non vuole aspettare né lettere, telefonate, né e-mail o sms, mms. Attraverso spray e bombolette si esteriorizzano stati d’animo come la rabbia, la confusione, la trasgressione, ma anche la felicità e l’amore (corrisposto o no). Eppure queste scritte qualcosa ci dicono: visti i tanti errori di sintassi e di ortografia, si capisce che la scuola con loro non ha funzionato; ma ci segnalano soprattutto la volontà di raccontare vissuti e dichiarare sentimenti che la società troppo presa dal suo veloce mutare fatica ad accorgersi di questi ragazzi. Forse sarebbe il caso di prestare più attenzione ai nostri giovani, parlarci di più e non lasciare invece che si rivolgano a un muro per farsi notare o per sfogare le proprie paure e insicurezze e loro lo fanno perché sono certi che tanto non li ascolterà nessuno.
Buona vita!