lunedì 19 dicembre 2016

Monumento dell'emigrante a San Marco in Lamis : "La partenza".

In ogni nostro paese, specie in quelli a sud dell'Italia, accanto al monumento al milite ignoto; sarebbe d'obbligo un monumento all'Emigrante e non per intenti celebrativi, ma come segno di riconoscenza e d'amore verso tanti figli strappati alla loro terra d'origine e costretti, per mancanza di lavoro, ad emigrare altrove.
La scena della partenza dal paese era certo il momento più straziante che tanti artisti hanno voluto raffigurate con bozzetti in creta o bronzei e che troneggiano in tante piazze di paesini italiani, a simboleggiare gli oltre dieci milioni di emigrati che,  a cavallo fra il XIX e il XX secolo, lasciarono l'Italia.
Anche San Marco in Lamis, paese in provincia di Foggia, ha il suo monumento dedicato all'emigrante, un complesso monumentale intitolato appunto " la partenza", che l'artista locale Filippo Pirro realizzò nella primavera 2004.
L'opera comprende un gruppo umano in bronzo: l'emigrante, la sua sposa e il loro piccolo, che raccontano il dramma dell'emigrazione che si consumava nei nostri paesi non molto tempo fa e sta tornando purtroppo di attualità.
L'uomo reca in mano la famosa valigia di cartone che testimonia lo strappo dalle sue radici  e come dice Rodari,  vi porterà dentro " un vestito, un pane, un frutto // e questo è tutto // Ma il cuore no, non l'ho portato//nella valigia non c'è entrato.
Assiste a questa scena il paese, non come spettatore passivo; ma come protagonista disperato di questo distacco: case, strade e sassi paiono sofferenti a questa scena.
Nel 2013 il bravo artista ha lasciato la sua famiglia a custodire quest'opera e quanti nutrono amore per l'arte e per la propria terra.
Il gruppo bronzeo resiste bene al tempo, ma il paesaggio che fu realizzato totalmente in terracotta ha subito danni a causa di agenti atmosferici, incuria e vandalismo.
La famiglia chiede aiuto per convertire la parte di terracotta in bronzo, per garantirne la conservazione in futuro.
La famiglia garantisce la direzione artistica e l'esecuzione dei lavori, per l'illuminazione e la cura del verde dove è ubicata l'opera s'è mostrata sensibile al problema un'associazione locale; ma gli alti costi della fonderia richiedono l'aiuto e lo sforzo di quanti, cittadini di San Marco in Lamis vicini e lontani, hanno a cuore questo paese, la sua storia e le sue tradizioni.
Insieme ce la possiamo fare.

maestrocastello

https://youtu.be/eQpT676rBDo

martedì 13 dicembre 2016

VÀZAPP.

"Linea Verde" è approdata in provincia di Foggia. Chi non ha visto "Linea Verde" di domenica 11 dicembre, si è perso un'ora buona di televisione davvero interessante. La nota trasmissione di Rai1, condotta da Patrizio Roversi e Daniela Ferolla, è approdata nella Puglia dauna per raccontare l' iniziativa intrapresa da un gruppo di arditi giovani pugliesi, convinti a non muoversi dai loro paesi, che hanno deciso di coltivare il futuro nella propria terra. Lodevole il coraggio di questi ragazzi che hanno compito di sanare il rapporto spesso conflittuale tra tradizione e innovazione, soprattutto in agricoltura, l'ambito lavorativo dei loro padri e che essi stessi hanno scelto per realizzare i sogni futuri. Si tratta di un progetto innovativo, in linea con la cosiddetta agricoltura 2.0., un sistema di ultima generazione che mira a portare l'agricoltura ovunque, anche nelle aree urbane più congestionate come le grandi città, impiegando sistemi differenti. A supporto di questo progetto, non solo vi è un accordo di collaborazione con l’Università di Foggia, ma anche la presenza attiva di due docenti dell'Ateneo pugliese, proff. Stasi e Lombardi, che fanno da registi al progetto. CONDIVISIONE, RELAZIONE e RICERCA sono le parole d'ordine di questi giovani agricoltori ed è per questo che essi sono in stretto contatto col "VÀZAPP" foggiano, il primo hub rurale in Puglia pensato per accogliere giovani che, grazie alla relazione e allo scambio di sapere, possano diventare fermento per i mondi dell’agricoltura del futuro e del turismo in questa parte della Puglia. Sempre nell'ambito del progetto è nato un format motivazionale e aggregativo "La cena dei contadini" (20 cene in 20 masserie, con 20 nuovi giovani agricoltori ogni volta) che ha già fatto nascere sinergie e dato vita a collaborazioni concrete tra persone che, altrimenti, non si sarebbero incontrate. Alla sua prima edizione, "VÀZAPP" nel 2016 ha messo attorno alla stessa tavola, cena dopo cena, 400 giovani agricoltori per ascoltarli, scambiare esperienze di vita, progetti e conoscenze. Noi di Sant'Agata di Puglia siamo fieri di avere anche un nostro compaesano fra questi agricoltori, il bravo Luigi Daquino, giovane dinamico e pieno di mille iniziative, vero appassionato della vita dei campi che abbiamo conosciuto ed imparato ad apprezzare sui social. Siamo convinti che Luigi metterà in campo tutte le sue energie e la sua creatività per arricchire con le sue idee il progetto e ci auguriamo che altri santagatesi seguano il suo esempio. Nella puntata di domenica, abbiamo visto tutti i giovani utilizzare le moderne tecnologie per comunicare fra loro, mettere in campo  nuove idee in agricoltura, importando colture che non s'erano mai viste prima e metodi di lavorazione innovativi. Puntando sull'innovazione e sulla qualità dei prodotti, questi giovani hanno progetti ambiziosi, progettano di creare un proprio marchio ed un mercato al passo coi tempi, quello online che parli tutte le lingue. La crisi vera è quella delle idee e finché ci saranno tanti giovani con molte idee, le crisi sono tutte superabili. 
In bocca al lupo, ragazzi!

maestrocastello

domenica 11 dicembre 2016

La sinistra, la mano del cuore.

Scrivi con la mano bella!
A scuola un tempo lo dicevano a chi aveva la tendenza a scrivere con la mano mancina.
Essere mancini rappresentava una vera e propria disgrazia nell’Antica Roma: tutte le persone mancine, infatti, venivano considerate inaffidabili e si diceva che portassero sfortuna!
Indicare con il braccio sinistro, così come fare qualsiasi altra cosa (mangiare, ad esempio) con questo braccio era considerato un cattivo presagio e i mancini venivano mal visti da tutti; erano chiamati “Sinistri”, un termine che si usa ancora oggi, ad esempio, per indicare un incidente, un tizio che porta male, uno sguardo cattivo.
Fino a non molti anni fa la scuola imponeva a bambini mancini una sorta di riabilitazione forzata, obbligandoli a scrivere e mangiare con la loro mano più destra. La mano sinistra la legavano con un fazzoletto per non farla utilizzare. Ora la situazione sociale dei mancini è molto migliorata.
I mancini sono considerati più creativi, più abili, più ricchi, in quanto hanno funzioni cerebrali distribuite in entrambi gli emisferi; a differenza dei destrorsi le cui funzioni legate al linguaggio risiedono esclusivamente nell'emisfero sinistro.
Dopo secoli di repressione, numerosi studi hanno infatti confermato che i mancini, il 10% circa della popolazione mondiale, hanno una marcia in più per poter battere i destrimani in numerosi ambiti.
Nella storia si annoverano un'infinità di grandi personaggi che erano mancini, come Aristotele, Giulio Cesare. Alessandro Magno, Carlo Magno, Gandi; e così ne annoveriamo in ogni campo.
Oltre ad Albert Einstein (mancino corretto, come era prassi all'epoca), Obama, Bill Gates, Charlie Chaplin e Marilyn Monroe nel cinema, Bob Dylan e Phil Collins nella musica, i più grandi calciatori come Platini, Maradona e Pelé, e personaggi come Kafka, Kant, Beniamino Franklin e potremmo continuare.
Diciamo che la mano bella era la sinistra, solo che non lo sapevamo.
Buona vita!

mercoledì 30 novembre 2016

Calligrafia o "bella scrittura ".

Che fine ha fatto la Calligrafia o "bella scrittura"?

Nella scuola che adoperava la penna ad inchiostro si insegnava una materia chiamata " Calligrafia e bella scrittura".

Poi arrivò la penna a sfera a scombinare tutto e la calligrafia scomparve dalle pagelle e queste presero il nome di "scheda" e scomparvero anche i voti, soppiantati dai "giudizi".

Può sembrare anacronistico parlare ancora di cura della grafia quando il mondo sta andando verso l’uso esclusivo del dito indice poggiato su una tastiera e la scuola che pensa ai disgrafici ci dice che non importa scrivere in bella grafia.

Eppure oggi la bella grafia viene sempre più rivalutata ed è diventata arte e mestiere.

Scrivere bene è un'abilità speciale e tutti siamo portati ad apprezzare una bella calligrafia, anche se un tempo si diceva "l'intelligenza dello sciocco".

Scrivere manualmente è un'abilità che per fortuna ancora s'insegna a scuola, inizia da quando ci insegnano a tenere la penna, alla scrittura del corsivo, apprendimento questo che rende più fluido il pensiero ed è strumento pedagogico e terapeutico, inspiegabilmente sottovalutato oggi; infatti quasi metà degli studenti delle scuole superiori non riesce più ad utilizzare il corsivo e mescola lo stampato maiuscolo e minuscolo, quando non scrive addirittura tutto a stampatello.

La scrittura manuale è assai importante perché attiva la connessione mano-occhio-cervello, stimola le aree deputate all'apprendimento, favorendo quindi l'assimilazione e la memorizzazione dei concetti.

Usate pure la tastiera del computer, ma non abbandonate mai la penna!

Scrivete bene o scrivete male, ma scrivete; va bene pure se scrivete a zampa di gallina.

Buona vita e buona scuola!

lunedì 7 novembre 2016

Il ragù della domenica.



Il ragù o rrahù, come diciamo al mio paese, mi scatena qualche ricordo: la cosa che faceva infuriare di più mia madre era quando uno di noi scoperchiava di nascosto la pentola del sugo e vi affondava dentro una fetta di pane, lasciando all'interno tracce di mollica.
Il ragù della domenica lo faceva mio padre ed era come una funzione religiosa. Questa cerimonia iniziava al mattino: la pentola andava a fuoco lentissimo, ospitava prima il soffritto e mano a mano arrivavano pomodori a pezzetti, odori e salsa di pomodoro che preparavano l'arrivo degli ospiti d'onore che erano gli involtini, immancabili la domenica a casa dei miei. In quella pentola non potevi affondare fette di pane perché papà la teneva sotto controllo continuamente e la seguiva durante il borbottìo e la mescolava spesso per non "farla attaccare". Io, che la domenica dormivo fino a tardi, mi svegliavo puntualmente nel preciso istante che papà aggiungeva al ragù un bicchierino di "Vecchia Romagna etichetta nera" e quel ragù cominciava ad emanare un profumo in tutta la casa che avrebbe risvegliato pure i morti.
Quando era l'ora del pranzo, tutti a tavola a divorare le orecchiette fatte a mano da mamma che si affondavano nel sugo di papà.
Poi veniva la volta degli involtini e qui mi vengono alla mente due cose: la prima che spesso mi pungevo il palato con lo stecchino che mamma metteva per chiudere ogni involtini e l'altra: che puntualmente mi macchiavo di sugo l'unica camicia bianca che m'ero messo per l'occasione.

Buona vita!

maestrocastello 

sabato 5 novembre 2016

Quanto sei bella Roma!

Il fatto è che Roma accoglie tutti, anche chi non se lo merita.
Chi scende da un treno e comincia a sputare su tutto ciò che vede e intanto approfitta delle opportunità che qui riesce a trovare, non se la merita una città come Roma. Opportunità che a volte neanche i Romani vedono ma che ci sono.
Sento sempre più spesso parlare male di questa città e non capisco perché la gente non se ne stia a casa propria invece di criticare una realtà come Roma, una metropoli che è unica al mondo e proprio per questo ha problemi che nessuna altra città ha, nel bene e nel male. Statevene nelle vostre cittadine, nei vostri paesi, nelle vostre case, non venite qui, davvero! Le persone di altri posti che si lamentano di Roma mi fanno molta tenerezza perché sono le stesse che poi si vantano con gli amici di aver visto il concerto figo, di essersi fatti un selfie davanti al Colosseo o di avere una laurea presa a La Sapienza.
 Trovo ancora più ridicoli i Romani che esaltano la propria città in tutto e per tutto e poi non la vivono come invece andrebbe fatto, perché in realtà non la conoscono e allora si attaccano all'identità di quartiere e ai luoghi comuni della romanità, diventando involontariamente promotori del degrado di Roma.
Eppure Roma se ne frega come ha sempre fatto e accoglie chiunque da secoli, incrollabile e beffarda in quanto consapevole di tutto ciò che la rende grande, cosa che solo chi la ama davvero può percepire e sentire come una parte del proprio essere, quasi come fosse la propria gamba o il proprio braccio.
Roma non è razionale, non è ordinata, non è pulita. Roma è un casino. Roma è sorprendente, fuori luogo, irriverente. Roma è il bicchiere in pizzo al tavolo, è fastidiosa, inconcepibile, mette ansia. Eppure proprio per questo è divertente, stimolante. Roma è stupefacente.
Roma è una gran signora che alle offese di tutti risponde con una fragorosa risata, mentre stesa sul Tevere si gode un altro incantevole tramonto e si lava di tutte le sozzure che le sono state tirate addosso.

(Articolo di Ilaria Castello condiviso su Facebook)

venerdì 4 novembre 2016

MAI PIÙ GUERRA!

Leggo l'elenco dei morti in guerra sotto il monumento del Milite Ignoto del mio paese e penso.
Questo è solo un elenco, il nostro elenco. Ogni paese ha nella piazza principale il suo elenco di morti, quanti morti provoca la guerra. Oggi ricordiamo le vittime di tutte le guerre, morti con onore, per carità; ma sarebbe stato meglio che fossero stati con noi e morti di vecchiaia.
Giovani che non sono più tornati in famiglia, mariti che hanno lasciato nel pianto vedove ed orfani al paese; figli della nostra terra che erano andati a combattere per la Patria ed hanno trovato la morte.
Che brutta cosa la guerra, muore solo chi ci va in guerra e mai chi la decide.
Le donne e i bambini, poi, partecipano solo come vittime.
Io spero che gli uomini comincino a pensare e sono sicuro che un giorno faranno una guerra e nessuno vi parteciperà e non per codardia; ma perché finalmente vincono testa e cervello. Diceva Federico II di Prussia: " Se i miei soldati cominciassero a pensare, nessuno rimarrebbe nelle mie fila".
Pensiamola in modo diverso su tante cose, ma sulla guerra, per carità, pensiamola allo stesso modo: MAI PIÙ GUERRA!

maestrocastello 

domenica 30 ottobre 2016

Quando la zucca si chiamava "Checózza ".

LA CHECÓZZA
La zucca a Sant'Agata la chiamiamo " la checózza " ed oltre a mangiarla, noi bambini ci divertivamo da piccoli a svuotarla dei semi, modellarla con un temperino, fino a farla diventare "nu facciòme": con tanto di occhi, naso e bocca; spesso frastagliata e ci mettevamo dentro una candela ( lu ceròcele); così si trasformava in una vera e propria lanterna. A guardarla bene, questa faccia illuminata, creava fascino oppure metteva spavento e noi la mostravamo in giro con chiaro intento di spaventare amici e parenti.
Senza saperlo,  noi ragazzi anni 50/60 avevamo anticipato la festa di Halloween, una festività celtica, di moda oggi anche in Italia, di cui a quei tempi non conoscevamo ancora l'esistenza.
Halloween, che ha contagiato mezzo mondo, si festeggia la notte del 31 di ottobre e negli Stati Uniti ha assunto forme accentuatamente macabre e commerciali. 
Noi italiani, che non ci facciamo mancare mai nulla, anche se siamo sempre indietro nelle cose che contano, non potevamo lasciarci sfuggire questa ennesima occasione di festa e così Halloween è entrata nella nostra tradizione festaiola. I nostri ragazzi, domani sera si travestiranno da zombi o da lupo mannaro e al grido di "dolcetto o scherzetto " e si divertiranno a cercar di spaventare i loro coetanei.
Molti la vedono come una festa in competizione con le nostre tradizionali feste religiose, forse perché capita proprio a ridosso del 2 di novembre e alla festa di Ognissanti. 
Una volta le feste pagane venivano sostituite da feste cristiane, ora avviene il contrario e tanti vedono la festa di' Halloween come festa pagana, ostile e contraria ad un contesto di riflessione e di preghiera a cui invitano le nostre feste religiose dei prossimi giorni.
In verità non c'è da scandalizzarsi che Halloween sia riuscita nel giro di pochi anni a conquistare il nostro Paese con una rapidità e una capacità di penetrazione impensabili, in effetti non è altro che una ripresa di tradizioni antiche, legate alla vita dei campi, alla fine dei raccolti e all'inizio della nuova stagione della semina; tradizioni che si erano abbandonate o in qualche modo snaturate.
Halloween, già nel nome, non indica che la fine della stagione dei raccolti e l'inizio di un nuovo anno di fatiche nei campi. La sopravvivenza di tante famiglie era legata, allora, all'esito che aveva il lavoro bei campi e i contadini, un tempo, confidavano in tante credenze e cerimonie divinatorie.
Secondo le antiche credenze, in questa notte le anime dei morti tornavano sulla terra con streghe, demoni e fantasmi. Già nel Medioevo indossavano maschere per allontanare la morte e fare riti propiziatori. 
Oggi i bambini e i ragazzi nel nostro Paese si sono entusiasticamente appropriati, o meglio riappropriati, di questa festa, e in questo modo sono tornati ad essere protagonisti di una celebrazione folklorico-rituale e lasciamo che si divertano. 
Sarebbe bello e utile aggiungere al loro entusiasmo e al loro divertimento anche una maggiore consapevolezza rispetto a ciò che stanno facendo e rappresentando e quindi spiegare loro il vero significato di questa festa e che la festa abbia inizio!

Buona vita!





giovedì 13 ottobre 2016

Dario Fo

È morto Dario Fo,a marzo aveva compiuto 90 anni. L'ultima volta che l'ho visto in televisione è stato da Fazio, a "che tempo che fa", proprio in occasione del suo compleanno. Dopo l'intervista ha fatto uno dei pezzi celebri del suo teatro e mentre l'osservavo, mi meravigliavo per la sua lucidità, la memoria sempre pronta e la grande capacità di affabulare lo spettatore.
Poi l'ho visto piangere quando è morta sua moglie Franca e l'ho apprezzato per aver esternato sessant'anni d'amore per la stessa donna.
Sul web oggi leggo di tutto: chi lo esalta e chi lo dileggia; a seconda dell'appartenenza politica; si sa che lui era uomo di sinistra, anche se fuori dal coro.
C'è chi l'ha addirittura ribattezzato da Dario Fo in Dario Fu. 
Lui comunque va ricordato come intellettuale ed grande uomo d'arte. È stato drammaturgo, attore, scrittore, paroliere, scenografo e bravissimo pittore; insomma, un grande uomo di cultura che il mondo ci invidiava.
Centinaia di testi al suo attivo e "Mistero buffo" è il suo capolavoro, dove, alla maniera dei menestrelli medievali, ha inventato un linguaggio nuovo del teatro con stilemi comici propri della Commedia dell'arte italiana, un successo in tutto il mondo che gli valse il Nobel per la Letteratura nel 1997 con questa motivazione: "Perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi".
Con Eduardo, Dario Fo è stato e resta uno dei massimi esponenti del teatro italiano del Novecento. 
Con Dario Fo, scompare un grande della cultura italiana.
maestrocastello

domenica 2 ottobre 2016

Viva i nonni!

Oggi la Chiesa celebra  i Santi Angeli Custodi e non potevano scegliere giornata migliore da dedicare alla festa dei nonni, dei veri e propri angeli custodi dei nipoti in terra.
Auguri ai nonni di tutto il mondo, a questi bambini nel corpo di grandi, un concentrato incredibile di tenerezza e dolcezza da cui attingere attenzione, affetto, e continua disponibilità.
I nonni sono importanti all'interno di una famiglia, sono dei tutor per grandi e piccini, il collegamento fra generazioni diverse; un prezioso punto di riferimento.
Se non sei nonno o nonna, non puoi capire. Da nonno diventi un altro.
Persone che per una vita sono state di una serietà e compostezza incredibile, si trasformano completamente, davanti al bimbo in carrozzina lo vedi rincretinirsi completamente, fare lo scemo per farlo sorridere.
Il nonno fa per il proprio nipotino ciò che magari non ha mai fatto per il figlio: diventa suo amico e suo complice, suo compagno di gioco, scende al suo livello, conversa continuamente con lui trovando risposte ai suoi perché, lo coccola, lo vizia e lo fa sorridere.
I nonni li ricordi tutta la vita e, quando li perdi,  lasciano un vuoto incolmabile. 
Quando siamo grandicelli, sembriamo a volte scordarci dei nostri nonni, se non a bussare cassa per il cellulare nuovo o per altra impellenza.
Cosa possiamo fare per i nostri nonni? 
Poiché di regali sono loro a farne tanti a noi continuamente, possiamo dedicare loro un po' del nostro tempo, alla nonna fanno piacere i fiori, quando gioca a carte il nonno ama vincere, troviamo più occasioni per stare a pranzo da loro e prestiamo per una volta più attenzione a quel racconto di guerra che conosciamo ormai a memoria e chiamiamoli ogni tanto, anche solo per un saluto.
I nonni godiamoceli finché ce li abbiamo, poi sarà inutile cercarli nel cielo; avranno il cellulare spento.
Viva i nonni!

martedì 27 settembre 2016

Un capitano.

Auguri, capitano!

Più 40 e ci siamo arrivati.
Francesco Totti, classe settantasei, compie oggi quarant'anni,  che per un calciatore normale è una cosa rara, ma lui che normale non è; corre ancora in mezzo al campo ad altissimi livelli con giovanotti che potrebbero essere suoi figli.
Fatti gli auguri di rito, non voglio parlare dei numeri di Francesco: delle partite giocate tutte nella stessa squadra, del numero delle reti realizzate e che ancora continua a realizzare; non posso scordare il cucchiaio su rigore fatto a Van der Saar in quell'europeo raddrizzato all'ultimo minuto; Totti è in possesso di una classe superiore, tanto che il mitico Pelè lo considera il Pelè bianco.
Certo se avesse preso in seria considerazione l'idea di allontanarsi da Roma, avrebbe vinto tanto di più, ma si sa che al cuore non si comanda e i suoi tifosi questo non lo scordano.
Totti che ultimamente a Roma è divenuto un caso per come è stato trattato dal suo allenatore, è in procinto di lasciare a giugno e con lui tramonterà pure l'ultima bandiera del calcio italiano. I suoi tifosi questo l'hanno capito da tempo e non perdono occasione per dimostragli tutta la loro stima e il loro attaccamento. Francesco Totti è un campione conosciuto dappertutto,  al Santiago Bernabeu, gli spagnoli si sono levati tutti in piedi all'ingresso in campo di Totti, perché hanno capito che entrava un vero talento del calcio; chi non l'ha ancora capito è Spalletti, suo attuale allenatore, che Ilary, in una recente intervista alla Gazzetta, ha mandato in nomination.
Totti all'Olimpico porta il sole, con lui entrano in campo estro, classe e fantasia che solo i grandi campioni sanno portare. Molti tifosi della Roma vanno allo stadio esclusivamente per vedere lui e con lui in campo lo spettacolo è assicurato.
Totti come Del Piero sono le ultime bandiere di un mondo che appartiene al passato, dei veri campioni che racconteremo ai nostri nipoti:
- Totti? Io l'ho visto giocare, ubriacava l'avversario, segnava e faceva segnare e faceva il cucchiaio.
E quando ti chiederanno:
- Nonno, cos'è il cucchiaio?
Saremo lieti di dire loro:
- è quando il portiere resta seduto davanti la porta , con la testa per aria, a guardare il pallone che gli cade alle spalle, dritto dentro la propria porta e va in goal.
Aspettando quel giorno, auguriamo intanto a Totti una mega festa per il suo quarantesimo compleanno e adesso che è entrato negli "anta", dall'anno prossimo lo vorremo a nostro fianco, a tifare per la Roma fino ai novanta.
Auguri, capitano!


lunedì 19 settembre 2016

Tutti in coda per l'ultimo mela-fonino.

Il mela-fonino.
Tutto come previsto: l'azienda della mela morsicata lancia l'ultimo mela-fonino e i nostri ragazzi accorrono in massa, come tanti pecoroni, a mettersi in fila davanti agli Apple Store, dalle cinque del mattino, per accaparrarsi il nuovo iPhone 7 e iPhone 7 Plus.
Sono giovani e giovanissimi che all'apertura vengono accolti con un applauso dal personale della Apple che offre loro caffè, cornetti e acqua, in quanto alcuni hanno trascorso la notte nelle auto del parcheggio, attrezzati di coperte e sacchi a pelo.
Il fenomeno, unico nel suo genere, dimostra chiaramente che nemmeno la crisi può togliere a un cellulare il rango di status-symbol. A patto che sia Apple. Per molti dei giovani in fila avere l'ultimo iPhone è un segno di distinzione, li fa sentire superiori e le lunghe attese in fila così «valgono la pena».
Siamo al punto che se  i giovani vedono in giro un altro che ha  l'iPhone, anche se non lo conoscono, sanno già che è un tipo giusto,  un tipo superiore, uno che la pensa come loro.
Senza scadere in facili moralismi, senza chiederci come facciano dei ragazzi in tempo di crisi a disporre di cifre così alte, pari al guadagno di un operaio,  da spendere in telefonini; chiediamoci perché preferiscono l'iPhone alla moda, piuttosto che cibo o vestiti.
Oggi siamo così esposti al giudizio degli altri, che abbiamo un bisogno continuo che gli altri apprezzino tutto ciò che facciamo: la musica che ascoltiamo, il cibo che mangiamo, gli spettacoli a cui assistiamo. 
Con l'esplosione di internet e dei social questo aspetto della vita ha assunto forme esagerate. Se già stiamo assistendo dal vivo ad un concerto che ci piace, mi dite che bisogno abbiamo di passare parte della serata ad alzare il cellulare come fosse la coppa del mondo, senza goderci il concerto?
Se non twittiamo uno status che siamo allo stadio o non postiamo una foto su Facebook che siamo in una multisala; è come se non ci fossimo mai andati.
Ricordo quando fece la neve a Roma, la gente usciva lo stretto necessario per scattare le foto e correva a casa a postarle su Facebook, senza gustarsi l'eccezionale spettacolo della natura.
Il pericolo serio è che la vita virtuale possa prendere il posto della vita reale. Perciò dico ai ragazzi: ogni tanto spegnete il telefonino e passate un po' di tempo intorno alle cose vere, palpabili e per una volta fatelo solo per voi; avrete tutto il tempo di raccontarlo agli altri. Vi soffermate mai a guardare il nascere di un giorno o il sole che tramonta? Suggerisce il poeta : ogni tanto "Concedetevi una vacanza intorno a un filo d'erba// dove non c'è il troppo di ogni cosa// dove il poco ancora ti festeggia// con il pane e la luce// con la muta lussuria di una rosa. ( F. Arminio).
Riceverete l'unico "mi piace", da voi stessi; ed è quello che più conta, credetemi.
Buona vita!
maestrocastello

lunedì 12 settembre 2016

Me lo compri, papà?

Negli ultimi anni l’industria della pubblicità si è molto evoluta: i messaggi che manda sono diventati sempre più efficaci e persuasivi.                                                                   I bambini sono i clienti più sicuri, più facili da conquistare, quelli su cui si può più facilmente fare leva, che più si affezionano a un prodotto.                                                                                                                         Con le loro irresistibili richieste, i bambini riescono a influenzare gli acquisti di ogni prodotto, anche di quelli non destinati all’infanzia, orientando pesantemente le scelte delle famiglie.Tutto questo ha dei costi in termini di libertà e indipendenza.                                                                                            Da un po' di tempo vediamo in TV sempre più bambini utilizzati come testimonial in spot pubblicitari, senza grande sforzo creativo da parte dei pubblicitari, sicuri che la figura del bambino riescirà sempre ad occupare il centro della scena, a catturare l'attenzione del pubblico.                                                                                                            I pubblicitari utilizzano i bambini perché sanno bene che difficilmente un bambino puo' essere contrastato o rifiutato, perché egli rappresenta la purezza, l'incapacita' di mentire e, in quanto tale, veicola la bontà e la genuinità dei contenuti pubblicitari. Un'immagine candida e limpida, come quella di un bambino, posta al centro della scena, diviene uno strumento per richiamare la maggiore attenzione possibile durante la trasmissione dei messaggi pubblicitari.                                                                                           Che la pubblicità sia l'anima del commercio e l'utilizzo di bambini nella pubblicità sia un modo sicuro per raggiungere il pubblico in modo trasversale, lo sanno così bene i pubblicitari che hanno portato la presenza dei  minori negli spot all'8 - 10 % .                                                                                                       Vediamo bambini sempre più piccoli reclamizzare prodotti, bambini di 2-3 anni, bambini in fasce ed ultimamente addirittura un feto nella réclame di un gelato preconfezionato. Siamo all'assurdo! In uno spot recente si vede una donna incinta che divora palettate di questo gelato, mentre all'interno del pancione il pargolo mugugna di piacere.                                                                                                                                        A parte il fatto che molti medici sconsigliano alle gestanti di mangiare il gelato, assistiamo al primo feto consumi sta della storia, un nuovo soggetto che irrompe nella girandola acchiappa soldi della modernità.                                                                      Dopo aver sacrificato sul grande falò della televendita i ragazzini, i bimbi e i neonati; ora è la volta dei feti. Oltre i feti ci sono solo gli ovuli e gli spermatozoi.
Buona vita!






lunedì 5 settembre 2016

Quando la satira è satura.


Il 7 gennaio 2015  a Parigi (Francia), ci fu un attentato terroristico contro la sede del giornale satirico Charlie Hebdo, morirono 12 persone e 11 rimasero ferite.Tale attentato fu la risposta violenta di Al-Qa'ida alle tante vignette dissacranti che la testata francese aveva pubblicato su Maometto e l'Islam.                                                                      Ognuno di noi si strinse attorno al dolore dei giornalisti e del popolo francese per le perdite di tante vite umane, indipendentemente dalla propria nazionalità e tradizione culturale, proprio perché il sentimento di umanità valica tali confini e coinvolge gli uomini a prescindere dalla loro appartenenza a un determinato ambiente politico, sociale o religioso.                                                                                                                 Allora facemmo nostro il motto "Je suis  Chalie", per difendere il diritto di satira della testata giornalistica francese, sancito anche in Italia dalla nostra Costituzione agli articoli 21 e 33 della Carta.
Il 24 agosto 2016 ad Amatrice (Italia) c'è stato un violento terremoto che ha causato la morte a quasi 300 persone e sofferenze indicibili a tante famiglie, l'unico a non soffrire è stata proprio la testata satirica di Charlie Hebdo. Il suo vignettista, col chiaro intento provocatorio, ha preferito divertirsi paragonando il sangue dei morti al sugo di pomodoro e il mucchio di cadaveri agli strati delle italianissime lasagne.                                     Pasta e sangue e poi la mafia, sono, in definitiva, la chiave di lettura che Charlie usa per ironizzare sul terremoto in Italia.                                                                                                L'intento è stato chiaramente provocatorio, perché, anche un bambino sa che un terremoto, prescinde dalla volontà dell'uomo e che se la satira colpisce una dimensione estranea al dominio dell’essere umano, come potrebbe essere Dio, per chi ci crede, o la natura; allora diventa satira sterile.                                                                                                                       Così come c'è diritto di espressione e di satira, e non va toccato questo diritto per niente al mondo, c'è anche diritto di critica e anticritica ed è in base a tale diritto che diciamo, e non siamo i soli, che quella di Charlie è una vignetta idiota, di cattivo gusto, che fa humor sulla morte e che non fa ridere nessuno, se non chi l'ha concepita.                                                              Ancora oggi, però, dobbiamo riaffermare con forza :"Je suis Carlie" e non deve essere una vignetta idiota a farci cambiare idea; i pregiudizi e le provocazioni rimandiamole al mittente.                                                                                                                              Libertà di espressione, ricordiamolo, non vuol dire buona o cattiva espressione; vuol dire soltanto libertà. Provocare è il loro mestiere, (la satira deve dar fastidio, deve far incazzare" afferma Oliviero Toscani) e la loro provocazione è legittima, così come è legittima la nostra reazione a criticarli.                                                                                 Per non rischiare di apparire permalosi e di parte, perché questa satira ci riguarda direttamente, la risposta affidiamola ad un francese come loro, Daniel Pennac, autorevole scrittore francese, che pone dei limiti alla satira.                                                                                                                                                   -"La vignetta sulle vittime del terremoto "- dice Pennac - "è stronzissima e basta. Non è divertente, quasi non merita il nostro sdegno "- e ancora - "io penso che neppure la satira dovrebbe calpestare una cosa importante: l'empatia".                                                                                                          "Penso alle vittime delle scosse, penso alle sofferenze di quelle terre, e non posso non concludere che quelle vignette mancano di rispetto a quel dolore, a quelle storie. Non mi piace chi gioca con la morte degli altri".                                                                                                                        "Va detto che con Charlie tutto ciò non è una novità. Non è una novità un certo stile, che già altre volte mi ha suscitato una sensazione di disagio, anche se non detesto il giornale in sé e non amo le condanne definitive".                                                                 Ci teniamo a ribadire che una vignetta non giustifica la messa in discussione del principio di libertà di satira. Con la stessa chiarezza con cui diciamo a Charlie Hebdo che la vignetta non ci piace, in quanto la riteniamo una vera idiozia; allo stesso modo deve sapere che noi non ci siamo spostati di una virgola, siamo sempre con lui, sempre pronti a lottare per il suo diritto a dire idiozie.
Buona vita
maestrocastello
Inviato da iPad

lunedì 22 agosto 2016

Il silenzio è a rischio sulla terra.

Oramai non c'è scampo per il silenzio, ascoltiamo troppo il telefono e troppo poco la natura e fra una decina di anni non esisterà più il silenzio sulla terra.
L'allarme è dato da uno studioso americano, l'ecologo Gordon Hempton, che da anni se ne va in giro per il mondo, microfono in mano, in cerca di spazi sonori non infestati dall'antropofonìa, suoni cioè di origine umana. 
Voi direte che è una fesseria, ma, pure se il suo progetto è poetico; il suo metodo per determinare le zone di assoluto silenzio sulle terra è assolutamente scientifico.
Egli non è alla ricerca del silenzio perfetto, interstellare che è assenza di vita; ma un ambiente che non contenga il rumore assordante prodotto dagli umani: musiche da centro commerciale, rombi di motori, vociare di gente, banche, ascensori.
Il silenzio di cui parla lo studioso americano e di cui noi stiamo perdendo ogni traccia , è il linguaggio della natura, come il fruscìo del vento tra le foglie, il cinguettio degli uccelli o il rombo di una tempesta.
Ognuno di noi dovrebbe avere il proprio suono personale e il suo ascolto dovrebbe renderlo euforico e vivo.
Presto il silenzio diventerà una leggenda. L’uomo ha voltato le spalle al silenzio. Giorno dopo giorno inventa nuove macchine e marchingegni che accrescono il rumore e distraggono l’umanità dall’essenza della Vita, dalla contemplazione e dalla meditazione. Suonare il clacson, urlare, strillare, rimbombare, frantumare, fischiettare, rettificare e trillare rafforza il nostro ego.
"Il silenzio è un dono universale che pochi sanno apprezzare - diceva Chaplin - Forse perché non può essere comprato. I ricchi comprano rumore. L’animo umano si diletta nel silenzio della natura, che si rivela solo a chi lo cerca."
Se non faremo nulla, il silenzio rischia di scomparire nei prossimi dieci anni. 
Pensate che sono stati individuati solo una cinquantina di siti su tutta la terra , come zone di perfetto silenzio, in zone sperdute del globo; ma sono continuamente a rischio di passaggi di aerei, barche o dal rumore di generatori di basi scientifiche.
Il silenzio va protetto, perché è un recinto intorno alla saggezza. Quello che rischiamo di perdere nel mondo di oggi è la capacità di saper ancora ascoltare le  la voce della natura: nel crepitio della pioggia che batte su un prato, il battito d'ali di una farfalla o il ronzio di un'ape intenta a succhiare il nettare da un fiore.
Insegniamo ai nostri figli a tacere che a parlare impareranno da soli.
Buona vita

martedì 16 agosto 2016

A scuola negli anni 50




Alla scuola anni 50 c'erano molti maestri e tutti quanti avevano una cinghia di cuoio, una verga di salice, una bacchetta di prugnolo, Con la bacchetta ti picchiavano sulle spalle, sulla schiena, sulle gambe e soprattutto sulle mani. Il maestro lo temevi, lo rispettavi e, in cuor tuo, lo odiavi. Quando ti picchiava sulle mani si diceva bacchettata e le palme diventavano rosse che più rosse c'erano solo le bandiere alla festa dell'Unità. Ti picchiavano se arrivavi in ritardo, se avevi un pennino che sgocciolava, se ridevi, se parlavi, se facevi una macchia sul quaderno e se non sapevi quanto fa 7x8 ; le  tabelline, che incubo!
Ti picchiavano se non sapevi tutta la poesia a memoria, se non sapevi tutti i mesi dell'anno o le province italiane, se sbagliavi le divisioni.
C'erano quelli che portavano le uova fresche al maestro, ma li picchiava lo stesso. Quelli che portavano al maestro una bacchetta nuova e il maestro li picchiava per provare la bacchetta su di loro.
Insomma ai bambini anni 50 li picchiavano spesso e quando tornavano c'era pure il resto!
Allora era in voga il detto:"Mazze e panelle, fanno i figli belli; panelle e mazze, fanno i figli pazzi"
Buona vita!

venerdì 12 agosto 2016

Un tuffo nel mio passato

Se chiudo gli occhi, mi rivedo bambino del sud a vivere la mia spensieratezza in un paesino di montagna. Le tasche sempre bucate, perché spesso vi tenevo i sassolini con cui giocavo. Camminavo spesso scalzo per la povertà dei tempi, non per sport.  Se litigavo, dopo poco facevo la pace.  Allora pensavo magari che mi mancassero tante cose, ma non me ne importava poi tanto. Non avevo grilli per la testa, si era tutti nelle stesse condizioni a Sant'Agata di Puglia prima degli anni sessanta: i bambini a giocare per strada e i grandi a passeggiare in piazza, quando non erano nei campi. Allora ci divertivamo con niente, quali video-giochi o play station! Avevo paura del buio e dei carabinieri e se il maestro mi puniva; a casa mi davano il resto. La mia merenda era pane e zucchero, pane e uva, pane e pane. Il gelato costava poco: il cono più piccolino (lu cuppetiélle) costava cinque lire e mia madre non me lo poteva comprare sempre e quando succedeva; me lo facevo durare un secolo. La chewin gum, "la ciuca" in dialetto, ce la passavamo da bocca a bocca e non abbiamo mai preso malattie, andavamo in piazza a raccogliere mozziconi per farci le sigarette e, in mancanza, fumavamo di tutto, perfino i fili di paglia che fuoriuscivano da sotto le sedie. Il ghiaccio lo vendevano a pezzi, le sigarette te le davano anche sfuse e pure la pasta. Quando ti sedevi a tavola il menù non era molto ricco: quasi sempre pasta fatta in casa ( li maccarúne) con verdure raccolte in campagna: foglie di zucca ( li tàrre), broccoli ( li vruòcchele) , bieta (re jéte) o una varietà di erba mangereccia che da noi chiamano marascioni (li marasciùne). E la carne? Direte voi. Ma quale carne! Chi l'ha vista mai la carne da piccolo! Noi eravamo vegetariani senza saperlo, ma per necessità; la carne la mangiavo qualche volta la domenica, alle feste comandate o quando un vicino ammazzava il maiale. Le uniche mangiate in piena regola le facevi a Natale ed a Pasqua. Soldi non ne circolavano tanti e gli operai venivano spesso pagati in natura: grano, farina o con altri generi alimentari. Ora studiano tutti, anche chi non vi è tagliato; mentre un tempo, dopo la quinta elementare, venivi avviato al lavoro: falegnami, sarti e barbieri avevano frotte di giovani che andavano ad imparare il mestiere. Noi piccoli avevamo rispetto per gli anziani e per gli animali, ci insegnavano a salutare per primi le persone più grandi di noi. Erano tempi duri, ma spensierati; almeno per noi bambini che scorrazzavamo per strada, senza il pericolo delle macchine, le porte delle case erano formate da una vetrina che rimaneva sempre aperta durante il giorno. Che tempi quelli di allora, comunque non ho rimpianti e li ricordo volentieri, perché penso che il passato è bello per essere ricordato, non per essere vissuto.
Buona vita!

mercoledì 10 agosto 2016

Esprimi un desiderio!

Spegnete le luci, accendete le stelle!

Notte di San Lorenzo, notte di magìa; aspettiamo tutti questa notte particolare dell'anno che riveste il fascino di catturare una stella cadente ed esprimere un desiderio che vogliamo si avveri.  
Si tratta in realtà del passaggio di stelle cadenti provenienti dalla costellazione Perseo ( questo sciame è detto anche delle Perseidi) che si trova sotto la costellazione di Cassiopea.
Secondo la tradizione antica, questi filamenti luminosi rappresenterebbero le lacrime di San Lorenzo, martirizzato assieme al papa Sisto II ed altri 4 diaconi; sorpresi a celebrare l'Eucarestia nelle catacombe; era il 253 e regnava l'imperatore Valeriano che perseguitava i cristiani.
Grazie al pianeta Giove, questa notte di San Lorenzo 2016, secondo gli esperti, sarà particolarmente spettacolare per quante stelle cadenti che si vedranno e per la possibilità di esprimere un desiderio nella speranza che si avveri.
In un momento di crisi la gente non avrà difficoltà ad esprimere desideri, c'è solo l'imbarazzo della scelta. 
Bisogna credere nei sogni? Mai perdere la speranza, altrimenti è finita!
Ecco perché io continuo a sognare e questa sera sarò con il naso all'insù a catturare sogni.
Buona vita!

venerdì 5 agosto 2016

È morta Anna Marchesini




Addio, bella figheira!

- E che so' ste facce tristi, sembra che siamo a un funerale!
Così avrebbe esordito Anna Marchesini ieri l'altro nella chiesa di Sant'Andrea di Orviero, appunto, alla cerimonia funebre che la vedeva come protagonista principale,
Quest'anno ci hanno lasciato colossi dello spettacolo, del cinema e della televisione italiana e ci sentiamo più orfani che mai.
Anna Marchesini, gravemente malata da anni di artrite reumatoide, ci ha lasciato con l'ironia, il garbo e la capacita' di ridere di se' stessa che l'ha sempre caratterizzata.
Nel suo sito racconta: " Ho già adocchiato una vetrinetta in sala riunioni con un piccolo cofanetto verde di porcellana, credo.
Ritengo sia ideale per contenere le mie ceneri. E' una aspirazione che piano piano trovero' il coraggio di far uscire alla luce. Che detto di un mucchietto di ceneri non è appropriato.
Posso tentare.... e se mi ribocciano?
E se poi l'Accademia trasloca?
E se durante il trasloco il cofanetto verde si rompe? No eh! essere spazzata via dall'Accademia no mai più!"
Anna, non solo superò gli esami dell'Accademia e si cimentò con successo in ruoli seri e drammatici; ma una volta stretto il sodaliziozio col "Trio" Marchesini-Lopez-Solenghi,  inventarono un nuovo modo di far ridere gli italiani.
Addio alla Signorina Carlo, alla sessuologa Merope Generosa, alla Sora Flora, alla cameriera secca dei signori Montagné e soprattutto alla bella figheira, alla Monaca di Ponza, alla Lucia manzoniana del piccolo schermo.
Donna ironica e intelligente, attrice, autrice e scrittrice; grazie a lei il "Trio" ha prolificato successi dopo successi.  Oggi diciamo addio anche ad una donna eccezionale, come attrice comica, come amica ( a detta di Lopez e Solenghi) e come donna che ha vissuto la sua malattia con dignità fino in fondo; senza mai perdere il gusto dell'ironia.
Racconta al funerale Tullio Solenghi che ogni tanto le telefonava e l'aveva recentemente sentita:
- Come intitolerai il tuo quarto libro?
-" È arrivato l'arrotino", questo sarà il titolo.
- Ma che razza di titolo è?
 e lei:
- Perché mentre scrivo, apro la finestra e, al di là dei rumori di auto, la voce ricorrente che mi arriva è quella dell'arrotino. E per me inizia bene la giornata.
Ha detto il suo parroco :  “È stata una grande persona, ha indossato tante maschere facendoci ridere, ma rimanendo sempre sé stessa. L’arte più bella che ci ha insegnato è stata quella di vivere”.
Già me la immagino quando entrerà in Paradiso e chiederà permesso dicendo: " Siccome che so' cecata..." e tutti gli angeli scoppieranno a ridere.

Addio, Anna, ci mancherai!

lunedì 18 aprile 2016

Non canterei vittoria.


I risultati di ieri sera sul voto del referendum testimoniano un dato incontrovertibile : ha vinto ancora una volta il partito degli astensionisti; 70 % contro 30%; viva gli astensionisti! È diventato ormai una moda: tutti al mare o in gita fuori porta e il contentino a quelli ancora convinti che il referendum sia davvero uno strumento democratico.
Ma andrei calmo a cantar vittoria. Questa tornata elettorale è stata l'ennesima dimostrazione dello strapotere che hanno i partiti politici in Italia. Non voler accorpare referendum e votazioni di maggio, poi, è stato come buttare nella tazza del cesso 300 milioni di euro in tempo di crisi e la chiara dimostrazione che il referendum sulle trivelle doveva fallire.
Così ha voluto Renzi è così è stato.
Troppi interessi privatistici in gioco e chi se ne fotte della salvaguardia del mare e del territorio italiano.
È stato fatto per salvaguardare posti di lavoro?
Ma quello che non si capisce, quando una grossa fetta dell'economia reale e della finanza italiana punta ormai l'attenzione sulle tecnologie pulite e le fonti rinnovabili, ci sia l'ostinazione governativa verso un settore destinato, presto o tardi, al declino; a discapito di un settore innovativo ad alto tasso di crescita e di occupazione.
Il referendum è fallito, ma farebbe un grosso errore chi sottovalutasse il peso politico della mobilitazione del "popolo del Sì".
Vi sono più di quindici milioni in Italia che hanno a cuore i temi dell'ecologia e dell'ambiente ed è tutta gente che vota e voterà in futuro;
si tratta di un bacino di cittadini e di elettori significativo, cruciale per le prossime contese elettorali.
Mi guarderei bene dal disprezzare di chi ha opinioni diverse da quelle di chi è oggi al governo e del partito che lo rappresenta.
Il governo farebbe bene a ripristinare gli incentivi per il fotovoltaico e puntare tutto sulle energie rinnovabili.
La nostra ricchezza, mettiamocelo bene in testa, è il patrimonio artistico e culturale nazionale, le coste dalla bellezza incomparabile, il suo territorio e il suo mare che va salvaguardato e non martoriato.
Attenti che la vittoria furbesca di oggi potrebbe rivelarsi un domani un vero floppy.

venerdì 18 marzo 2016

'uomo del grano.

"Nazareno Strampelli, l'uomo del grano."

Da ragazzo sentivo dire: "à semmenète ròje versure a ggrène strambèlle" ed io non essendo figlio di contadini, non ne capivo il significato. Lo sentivo dire spesso anche da mia madre questo termine, quando l'accompagnavo al mulino re "Capacchióne", immancabilmente  chiedeva farina strambèlle ed io continuavo a non capire. Solo tempo fa, parlando con mio cugino Salvatore Sanità del glorioso Pastificio Fredella trasferitosi da Sant'Agata a Foggia, tirammo in ballo il termine "Strambèlle" e questo dette la spinta alla mia ricerca. 

Il termine deriva dal genetista ricercatore maceratese Nazareno Strampelli, nato a Crispiero il 1866, che nel primo novecento rivoluzionò il mondo dell'agricoltura con i suoi esperimenti di ibridazione delle varie specie di grano. Prima di allora si selezionavano solo i campioni migliori, ma della stessa specie di grano. Era necessario creare un tipo di grano a taglia bassa, che maturasse prima d'agosto, per evitare la siccità estiva e che resistesse alla ruggine bruna.

Nel 1900 Strampelli inizia con gli esperimenti di ibridazione, all'inizio sono insuccessi, in più il denaro necessario non c'è, ma lui non demorde; poi arriva un aiuto da parte del deputato Cappelli, che lo chiama nella nostra Capitanata, dove possiede diversi apprezzamenti di terreno e tra le varietà che Strampelli riesce a creare c'è anche quella di grano duro che nel 1923 sarà intitolato al signor Cappelli ed è una farina pregiata, conosciuta ancora oggi col nome di "Cavalirere Cappelli".

Siamo in piena epoca fascista, quando l'Italia importava tutto il suo grano da Stati Uniti e Russia e Mussolini vuole il ricercatore a Roma, in quella che resterà famosa come "la battaglia del grano", almeno questa, vinta e senza spargimento di sangue.

A consentire, tra il 1925 e il 1933, il raddoppio della produzione cerealicola italiana e la riduzione dell’import da 21 milioni di quintali ad appena 5, furono infatti le eccezionali innovazioni introdotte nei campi italiani da Nazareno Strampelli, l'uomo della "battaglia del grano" e delle straordinarie intuizioni nel campo della genetica agraria, Strampelli è l'agronomo le cui ricerche per il miglioramento della specie del frumento sono note in tutto il mondo. Più famoso all'estero che in Italia.

Strampelli è uomo schivo, dedito principalmente alla ricerca, non brevettò mai il suo studio, cosa che lo avrebbe reso ricchissimo e rifiutò invano la nomina a senatore, e non ricevette mai il Nobel che avrebbe ben meritato; forse perché lo etichettavano fascista.
Lo ricorderemo per sempre come l'uomo del grano.
Una lapide all’esterno della sua casa a Crispiero, reca la scritta:
 “dove cresceva una spiga di grano ne fece crescere due”.
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martedì 1 marzo 2016

C'era una volta in America: Ennio Morricone

Giustizia è fatta! Finalmente è stata premiata con l'Oscar l'arte del più grande ideatore di musiche da film di sempre, il maestro  Ennio Morricone, un italiano.
Per una volta ci troviamo a celebrare un grande del cinema ancora in vita. 
Va bene il premio alla carriera, ma l'Oscar non lo aveva mai vinto; nonostante le centinaia di colonne sonore per films tutti di successo che avevano avuto riconoscimenti e fatto di lui una leggenda vivente. Qualcuno l'ha accostato ai grandi della musica di tutti i tempi.
Cosa sarebbe un film senza una colonna sonora? Probabilmente un bel racconto, fatto di immagini invece che di parole, ma si sentirebbe la mancanza di quel valore aggiunto che solo la musica può dare. 
Ricevendo il Globe il maestro ha detto  che "non ci sarebbero grandi colonne sonore, senza grandi film" ed è stato certamente modesto, perché l'affermazione si potrebbe ribaltare: una grande colonna sonora conduce per mano lo spettatore e lo coinvolge nella storia che sta seguendo; o se non altro dimostra il fatto che il cinema è un fatto corale ed al successo concorrono in tanti.
Qualcuno ha scritto che le coinvolgenti composizioni e gli arrangiamenti di Ennio Morricone trasportano la nostra esistenza su un altro piano, rendendo il quotidiano simile alle scene di un film. 
Ennio Morricone è stato un autentico innovatore: quando, nel 1964, scrisse la colonna sonora per il western "Per un pugno di dollari" vincoli economici gli impedirono di utilizzare una grande orchestra. Così il suo genio creò un nuovo tipo di musica che per mezzo secolo ha dettato lo stile della musica da film, ma che ha anche influenzato e ispirato un gran numero di musicisti, nell'ambito del pop, del rock e della musica classica in generale,
Nel giorno del successo, tributiamo onore ad un grande della musica, ad un compositore geniale che il mondo ci invidia: al maestro Ennio Morricone.



domenica 28 febbraio 2016

La cucina del paese mio

La cucina italiana spopola nel mondo e il segreto sta nel fatto che non esiste una vera e propria cucina italiana, ma tante cucine locali, che ricche di prodotti genuini e tecniche secolari tramandate dalle passate generazioni, tutte assieme, contribuiscono a fare dell'Italia il Paese dell'eccellenza gastronomica. 
Dovunque capiti si mangia che è una meraviglia e ti portano prodotti locali tipici di cui ogni regione italiana è provvista.
Come avrete capito, la cucina  è storia, arte,  tradizioni, specchio delle condizioni sociali ed economiche di un luogo.
Il cibo è gusto, cultura, buonumore e contribuisce a mantenere salda l'identità di un territorio che trae dalla sua terra una delle sue principali fonti di economia e di turismo.
La Puglia è vasta e generosa e così la sua cucina si differenzia, a seconda se ti fermi a mangiare in un posto di mare, anziché di montagna. 
A Sant'Agata di Puglia, mio paese di nascita, la cucina è molto apprezzata e richiama turisti domenicali dai paesi limitrofi che fanno decine di chilometri in macchina per ossigenarsi i polmoni di "aria fina" del nostro incantevole paese posto su un'altura di 800 metri e farsi na bòna mangèta a base di cibi tutti genuini: pasta scrupolosamente fatta a mano: arecchietèlle, troccoli, fusilli, lagane, al sugo di carne o con le verdure di campo che qui abbondano e i secondi a base di agnello o maiale, abbinati a lampascioni, a funghi cardoncelli, agli asparagi selvatici che sono la ghiottoneria del luogo e li puoi trovare in quasi ogni periodo dell'anno.
La nostra cucina, grazie alla sua semplicità, riesce a conquistare anche i palati più sensibili, ricorda i sapori antichi di gente umile e povera che faceva del cibo, non solo una prima necessità, ma lo trasformava in una sorta di veicolo per incrementare l’attaccamento alla propria comunitàalla propria famigliaalla propria terra. 
Un fratello di mio nonno, zio Vito, venne dagli Stati Uniti col solo desiderio di "pènecuótt"; il pancotto era appunto il mangiare dei poveri, fatto di avanzi di pane e verdure raccolte dal cafóne, di ritorno dalla campagna.
piatti locali tipici santagatesi sono  ancora oggi presenti nelle usanze a tavola  e non solo nelle sagre annuali ce ne sono di svariati tipi che vanno dagli antipasti ai dolci

prodotti che non possono mancare a tavola per il santagatese:
Il pane.                                                                                                          Nella gastronomia locale un cardine fondamentale è il pane, ru ppène, delle panelle dalla forma particolare, soffici e friabili che ricordano il panettone a Natale. Il santagatese senza il pane non sa proprio mangiare.
I condimenti.
Origano (aréhena), olio nostrano, acìte (aceto di vino), peperoncino piccante.
La verdura.                                                                                                        La verdura è un altro elemento predominante della cucina santagatese. Cecòria, marasciùne, tàrre, spógne, catalògna, scaròla, rape, vruòcchele, cucuzzièrre trovano sempre posto a tavola. La verdura coltivata o, ancora meglio, quella selvatica costituiva spesso il piatto giornaliero del santagatese che la mangiava "a menestra", con la pasta fatta in casa o nel pancotto (pènecuótte). 
La pasta.
La pasta, fatta in casa dalle nostre donne, è un'altra specialità delle mie parti ed è un'arte. Impastano a mano sulla spianatora (lu tumbàgne) e ne escono: fusìrre ( fusilli), aricchietèlle (orecchiette), tagliariérre (tagliatelle), làhene (lasagne), strascenète (pasta appiattita), cecatiérre (pasta cavata con un dito solo), truócchele (troccoli), e poi ancora "stuhalètt", "frìvele", lahanèrre" ecc.. Quella ormai quasi scomparsa è la pasta fatta con farina di "grano arso", ottenutadal grano scampato alla falce dei mietitoriche dopo la bruciatura delle stoppiebattevano a terra e raccoglievano le spighe rimaste.
I secondi 
La fanno da padrone piatti a base di maiale e d'agnello, contornati di lampascioni, funghi cardoncelli, asparagi selvatici. Immancabili sono: salzìcchie, chèpecuórre, presùtte, chèsecavàrre, recòtta fresca e recòtta tosta, mozzarella, burrate.

I dolci.
Scaldatelli, taralli i al vino, pizza con la ricotta, pastarelle ripiene di marmellata, péttole,  "susumelli" a Natale e "pupe" e pastiere a Pasqua.
Vino.
Il vino santagatese, altrimenti detto " lu gnòstre " è solo "nero" (rosso).    I più rinomati : vino delle "Cesìne" , della "Bastìa", della "Liscia", di "Ghizzoli".




domenica 21 febbraio 2016

Umberto Eco: un grande uomo, un grande italiano.

Umberto Eco ci ha appena lasciato ed è una grave perdita per la cultura italiana. Tutti lo conosciamo come autore de "Il nome della rosa", libro che ha venduto oltre 30 milioni di copie ed è stato tradotto in quasi 50 lingue, ma Umberto Eco non era solo uno scrittore fantastico che ha incantato milioni di lettori in tutto il mondo; egli è stato molte cose insieme. Egli è stato un curioso perenne, un indagatore scrupoloso dei cambiamenti della società e della politica, un esperto dei media e dei linguaggi. Dobbiamo ricordarlo come un innovatore, un educatore che ha saputo parlare alle nuove generazioni avvicinandole all’arte, alla letteratura, alle scienze sociali, alla filosofia. La filosofia ci aiuta a capire e spiegare perché "nessuno nasce clandestino, mentre tutti nascono umani."
In un un mondo in continuo conflitto per questioni di politica, di religione e di razza, Eco era convinto che la conoscenza reciproca delle culture dei paesi possa costituire un elemento di salvezza. Una delle frasi che amava ripetere era : "Lascia parlare il tuo cuore, interroga i volti, non ascoltare le lingue" . 
Umberto Eco è stato un grande ambasciatore dell'Italia nel mondo,
uno degli intellettuali italiani più noti nel panorama internazionale; tuttavia i saggi e gli studi dedicati alla sua opera, in Italia, sono ancora troppo pochi per darne un giudizio completo sulla sua grandezza e, nella maggior parte dei casi, destinati esclusivamente a studiosi e critici
Un domani si capirà come il pensiero di Eco sia stato uno strumento indispensabile per comprendere la società contemporanea. 
Ci lascia l'insegnamento dell'importanza del pensiero, " il pensiero filosofico, è quello che distingue gli uomini dagli animali", l'importanza del pensiero per capire il proprio tempo; per capire il mondo.
Un peccato che non abbia mai ricevuto il Nobel, ma questo non sminuisce la sua grandezza.
Umberto Eco era un esempio straordinario di intellettuale che sapeva unire la sua immensa cultura del passato con la capacità unica di anticipare il futuro. 
Umberto Eco era un grandissimo, ma purtroppo, come sempre succede, la grandezza delle persone la si scorge quando non ci sono più e  infatti proprio lui ci diceva che "la presenza sminuisce la fama, mentre la lontananza l'accresce".
È morto un grande uomo, un grande italiano.