martedì 17 dicembre 2019

TUTTI A TAVOLA, È NATALE!


Fra qualche giorno arrivano le festività ed è bello trovarsi, parenti ed amici, tutti intorno ad un tavolo per godersi l’atmosfera magica del Natale.
Valgono sempre le regole di buona educazione a tavola ed essendo in tanti, ricordiamo qualche regola di galateo.
ACQUA = sarebbe bene evitare bottiglie di plastica.
BICCHIERI = in alto a destra del piatto tutti hanno il bicchiere, i bambini per l’acqua e i più grandi, anche quello per il vino.
CENTROTAVOLA = solitamente a Natale troneggia al centro una candela rossa che non ingombri.
DISTANZA = almeno 50 centimetri dal vicino, per chiacchierare senza alzare troppo la voce e non urtarsi col gomito.
ELEGANZA = (nell’atteggiamento): non impugnare la forchetta come una zappa, non risucchiare il brodo e non appoggiare i gomiti sul tavolo.
INVITATI = ci si presenta in orario per rispetto al padrone di casa, si serve da bere al vicino e tutti seduti prima di iniziare a mangiare.
MASTICARE = masticare con la bocca chiusa e non parlare con la bocca piena.
NOIA = non mostrare segni di noia o stanchezza, non guardare continuamente il cellulare e concedersi a conversare col vicino di posto.
OLIVE = immancabili a tavola, prenderle con uno stuzzicadenti, eliminare il nocciolo, portando una mano alla bocca e posarlo sul tuo piatto.
POSATE = solo la forchetta a sinistra, il coltello a destra con la lama rivolta all’interno. Le posate per dolce o sorbetto vanno sul piatto.
QUANTO BASTA = le porzioni a gradimento del commensale.
RIFIUTO = se non gradite una portata, basta un cenno con la mano, non coprire il piatto o il bicchiere con la mano.
È bandito il telefono cellulare a tavola.
Buon appetito e buon Natale 2019!
maestrocastello 

lunedì 27 maggio 2019

Rianimare i nostri paesi del Sud, si può ?

Lettera al paesologo Franco Arminio.

Caro Franco Arminio, ho rivisto ancora una volta il tuo documentario :“Di professione faccio il paesologo” ed ogni volta  provo mille emozioni. 
Il mio cuore sembra una camicia stesa al vento ad asciugare : s’abbótta e s’ammóscia in continuazione. Quando “s’abbótta”, i sentimenti che mi pervadono sono di orgoglio di appartenenza ad una comunità che mi ha insegnato l’a, b, c della vita, quando si era lpoveri e si viveva di niente; eppure si era felici. Quando la camicia si ammóscia mi pervade la desolazione dei nostri luoghi, la solitudine, l’abbandono. Case vuote ad aspettare inutilmente chi partì un giorno a guadagnarsi la stozza altrove e, se pur un giorno farà ritorno, prenderà la via del camposanto.
Leggo nelle parole e sul volto dei vecchi che intervisti rassegnazione e dignità, animati da una fede atavica, pressoché sconosciuta alle nuove generazioni. 
Ma cosa serve veramente per rianimare i nostri paesi? Tu, Franco, dai spesso dei suggerimenti; ma credo che ci vogliano troppe cose che si combinino assieme e ciò che serve davvero, penso che non lo sappia nessuno. Anch’io partii dal paese negli anni sessanta e dopo cinquant’anni non mi sento ancora cittadino e non lo sarò mai e al paese non ho più una casa.
Mi pare utopia che si possa tornare a vivere nei nostri piccoli paesi, se non per andarci a morire . Tu ce lo vedi uno, ormai settantenne, che lascia figli e nipoti ormai radicati in città e venire a stare da solo in un desolato paese, a sfidare le temperature rigide dell’inverno che dura “migliaia di giornate”, dove manca sempre il quarto per una normale partita a tressette? Come tu stesso dici: le case superano il numero delle persone rimaste e ogni volta che passo davanti alla mia casetta dell’infanzia, mi prende come un rimorso per essere partito. Tu sei come un medico condotto che fa il giro dei paesi per valutarne lo stato di salute ed io, invece, mi sento una specie di archeologo che scava nel passato, perché quelli che stanno lontano come me; tornino a rivivere il paese, torni viva in loro la memoria delle proprie tradizioni, la gioia di parlare ancora il proprio dialetto e l’importanza di non disperdere tutti gli insegnamenti che ci hanno lasciato in eredità i nostri antenati. 
Utopia anche questa? Lo so, ma la gente ha bisogno anche di utopie.
Buona vita!
maestrocastello 

Inviato da iPad

domenica 26 maggio 2019

Addio a Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi ci lascia a 74 anni.

È proprio vero, le belle persone sono le prime a lasciarci e resti orfano di un valido punto di riferimento. Vittorio Zucconi, un grande del giornalismo, ci lascia a 74 anni.
Zucconi era una forza della bella scrittura, un modo sapiente di raccontare
i fatti che penetravano la realtà attraversandola e ti faceva partecipe dei suoi racconti.
Il suo modo di fare giornalismo era vita vissuta, non interpretazione di un ruolo e chi aveva la fortuna di essere suo amico, giura che il Vittorio pubblico era uguale al privato: una persona vera.
Scrupoloso nel lavoro, era generoso nell'affabulazione, empatico, capace di entrare in sintonia con qualunque interlocutore, che fosse un bambino, un campione sportivo, un politico o un semplice lettore. 
Ha raccontato come pochi l’America, ha costantemente misurato il polso di quella grande realtà d’oltreoceano, facendocela sentire una realtà vicina a noi.
Aveva visto il mondo con gli occhi del mestiere, che obbliga a indagare, decifrare, capire. Bruxelles, giovanissimo, poi New York, Mosca, Parigi, Tokyo, Roma con il caso Moro, di nuovo e definitivamente. Era un poliglotta, cittadino del mondo, divoratore notturno di qualsiasi cosa si potesse leggere, col suo russo, il francese, l'inglese americano e persino un po' di giapponese poteva parlare di tutto.
È stato un gustoso scrittore, autore di diversi volumi : “Stranieri come 
noi “, “Viaggio in America “, “Il Giappone tra noi”, “ Il lato fresco del cuscino “ ecc, ecc. aveva una scrittura fluida e impetuosa come una necessità, come un trance, come qualcosa di naturale, che sembrava sgorgare da sola, e trovare automaticamente il suo corso. 
Mancherà alla sua famiglia, al suo giornale e mancherà anche a chi lo seguiva attraverso i suoi scritti.
Ciao, Vittorio, avremo di te il ricordo di una bella persona; R.I.P. !

maestrocastello 


sabato 25 maggio 2019

Perché conviene andare a votare.

GIORNATA DI VOTAZIONI.
Siamo alla fine di un maggio strano, che non dà garanzie per gite fuori-porta e ci costringerà a starcene buoni in casa a goderci una domenica di fine campionato di calcio in tivvù, di corse automobilistiche, di giro d’Italia e di.....  finalmente tutti in famiglia per il pranzo domenicale.
Oggi si vota dappertutto per rinnovare il Parlamento Europeo e in tanti Comuni per eleggere nuove amministrazioni comunali e relativo nuovo Sindaco e, forse, che ci sia questo tempo può essere utile ad incrementare la percentuale dei votanti.
Mi raccomando, andiamo a votare; altrimenti restringeremo da soli il nostro spazio di libertà.
Se qualcuno pensa che il non voto sia una protesta, sappia che il dispetto lo farà a se stesso e poi si dovrà accontentare di ciò che avranno deciso gli altri anche per lui.
Andiamo a votare a favore e non contro, andiamo a votare per costruire, andiamo a votare sperando che la decisione della maggioranza faccia il bene comune e non dei singoli.
Andiamo a votare e che questa domenica 26 maggio ci lasci nel tempo un buon ricordo di se stessa.
PERCHÉ ANDARE A VOTARE ?
Se non vuoi che gli altri decidano per te.
Per contare ancora qualcosa in Europa.
Da soli non si va da nessuna parte.
Altrimenti restringi da solo i tuoi spazi di libertà.
Le cose si cambiano stando dentro questo Parlamento e non dal di fuori!
.... e si potrebbe continuare 

OGGI, VAI A VOTARE !

maestrocastello 

lunedì 6 maggio 2019

Sono un libridinoso


Lo confesso: sono affetto da “libridine”, la malattia da libro, quella che mi fa rallentare ogni volta che passo davanti ad una libreria e, anche se vado di corsa, mi viene la tentazione di fermarmi ed entrare.
Quella grossa concentrazione di carta stampata mi dà alla testa, mi fa aggirare fra i banchi ad ispezionare titoli, colori, copertine e fascette.
Non resisto alla tentazione, ne prendo in mano uno e l’annuso, come fossi un cane da tartufo: mi piace l’odore della carta stampata di fresco.
Passo  dalle ultime novità ai libri datati, ai libri già letti e quelli che mi prometto di leggere. Sono insaziabile, vorrei possederli tutti.
Amare un libro non tanto per il suo contenuto, ma per la fisicità. Una volta letto smette di essere una copia qualunque e diventa una tua creatura. Non si può più prestare, col rischio che non ti torna indietro; piuttosto ne regaleresti uno nuovo , ma quello tuo no. Sulla tua copia vi hai apposto dei segni sui tratti che ti hanno regalato emozioni, quasi a farlo sapere o a ricordartene.
Il libridinoso si affeziona a ogni libro, perfino a quelli che disprezza.  Se qualcuno ti regala il libro di un autore che non ami, lo riponi da una parte, ma non lo butti via; non ne hai il coraggio!
La libridine in fondo è una bella malattia da cui difficilmente si guarisce ed io sono contento di esserne affetto.
Buona vita!
maestrocastello 

lunedì 4 febbraio 2019

Lu Cupu Cupu


Il Carnevale (Carnuuèle) è alle porte e rappresenta un momento di gioia per grandi e piccini. In ogni parte del Paese si dà la propria impostazione a questa festa, per regalare una tinta di allegria ad una città o paesino che sia e dare così seguito ad una tradizione che si perde nella notte dei tempi.  
Fanno la loro comparsa maschere le più strane create dalla fantasia della gente , carri allegorici a tema ed anche strumenti musicali della tradizione come il “Putì Putì”, che altro non sarebbe che la “Caccavella”.
La caccavella si ritrova infatti in molte zone del sud Italia con caratteristiche simili, ma con nomi diversi come: Cupa Cupa, Cupi Cupi, Bufù, Puti Puti. A Sant’Agata di Puglia la chiamiamo “CUPU CUPU” per via del suono che caratteristico di questo strumento e questo nome viene ripetuto più volte nella canzoncina santagatese  che intoniamo per tradizione durante il Carnevale, dal titolo appunto, “Lu cupu cupu”.
Quanti carnevali da bambini a cui partecipava tutto il paese. Le maschere dei bambini erano immancabilmente i vestiti dei genitori e ciò già bastava a farci ridere, se poi aggiungiamo che ci tingevamo la faccia col lucido da scarpe; il lavoro era completo. Allora ci davano una mano il negozietto re Ze Fiurina e l’emporio di Gerardo Sanità che vendevano semplici maschere da indiano, di cartone leggero, tenute da un elastico che facilmente si strappava.
I più bei carnevali li organizzava Filomeno Morese, il custode del cimitero; meglio conosciuto come “ Belluòtte “. Si trattava di un vero e proprio funerale, col fantoccio di carnuuèle muòrte nella bara e tanto di accompagnamento di gente che piangeva; solitamente erano tutti i suoi familiari.Tutto il paese a curiosare e ridere.
Flumanucce, personaggio indimenticabile a Sant’Agata, quanto ci ha fatto divertire!

Lu cupe . . . cupe
Agge cantéte sòpe a na finestra
lu cupe cupe - vòle la menestra;
Aggi cantète sòpa a na cucina
lu cupe cupe - vòle la furcina;
Ave ritte zi Andreia
scème a Foggia a tréia a tréia
Ave ritte zi Filèse
me rè nu poche re chèse;
Ave ritte Taresucce
me rè nu buccherucce;
Canta la gallina e còtela li rine
pe dé la bona sera a re signurine;
Canta lu galle e còtola la còre
pe lassé la bona sera a stì signùre.


Buona Vita!

maestrocastello 

mercoledì 30 gennaio 2019

IL MAIALE

Le nostre tradizioni:

IL MAIALE.  ( lu puórche )

Il maiale ha accompagnato l'uomo nella sua evoluzione e nei nostri paesini di montagna ha rappresentato, in particolare, una vera e propria salvezza per le nostre tavole, non sempre molto imbandite in passato . 
Chi poteva, si cresceva il maiale che rappresentava una garanzia per la propria famiglia ad affrontare l'inverno senza troppe privazioni alimentari.
Il ruolo delle carni suine era essenzialmente economico: ricche di nutrimenti e molto grasse non necessitano di particolari condimenti come le spezie, che di norma mancavano sulle tavole dei poveri. 
Inoltre, è una carne particolarmente adatta alla trasformazione, importante fattore in un periodo in cui la catena del freddo non esisteva ancora. 
Altro fattore importante, è che del maiale non si butta via niente, altro aspetto da non sottovalutare, date le estreme condizioni di povertà in cui viveva la stragrande maggioranza delle popolazioni di allora. 
Ad ulteriore conferma del ruolo sociale del maiale nella vita rurale, è sufficiente pensare che ancora oggi in occasioni di manifestazioni paesane o per festeggiare particolari eventi, si consuma la carne fresca di suino o conservata come salume, nonostante che le nostre abitudini a tavola si siano fortemente modificate ed il rapporto con la terra più così strettamente necessario.
Chi ha qualche anno, come il sottoscritto, ricorderà che quando s’ammazzava il maiale in paese era un avvenimento e una festa. 
Partecipavano in tanti, parenti ed amici che davano una mano alle varie operazioni, mentre la povera bestia mandava sibili che rivoluzionavano il paese. 
Noi bambini entravamo in fibrillazione ed accorrevamo curiosi nei pressi del luogo 
dell’avvenimento.Mi ricordo le tavolate che a sera facevano gli uomini a base maiale e vino paesano che scorreva a fiumi.
Dicevano gli anziani che, entrando in una casa, se volevi sapere quelli come se la passavano; dovevi guardare in alto.
Lì erano appesi gli insaccati, ricavati dal maiale, 
provvista per tutto l’anno ed erano come tanti trofei, chiaro segnale di benessere da ostentare al visitatore.
Bei tempi!

LE PARTI DEL MAIALE:
1)   testa
2)  guanciale o gola
3)   lardo
4)   coppa o capocollo
5)   lombo o lonza
7)   costine o petto
8.) spalla
9)   zampino o stinco
10) pancetta
11)  filetto 
12)  culatello
13)  coscia o prosciutto 

- c'era un'usanza antica a Sant'Agata che racconta di un detto augurale che diceva il proprietario al maiale, standogli di lato:

"Récchia, récchiele, 
 quanne muóre grasse grasse; 
 quale scianga me l’asse?”
Buona vita!

maestrocastello 

DI CHE COLORE È LA PELLE DI DIO?



Pelle Bianca come la cera
Pelle Nera come la sera
Pelle Arancione come il sole
Pelle Gialla come il limone
tanti colori come i fiori.
Di nessuno puoi farne a meno
per disegnare l’arcobaleno.
Chi un sol colore amerà
un cuore grigio sempre avrà.
(Gianni Rodari)

giovedì 24 gennaio 2019

IL CAFFÈ SOSPESO


È un’antica tradizione napoletana quella del “ caffè sospeso “ che non conoscevo e devo dire che quando l’appresi da un amico, qualche anno fa, non mi sorpresi più di tanto; ben spendo di quanta fantasia e generosità sono dotati i napoletani.
Il “caffè sospeso” era un caffè in attesa: era già stato pagato da un cliente generoso ed in attesa appunto di essere richiesto e consumato dallo sconosciuto di turno che in quel momento non aveva moneta.
E capitava realmente che qualcuno si affacciava in quel bar chiedendo se c’era “ un sospeso “.
L’origine di questa usanza viene fatta risalire ai tempi del dopoguerra in cui la gente se la passava male ed erano più i clienti poveri che quelli ricchi e tanti non si potevano permettere neanche un semplice caffè.
Ben sapendo il piacere che quel semplice caffè avrebbe comportato ad un napoletano; un altro napoletano, di animo gentile , prese l’abitudine di bere un caffè e pagarne due.
Davvero una bella abitudine, un’offerta all’unanimità, come scrive De Crescenzo nel suo libro, intitolato appunto :”Il caffè sospeso “.
Ora sta tornando in auge questa vecchia usanza e sta interessando varie parti sia d’Italia che del mondo e non non è vero che in giro esiste solo egoismo. 
Il caffè sospeso non è fare la carità, ma regalare a qualcuno pochi sorsi di felicità!

buona vita!
maestrocastello 

24 gennaio 2019




martedì 15 gennaio 2019

PAESI IN COMA

Lettera al paesologo Franco Arminio.

Caro Franco Arminio, ho rivisto ancora una volta il tuo documentario :“Di professione faccio il paesologo” ed ogni volta  provo mille emozioni.
Il mio cuore sembra una camicia stesa al vento ad asciugare : s’abbótta e s’ammóscia in continuazione. Quando “s’abbótta”, i sentimenti che mi pervadono sono di orgoglio di appartenenza ad una comunità che mi ha insegnato l’a, b, c della vita, quando si era lpoveri e si viveva di niente; eppure si era felici. Quando la camicia si ammóscia mi pervade la desolazione dei nostri luoghi, la solitudine, l’abbandono. Case vuote ad aspettare inutilmente chi partì un giorno a guadagnarsi la stozza altrove e, se pur un giorno farà ritorno, prenderà la via del camposanto.
Leggo nelle parole e sul volto dei vecchi che intervisti rassegnazione e dignità, animati da una fede atavica, pressoché sconosciuta alle nuove generazioni.
Ma cosa serve veramente per rianimare i nostri paesi? Tu, Franco, dai spesso dei suggerimenti; ma credo che ci vogliano troppe cose che si combinino assieme e ciò che serve davvero, penso che non lo sappia nessuno. Anch’io partii dal paese negli anni sessanta e dopo cinquant’anni non mi sento ancora cittadino e non lo sarò mai e al paese non ho più una casa.
Mi pare utopia che si possa tornare a vivere nei nostri piccoli paesi, se non per andarci a morire . Tu ce lo vedi uno, ormai settantenne, che lascia figli e nipoti ormai radicati in città e venire a stare da solo in un desolato paese, a sfidare le temperature rigide dell’inverno che dura “migliaia di giornate”, dove manca sempre il quarto per una normale partita a tressette? Come tu stesso dici: le case superano il numero delle persone rimaste e ogni volta che passo davanti alla mia casetta dell’infanzia, mi prende come un rimorso per essere partito. Tu sei come un medico condotto che fa il giro dei paesi per valutarne lo stato di salute ed io, invece, mi sento una specie di archeologo che scava nel passato, perché quelli che stanno lontano come me; tornino a rivivere il paese, torni viva in loro la memoria delle proprie tradizioni, la gioia di parlare ancora il proprio dialetto e l’importanza di non disperdere tutti gli insegnamenti che ci hanno lasciato in eredità i nostri antenati. 
Utopia anche questa? Lo so, ma la gente ha bisogno anche di utopie.
Buona vita!
maestrocastello 

domenica 6 gennaio 2019

LA BEFANA VIEN DI NOTTE


La befana è un termine che significa Epifania e nell’immaginario collettivo rappresenta una vecchietta che nella notte tra il 5 e 6 gennaio, appunto la mattina dell’Epifania, porta doni ai bambini buoni.
Le sue origini sono imprecisate e si fondono insieme elementi folcloristici precristiani e cristiani.
La Befana porta doni in ricordo dei doni offerti dai Re Magi a Gesù.
La si dipinge come una simpatica vecchietta, appunto, che vola sui tetti a cavallo di una scopa e scende dal camino a lasciare i doni ai più piccoli.
A volte lascia carbone se si è stati cattivi, quindi è depositaria di un insegnamento.
C’è chi sostiene che è una vecchia brutta perché simboleggia la natura spoglia di questo periodo dell’anno che poi rifiorirà.
Ma la Befana esiste o non esiste? Si fa sempre più fatica a farlo credere ai baqmbini.
Comunque, buona Epifania e preparatevi a disfare albero e presepe.

Maestrocastello