martedì 6 settembre 2011

Lo sciopero è ancora un'arma di mobilitazione di massa?

Lo sciopero di oggi della sola Cgil contro la manovra del governo, quindi semi-generale, ci fa sorgere la domanda, se l’astensione dal lavoro sia ancora un’arma di mobilitazione di massa. Sembrano ormai tramontati i “bei tempi” della lotta, quando i metalmeccanici incrociavano le braccia  “a milioni” ed avevano il potere di mettere in crisi un governo. Il declino delle astensioni dal lavoro è iniziato negli anni ’90 ed ha interessato la quasi totalità dei paesi europei. Nell’ultimo decennio le giornate di astensione in Italia sono calate da 135 a 70 all’anno. I lavoratori hanno visto scemare negli anni la possibilità di incidere sulle scelte delle aziende e difendere i propri diritti, semplicemente incrociando le braccia, come avveniva in passato. Quali i motivi? Sicuramente la globalizzazione è da annoverare fra le cause principali, insieme alla de-industrializzazione  e de-sindacalizzazione. Il declino dell’economia industriale e l’ascesa  dell’economia dei servizi (settore poco sindacalizzato) hanno coinciso negli ultimi decenni col non far tanto più  riferimento al sindacato ed è andato lentamente in declino lo sciopero come forma di lotta in Europa. La globalizzazione ha fornito poi un ottimo alibi per i datori di lavoro che hanno brandito l’arma dell’esternalizzazione (attuata o solo minacciata) per giustificare aumenti di orario, turni notturni o cambiamenti di mansioni, riducendo così il peso negoziale stesso dello sciopero; ricordate Marchionne ed il caso della Fiat dell’anno passato? Le economie di paesi emergenti, quali Cina Brasile, India e Russia hanno poi complicato il quadro già negativo per la caduta dei mercati e dell’occupazione: chi investirebbe in un paese con un tasso elevato di scioperi? Ecco che i capitali stranieri finiscono per dirottare altrove e non in Italia, come dimostra il basso livello di investimenti produttivi stranieri nel nostro paese. Cos’altro resta a chi vuole legittimamente protestare? “Quando l’arma estrema della lotta sindacale è resa inefficace per far avanzare le ragioni dei lavoratori- dice il sociologo Me Masi- il rischio è l‘esplosione violenta della rabbia sociale”. Insomma, il governo interviene in materia di diritto del lavoro in modo, a dir poco, “ambiguo”, con la complicità anche dei partiti che sono all’opposizione e cosa dovrebbe fare una confederazione sindacale, se non ricorrere allo sciopero, unico strumento legittimo e democratico? Dicono gli studiosi che il sindacato non dovrebbe contrastare l’evoluzione economica d’una nazione, ma accompagnare i processi di trasformazione, adottando strategie riformiste. Un sindacato che ha potere ed affidabilità negoziale non ha interesse a scioperare e questo lo dovrebbe tenere a mente tanto il sindacato quanto il governo. Un  sindacato forte può operare meglio nella gestione del conflitto, senza arrivare all’astensione dal lavoro. Quando un governo delegittima un’organizzazione sindacale, rema contro se stesso; non lavora per limitare i conflitti sociali dei cittadini che amministra. Questa sera ci sarà il solito balletto delle cifre: il sindacato soddisfatto dell’adesione allo sciopero e il solito rappresentante del governo che minimizza sulle cifre; ma della rabbia della gente sembra che nessuno ne tiene conto. Bisognerebbe sicuramente ricorrere a forme alternative e più efficienti di difesa degli interessi dei lavoratori, piuttosto che chiedere ai propri iscritti di incrociare le braccia. Una giornata di lavoro perduta costa dolore a chi campa solo del proprio lavoro e alla fine del mese si farà sentire la mancanza di quegli 80 euro sul bilancio familiare e di questi tempi c’è poco da scherzare.
Buona vita!
maestrocastello

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