martedì 15 gennaio 2019

PAESI IN COMA

Lettera al paesologo Franco Arminio.

Caro Franco Arminio, ho rivisto ancora una volta il tuo documentario :“Di professione faccio il paesologo” ed ogni volta  provo mille emozioni.
Il mio cuore sembra una camicia stesa al vento ad asciugare : s’abbótta e s’ammóscia in continuazione. Quando “s’abbótta”, i sentimenti che mi pervadono sono di orgoglio di appartenenza ad una comunità che mi ha insegnato l’a, b, c della vita, quando si era lpoveri e si viveva di niente; eppure si era felici. Quando la camicia si ammóscia mi pervade la desolazione dei nostri luoghi, la solitudine, l’abbandono. Case vuote ad aspettare inutilmente chi partì un giorno a guadagnarsi la stozza altrove e, se pur un giorno farà ritorno, prenderà la via del camposanto.
Leggo nelle parole e sul volto dei vecchi che intervisti rassegnazione e dignità, animati da una fede atavica, pressoché sconosciuta alle nuove generazioni.
Ma cosa serve veramente per rianimare i nostri paesi? Tu, Franco, dai spesso dei suggerimenti; ma credo che ci vogliano troppe cose che si combinino assieme e ciò che serve davvero, penso che non lo sappia nessuno. Anch’io partii dal paese negli anni sessanta e dopo cinquant’anni non mi sento ancora cittadino e non lo sarò mai e al paese non ho più una casa.
Mi pare utopia che si possa tornare a vivere nei nostri piccoli paesi, se non per andarci a morire . Tu ce lo vedi uno, ormai settantenne, che lascia figli e nipoti ormai radicati in città e venire a stare da solo in un desolato paese, a sfidare le temperature rigide dell’inverno che dura “migliaia di giornate”, dove manca sempre il quarto per una normale partita a tressette? Come tu stesso dici: le case superano il numero delle persone rimaste e ogni volta che passo davanti alla mia casetta dell’infanzia, mi prende come un rimorso per essere partito. Tu sei come un medico condotto che fa il giro dei paesi per valutarne lo stato di salute ed io, invece, mi sento una specie di archeologo che scava nel passato, perché quelli che stanno lontano come me; tornino a rivivere il paese, torni viva in loro la memoria delle proprie tradizioni, la gioia di parlare ancora il proprio dialetto e l’importanza di non disperdere tutti gli insegnamenti che ci hanno lasciato in eredità i nostri antenati. 
Utopia anche questa? Lo so, ma la gente ha bisogno anche di utopie.
Buona vita!
maestrocastello 

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