lunedì 21 settembre 2015

Un tuffo nel passato.

Se chiudo gli occhi, mi rivedo bambino a vivere la mia spensieratezza. Le tasche sempre bucate, perchè vi tenevo i sassi, spesso camminavo scalzo per la povertà dei tempi o per abitudine e se litigavo, dopo poco facevo la pace.  Allora pensavo magari che mi mancassero tante cose, ma non me ne importava poi tanto. Non avevo grilli per la testa, si era tutti nelle stesse condizioni e ci divertivamo con niente. Avevo paura del buio e dei carabinieri, se il maestro mi puniva; a casa mi davano il resto. La mia merenda era pane e zucchero, pane e uva, pane e pane. Il gelato costava poco: lu cuppetiélle cinque lire e mia madre non me lo poteva comprare e quando succedeva; me lo facevo durare un secolo. La chewin gum, ciuca in dialetto, ce la passavamo da bocca a bocca e non abbiamo mai preso malattie, andavamo in piazza a raccogliere mozziconi per farci le sigarette e, in mancanza, fumavamo di tutto, perfino i fili di paglia sotto le sedie. Il ghiaccio lo vendevano a pezzi, le sigarette te le davano anche sfuse e pure la pasta. Quando ti sedevi a tavola il menù non era molto ricco: quasi sempre pasta fatta in casa con verdure raccolte in campagna: foglie di zucca ( li tàrre), broccoli ( li vruòcchele) , bieta (re jéte) o una varietà di erba mangereccia che da noi chiamano marascioni (li marasciùne). E la carne? Direte voi. Noi eravamo vegetariani senza saperlo, ma per necessità; la carne la mangiavo qualche volta la domenica, alle feste comandate o quando un vicino ammazzava il maiale. Avevamo rispetto per gli anziani e per gli animali, ci insegnavano a salutare per primi le persone più grandi di noi. Erano tempi duri, ma spensierati; almeno per noi piccoli. Comunque non ho rimpianti, perché penso che il passato è bello per essere ricordato, non per essere vissuto.

Buona vita!

maestrocastello

giovedì 10 settembre 2015

Sant'Agata andata e ritorno.


Eravamo fuggiti da città che sotto la calura di agosto ci erano ancora più insopportabili e siamo approdati alla nostra Sant'Agata illuminata dalla luce di agosto, luce esagerata in un cielo più luminoso che altrove. È stato bello vivere il paese in festa fatto di luci, di luoghi, di racconti, è stato bello attraversarlo, raccontarlo, ritrovarlo nelle facce degli amici dell'infanzia, nel dialetto ancora genuino dei vecchi, cantarlo nelle serate in piazza, odorarlo sulle tavole imbandite di burrini, di trecce e di caciocavalli; per non parlare dei forni traboccanti di odori di taralli e di pane appena sfornato. L'origano di Sant'Agata, poi, mi fa impazzire già l'odore; lo metto dappertutto, pure nel caffellatte; oramai non saprei farne più a meno. Potenza del web, ora tutti ci conosciamo; pure senza esserci mai visti. I sorrisi, gli abbracci e perfino le lacrime in un'apoteosi di festa e d'incontro, noi venuti da tanto lontano per ritrovare l'amico che non vedevi da una vita, la gente che conoscevi solo di nome e ciascuno di noi, santagatesi nel mondo, ha percorso chilometri, per farci trovare puntuali ad un pranzo! Sono due anni che ci incontriamo a Sant'Agata e quest'anno superavamo le settanta unità. Qualcuno è arrivato perfino dall'America, contento di incontrarsi con noi. Intanto mi chiedo: qual è il filo che ci lega? L'appartenenza! Siamo partiti un giorno col pullman di Barbato e mai nessuno di noi ha disfatto sul serio la valigia e basta tirarla da sotto al letto che è già pronta diretta al paese. La lingua, poi, il nostro dialetto è il maggior collante che ci accomuna veramente, senza bisogno di conoscerci; tanto si sa, tutte le nostre storie hanno punti in comune e sono diverse tra loro. La bella notizia è che ho visto moltissimi ragazzi nelle feste in piazza, di certo attratti dalla musica, ma non solo. Ci sono tanti di essi che si sono messi a fare qualcosa per restare nei luoghi dove sono nati o per tornarci dopo aver studiato fuori e questo fa ben sperare per il futuro. È ormai scongiurata l'idea della fuga. Siamo forse alla fine di un mondo e all'inizio di un altro. Le nostre terre offrono mille risorse e sta solo nella inventiva dei giovani saperle sfruttare, Le città ora stanno scoppiando e noi che le abitiamo ne facciamo ormai parte, ma ai giovani, una volta terminati gli studi, conviene ritornare alla base o fare il grande salto. Oramai, il Nord di una volta, oggi si chiama mondo ed al posto della valigia con lo spago, i nostri figli e nipoti avranno il portatile e lo zaino colmo di tante speranze. La mia gioia è stata nel sapere di un paese che s'impegna a tenere vive le proprie tradizioni e ne va fiera, sapere della creazione di circoli di lettura, mostre di pittori locali, presentazione di poeti e scrittori santagatesi; insomma, un paese vivo che ha piena consapevolezza di una propria identità e ne va fiera. Ecco come una settimana soltanto di permanenza al proprio paese diviene una vera e propria festa che produce felicità e fa nascere la convinzione che bisognerebbe restare dove si nasce, respirare quei luoghi e realizzarvi i propri sogni; ma la realtà dice che bisogna purtroppo ripartire ancora una volta.
Buona vita!
maestrocastello