sabato 31 dicembre 2011

Io ho voglia di farcela.

Sarà un anno molto caldo e perciò gli auguri di Buon Anno partono dal mare.




Auguro buon anno a tutti quelli che, come me, hanno voglia di farcela.
Il duemiladodici sarà un anno povero, ma bello che ci metterà tutti alla
prova. Lamentarci solamente servirà a ben poco. Servirà rimboccarci le
maniche. Che il buon umore non ci abbandoni mai!
P.S.  Ho cucinato cotechino e lenticchie per un esercito intero…se volete
potete favorire….. ovviamente i politici non sono graditi.
A tutti gli ospiti di questo blog, maestrocastello augura un 
 Duemiladodici  fantastico!

Nel duemiladodici ci sarà da pedalare.


BUON ANNO E BUONA VITA AI  LETTORI DI MAESTROCASTELLO!!!  

L’anno 2011 è alle battute finali e sono già in tanti a dire che il prossimo sarà un anno funesto, non solo perché è  bisesto; ma per gli scenari  apocalittici paventati dal calendario dei Maya. Questi parlano di fine del mondo al compimento dell’attuale Età dell’Oro (la quinta) che terminerà, appunto, il 21 dicembre del 2012. Le  Ere precedenti (Acqua, Aria, Fuoco e Terra), a detta loro, sarebbero terminate tutte con immani sconvolgimenti ambientali. I ricercatori li attribuiscono, piuttosto, allo spostamento dell’asse della Terra che subirebbe periodiche variazioni, provocando un’inversione del campo magnetico terrestre. Badate che 2012 è solo un numero  convenzionale e vale solo per noi che seguiamo il Calendario Gregoriano: infatti, sono passati 2012 anni (post Cristum natum) dopo la nascita di Gesù Cristo. Per il calendario Armeno l’anno che arriva sarà il 1461, per quello Bizantino il 7520, per quello ebraico il 5771, per il buddista il 2556, per quello islamico il 1433 e potremmo proseguire.  A chi si rivolgono, allora, questi Maya? Solo a noi cristiani? Sembra che la fine del mondo non riguarderebbe quelli delle altre religioni. Questi profeti di sventura, pur in epoche diverse, parlano tutti di catastrofi sul pianeta e preannunciano tuttitre giorni di buio completo su tutta la terra”. Roba da far accapponare la pelle. Ma  riflettendo bene, qualcosa di vero ci deve essere.  Come  spieghereste, altrimenti, il fatto che siamo a gennaio e non c’è ancora traccia dell’inverno? Che la neve manca anche in montagna? Se aggiungiamo che l’economia manca del tutto, il quadro è completo. E’ naturale che uno si a spetti che il 2012 sia un anno migliore. Anche un cerino acceso nel buio sembrerà un grande sole. La crisi finisce col diventar positiva se ci avrà lasciato stimoli e lezioni di vita. La soluzione non va cercata negli altri, ma in ciascuno di noi; mutando i nostri atteggiamenti di vita quotidiani e non ostinandoci a mantenere un modello di vita basato su presupposti sbagliati. Se faremo un uso diverso del denaro e del nostro tempo, ce la potremo fare. Se impareremo che per muoversi basta un’utilitaria, che si può vivere benissimo anche cambiando l’auto due anni più tardi e che faremo la nostra bella figura anche con i vestiti che qualcuno vorrebbe convincerci a cambiare, perché passati di moda. Se impareremo che la verdura è meglio lavarla che pagarla già “capata”  a 18-20 euro al chilo, se capiremo che l’estetica è certo una bella cosa, ma non un valore primario. E' educativo che bimbi di nove-dieci anni abbiano già un iPhone tra le mani? Da qualche parte leggevo che: “Si può trovare equilibrio in due modi, come una sedia o come una bicicletta. La sedia sta in piedi se è ferma. La bicicletta solo se è in movimento”. Brindiamo all’anno che arriva e pensiamo se non sia il caso di rispolverare la nostra vecchia bici che tenevamo appesa in garage e cominciare a pedalare..
Buon anno e buona vita!
maestrocastello



giovedì 29 dicembre 2011

Ho cominciato a mettere all' ingrasso il mio porcellino salvadanaio.


La notizia : Il fatto è avvenuto nella cittadina di Schwanewede, vicino Brema. Un uomo suona alla porta ed una ragazza gli apre. Lui la spinge all’interno e la minaccia con una pistola, intimandole di consegnargli i soldi. La ragazza, che è solo la babysitter e sta badando ai figli della coppia, nella borsa ha solo i soldi che le hanno dato per quella serata. La confusione sveglia i due bambini che, intanto, dormono nell'altra stanza. I piccoli, avendo intuito che il rapinatore vuole dei soldi e che la ragazza è in seria difficoltà, gli portano i loro maialini-salvadanai. Il rapinatore, un giovane sui vent’anni, si rende conto di aver fatto una cosa orribile e, in preda alla vergogna, mette via la pistola e scappa via, scusandosi.                                                                                                        La riflessione : In questo momento critico dell’Italia, il giovane rapinatore mi fa pensare al governo Monti che, per fare cassa, è costretto a prelevare dalle tasche di bambini e babysitter, pardon, pensionati e povera gente gran parte dei loro risparmi. Intanto le gioie di famiglia sono ben riposte nella cassaforte della ricca casa e quelle non le toccherà nessuno! Ma il vero spunto della nostra riflessione me lo danno i salvadanai, a forma di maialino, dei due bambini. Povero maialino, quando si parla di soldi, finisce sempre nel mirino. Questo governo vieta, dice per questioni di tracciabilità, l’uso del contante e prevede che il transito di moneta possa avvenire solo in modo telematico; deve quindi transitare per le banche. Quelli come me, che hanno un conto che serve soltanto per pagare le bollette e fare la spesa col bancomat, questo problema non se lo pongono; ma chi ha messo due euro da parte, come pensa di difenderli? Li porta in banca che ti dà 0% di interessi o deve ritornare al mattone, al barattolo del caffè o al più classico porcellino-salvadanaio? Certo che delle banchieri c’è poco da fidarsi. Prestano soldi che non esistono. Questi pifferai del debito che guadagnano sugli interessi delle rate, come veri e propri “cravattari” , con interessi che vanno dal 15 al 20%,  che non sono considerati usura, ma sono usura bella e buona. L’istigazione al debito non è reato, ma dovrebbe esserlo. La lira vinse l’oscar della moneta, quando l’Italia risparmiava. C’era la giornata del risparmio e quelli più grandi se lo ricorderanno certamente. Ai bambini si regalava il porcellino salvadanaio. Ve lo ricordate? Adesso c’è la giornata del debito. Dura 365 giorni all’anno.Se il risparmio era il motore dello sviluppo, il debito è il motore del sottosviluppo. Le banche stanno trasformando i componenti delle famiglie italiane in tanti accattoni. Non sarà il caso di ritornare tutti al  classico porcellino di ceramica? Se non altro per un fatto culturale.Secondo alcuni la curiosa associazione tra maiali e risparmio, deriverebbe da un’antica abitudine contadina: un tempo, quando rimaneva un po’ di cibo, si dava in pasto ai maiali. Gli avanzi venivano così reinvestiti su qualcosa di redditizio: i suini ben pasciuti fruttavano lauti guadagni. Il maiale non butta niente e noi non buttiamo niente del maiale!                                                                                                 Pensierino  finale : Non so voi, io, intanto, ho cominciato a mettere all' ingrasso il mio porcellino salvadanaio.
Buona vita!
maestrocastello                                                                                                                                                                                                                                   

martedì 27 dicembre 2011

Cadono "a grappoli".......


L’ atmosfera lieve del Natale ci ha appena visti intonare l’inno corale alla vita che si rinnova ogni 25 dicembre. E mentre osannavamo alla nascita del  Dio-Bambino in una greppia d’oriente, venivano fatte le stime di quante vite innocenti muoiono, ogni anno, nelle nostre metropoli. Morti a vario titolo: morti sul lavoro, per disastri naturali e per alluvioni, vittime delle inondazioni, delle  frane e morti sotto i crolli dovuti ai terremoti, vittime di incidenti stradali, su strade pericolose e morti causate dall’abusivismo ambientale. E' nato un "cimitero virtuale" sulla rete, dove si può fare visita a queste vittime dell'incuria. Quante morti innocenti dovute alla cultura dei non controlli preventivi, in un Paese dove conta solo lo sporco profitto o l’arricchimento illecito e fatale. L’Osservatorio Indipendente di Bologna riferisce che, dal 1 gennaio al 25 dicembre 2011, sono stati oltre 1100 i morti sul lavoro  e che oltre il 15% di questi lavoratori erano “in nero” o già in pensione. Il lavoro è una guerra che  fa tante vittime e pochi prigionieri. Sono queste le vittime della logica perfida del profitto che viene prima della messa in sicurezza, perché la sicurezza costa. Intanto molte famiglie hanno passato il Natale senza un loro familiare. A loro va tutta la nostra solidarietà. Penso, ad esempio, alla famiglia di Francesco Pinna, lo studente- operaio morto il 12 dicembre, per il crollo del palco al Palatrieste o dell’operaio di Adro, deceduto  il 19 dicembre, in seguito ad un’esplosione in un’acciaieria bresciana. Il numero dei morti è spaventoso, sono cifre da guerra, una guerra combattuta per la sopravvivenza che spesso costringe dei poveri cristi a rischiare la vita per 5 euro l’ora, come nel caso dell’operaio-studente che allestiva il palco per Jovanotti o della bassa manovalanza di nord-africani. Le morti sui posti di lavoro non le chiamerei incidenti, perché sono figlie dell’avidità che se ne fotte delle norme di sicurezza e piscia sui diritti del lavoratore. Questi operai ”usa e getta” cadono, ormai, a grappoli da impalcature in subappalto, schiavi di un tozzo di pane precario e vengono spinti nel vuoto anche dall’indifferenza di chi mostra disprezzo per la vita; sia esso avido imprenditore, piuttosto che garante politico  della messa in sicurezza del posto di lavoro che non garantisce un bel nulla. Siamo stufi dei messaggi di cordoglio delle istituzioni e ci sentiamo oltraggiati dalle false lacrime versate dagli stessi assassini. Non serve a nulla la compassione.  Dobbiamo, piuttosto, pretendere la messa in sicurezza di questo Paese. Non è possibile che appena piove un po’ di più, ci ritroviamo a contare morti a decine. Dobbiamo avere più rispetto dell’ambiente in cui viviamo, uscendo dalla logica dell’omertà, del sottobanco, della mazzetta e del “tutto si compra”.Queste morti inquietanti ci debbono far riflettere ed impegnarci a creare i presupposti perché prevalga finalmente la cultura della vita.
Buona vita!
maestrocastello.

sabato 24 dicembre 2011

                                   A u g u r i
                                 a voi bambini, 
                              godetevi la magia
                           del Natale. Auguri agli
                         adulti, tuffatevi nei ricordi
                     della vostra infanzia. Auguri ai
                  malati, che il Natale vi porti la forza
                ed  il sorriso  per affrontare  ogni  cosa.
  
         Auguri alle persone sole,che il Natale vi porti
        la forza per andare avanti  e, chissà, magari  con
      qualcuno  accanto. Auguri soprattutto a chi non  c’è
                  più. Continuate a riscaldarci i cuori !
                                      maestrocastello                 
                                    augura
                                  buon Natale
                         a tutti i lettori del blog

venerdì 23 dicembre 2011

Gli ultimi giorni di Pompei.


Se l’eruzione del Vesuvio nel 79 d. C. era stata capace di distruggere la città di Pompei, oggi, l’incuria, l’abbandono e  l’incapacità della politica, sono i responsabili di una nuova devastazione. E’ di questo pomeriggio la notizia dell’ennesimo crollo negli Scavi di Pompei. Questa volta è toccato  ad uno dei pilastri che sorreggono il pergolato esterno della Domus attribuita erroneamente a Loreio Tiburtino, ma che apparteneva in realtà ad Octavius Quarto, come risulta dall’incisione su un anello-sigillo (rinvenuto negli anni ’50 presso l’ingresso), che riporta il nome del vero proprietario. Si tratta del pergolato che sovrasta una delle due vasche a forma di T (dette eurìpi) che sono nel giardino della villa. Una delle due vasche, quella vicino a cui c'è stato il crollo, è divisa in tre parti e veniva utilizzata per pescare i pesci; l'altra, circondata da statue di struttura egiziana (molto diffuse all'epoca tra la gente ricca dell'Italia) era invece solo ornamentale. E’ davvero singolare come si cerchi ogni volta di sminuire l’accaduto con frasi del tipo:”era un’area di scarso interesse” o “si tratta di un elemento isolato, senza alcun rilievo artistico”. Intanto a Pompei i crolli si ripetono in modo costante: a novembre 2010, il crollo di una porzione importante  della “Casa dei Gladiatori”, appena un mese dopo, cedono due muri della “Casa del Moralista” (per fortuna, senza affreschi); oggi raccontiamo il crollo di un pilastro di una domus e domani, cosa ci dobbiamo aspettare? Di questo passo rischia di scomparire il sito archeologico più importante  del mondo, fiore all’occhiello di un’Italia che è in cerca di rilancio economico e non si accorge che avrebbe la soluzione fra le mani, se solo investisse in arte e cultura. L’Italia è uno scrigno colmo di beni artistici e culturali da far invidia al resto del pianeta. Questa non è una novità. Deteniamo ben il 5% dell’intero patrimonio storico-artistico mondiale, ma non riusciamo a tutelarlo come si deve. Voi direte che servono  milioni di euro e una nazione in crisi come la nostra non se lo può proprio permettere? Sentite cosa vengo a scoprire: l’Europa ha creato un fondo chiamato “Attrattori Culturali”, dotato di 808 milioni di euro che finanzia piani di intervento per la conservazione di siti archeologici e beni artistici. Sapete qual è la percentuale di  soldi che l’Italia aveva chiesto all’Europa al 30 aprile del 2010, per accedere a questo fondo? Zero euro!  Avete capito bene: l'Italia non ha avuto bisogno neppure di un euro!  Come se non avessimo  beni da conservare. Pensate che bastava inviare  a Strasburgo un semplice progetto, ma nulla e con tanti giovani archeologi a spasso. Pompei dispone  attualmente di un solo archeologo e ne servirebbero almeno altri otto. Quanti posti di lavoro si potrebbero creare con i  tesori d'arte che abbiamo a nostra disposizione; ma non si muove foglia!
Questo modo folle di fare politica sta facendo più danni di quelli che fece il Vesuvio nel 79 d. C. e beni come Pompei, dichiarati dall’UNESCO “Patrimonio Mondiale dell’Umanità”, perché costituiscono una testimonianza completa e vivente della società (che non hanno un equivalente in nessuna parte del mondo), rischiano di essere solo un ricordo da sfogliare sulle pagine di un libro.
Buona vita!
maestrocastello

mercoledì 21 dicembre 2011

Homo faber.


Il racconto: Un giorno d’estate, il nipotino di un famoso scienziato si presentò nello studio del nonno. Nella mano, che teneva nascosta dietro la schiena, il ragazzino stringeva un uccellino che aveva appena catturato nella voliera del giardino. Con gli occhi che sprizzavano di maliziosa furbizia chiese al nonno: “Il canarino che ho nella mia mano è vivo o morto?” “Morto”, rispose il saggio, senza alcuna esitazione. Il bambino apri la mano e lasciò scappare l’uccellino che prese immediatamente il volo. “Hai sbagliato, hai sbagliato!”, disse il bimbo  ridendo. Il nonno aveva paura che se avesse risposto: “ Vivo”, il ragazzino avrebbe potuto stringere il pugno e soffocare la piccola bestiolina. Vedendo il fanciullo ridere divertito, anche il nonno sorrise. “ Piccolo mio, la risposta era racchiusa nella tua mano.”
Informazione storico-filosofica: Questa storiella, semplice all’apparenza, sembra il cartello di un’antica scuola di pensiero , riassunta  in una locuzione latina: “Ognuno è artefice del proprio destino”,  che Sallustio attribuisce al console romano Appio Claudio Cieco.  L’espressione segna una contrapposizione all’idea di uomo che si aveva nel mondo classico fino al Medioevo; quando si credeva che il destino dell’uomo era tutto deciso dal fato. La nuova  teoria, detta appunto, dell’ “homo faber” (uomo artefice), che verrà sviluppata soprattutto durante l’Umanesimo ed il Rinascimento, vede l’uomo come intelligente, astuto ed energico e perciò capace di utilizzare al meglio ciò che la natura gli offre ed essere dunque artefice del proprio destino.
Riflessioni : Siamo beneficiari di un dono che ci è stato fatto con la nascita: la vita. Poi ognuno vive la propria vita come meglio crede, è tutta questione delle scelte che ciascuno fa. Sono appunto le scelte che determinano il proprio destino. Se uno sarà una persona per bene, piuttosto che un delinquente; l’avrà deciso lui solamente con le scelte che avrà effettuato. La vita è un dono e bisogna farne buon uso. Come? Mettendo al centro della propria vita solo sani principi e tenere bene a mente che ciò che semini poi raccogli. Dobbiamo imparare a viverla, la vita, attimo dopo attimo; imparare a gustare anche le piccole cose. Facciamo pure progetti in prospettiva del futuro, ma, intanto, non perdiamo di vista il presente. La vita è un dono e per questo si chiama “presente”!                                                   
Post Scriptum: La vostra vita può sempre diventare migliore…..la decisione e la possibilità di  migliorarla stanno nelle vostre mani.
Buona vita!
maestrocastello

venerdì 16 dicembre 2011

l'intolleranza che uccide.



Quello che è andato in scena prima a Torino e poi a Firenze è lo spaccato di un’Italia deteriore ma purtroppo reale, un Paese che si cela spesso dietro la facile demagogia  quando si parla di stranieri; ma che troppe volte si lascia andare a comportamenti razzisti. Ieri gli zingari a Torino, oggi i senegalesi a Firenze; cambia solo l’obiettivo, ma resta il medesimo atteggiamento razzista verso chi è diverso da noi. Lo sparatore di Firenze sarà pure un pazzo depresso, ma è lo specchio fedele dell’ intolleranza non tanto latente che si annida in larga parte della nostra gente . Questi due episodi sono la dimostrazione di come dalla percezione negativa dell’altro possa scaturire la paura, l’intolleranza, l’indifferenza o addirittura il razzismo. Come siamo arrivati a tanto, ce lo chiediamo tutti. Qualcuno dice che è la nostra stessa storia che è intrisa di linciaggi fisici e morali: prima i meridionali, poi gli ebrei, i rom, i migranti internazionali e via discorrendo.  Evidentemente ci siamo scordati quando stranieri eravamo anche noi.  L’Italia un Paese razzista? Penserete che è un’affermazione esagerata. Come si giustifica, però, che su facebook sono ormai centinaia le persone che inneggiano al gesto folle compiuto da Enrico Casseri a Firenze? Come li chiamate questi?  Badate che sono tutti italiani come noi.  Allora dobbiamo pensare che non è proprio un gesto isolato quello di Casseri, se tanti altri Casseri la pensano come lui; con l’unica differenza è che questi altri non sparano. Come uomo del sud, mi ha fatto male apprendere che a consumare tutta quella violenza nel campo nomadi di Torino siano stati proprio dei meridionali adulti e per un’accusa, per giunta, inventata. Evidentemente la nebbia padana s’è introdotta anche nei  cervelli dei nostri conterranei. Ecco cosa succede quando una certa politica xenofoba persiste nel seminare odio verso il diverso che si trasformerà, presto o tardi, in puro razzismo. Firenze è una città di accoglienza, è vero, e sono partiti cortei solidali anche a Roma e in varie parti d’Italia; ma qualcuno  ha scritto giustamente che le fiaccolate non bastano e nemmeno le tante parole di circostanza dei politici. Dobbiamo adoperarci a costruire un Paese più civile, dove ci sia posto per tutti, sforzarci a superare quel “pensiero prevenuto” che ostacola l’emergere di una cultura dell’integrazione. Perché scagliare la nostra rabbia sociale contro questi poveri cristi che hanno la sola colpa di offrirci calzini in cambio di un tozzo di pane? Essere più tolleranti è fattore di semplice civiltà. Questi episodi incresciosi non saranno accaduti invano, se ci faranno riflettere sul nostro modo di essere uomini.
Buona vita!
maestrocastello

sabato 10 dicembre 2011

lo Stato italiano semina, ma non raccoglie.


Impazzano in questi giorni aspre critiche da ogni parte al governo Monti ed alla sua ricetta salva-crisi. Fatti salvi i compensi ai parlamentari che sono i più alti in Europa, i privilegi della chiesa che non intende pagare l’ici nemmeno sui fabbricati adibiti ad uso commerciale ed evitata la  patrimoniale agli italiani facoltosi, per paura che vadano ad investire altrove (come se  non lo facessero già); a pagare il conto della crisi sono ancora una volta i più poveri. Diceva Petrolini :” Bisogna prendere il denaro dove si trova, ovvero,  presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti.” Da uomo che ha passato molti anni nella scuola, ho atteso con curiosità il nome del nuovo ministro dell’istruzione pubblica. All’annuncio che era stato nominato il professor Profumo, evviva, mi son detto; finalmente cambierà qualcosa per la scuola, ora che a guidarla c’è un uomo di cultura e con un passato di ricercatore di livello.  La ricetta Obama per sconfiggere la crisi americana  è stata d’investire molto su scuola, ricerca ed innovazione; farà lo stesso questo governo  o si comporterà come i precedenti? Che cosa strana, per la cultura l’Italia investe solo, ma non raccoglie. Ogni ingegnere che esce dal Politecnico  e va a fare ricerca negli USA costa 700.000 euro allo Stato italiano, tra elementari, medie, liceo ed università e poi regaliamo questo patrimonio agli americani. I nostri bravi ingegneri che vanno all’estero,  è là che portano le loro conoscenze, le loro capacità ed è sempre là che creano posti di lavoro e vi pagano le tasse.  Nella puntata del 13 ottobre Enrico Lucci di “Le Iene” ha raccontato la storia di Loris Degioanni , giovane ingegnere informatico di un paesino del cuneese che è stato capace di capitalizzare negli Stati Uniti la sua fresca laurea conseguita al Politecnico di Torino. Loris ha fondato in California un’azienda software con trenta  dipendenti,  di cui 15 sono giovani laureati italiani, usciti sempre dal Politecnico e che lui ha convinto a raggiungerlo in America, prima per 3 mesi e poi ci sono rimasti stabilmente. Ora la sua azienda l’ha venduto ad una multinazionale americana, con tutto il personale.  Loris che ha appena 36 anni, dopo soli dieci anni di permanenza oltreoceano, ha ora un conto in banca di diversi milioni di dollari. La storia di Loris e dei quindici ingegneri che l’hanno seguito in California ci racconta che il sistema scolastico italiano e la nostra università sono ancora capaci di sfornare talenti e che sarebbe sbagliato pensare che da noi tutto sia da buttare. Ci dice anche che seminiamo bene e poi non siamo in grado di sostenere la ricerca e farla fruttare qui da noi. Ci fa capire quanto sia miope la nostra classe politica e quanto abbia paura di rischiare; quanto le generazioni più mature siano incapaci di riconoscere nei giovani le grandi potenzialità per far ripartire questo nostro Paese malandato.  La Pew  Research Center  di Washington che studia trend americani e mondiali, ha chiesto a giovani di tutto il mondo: “ Quanto pensate che il vostro futuro e la vostra realizzazione dipendano da fattori esterni alla vostra volontà?”.  Negli USA si ritiene che questi fattori pesino per il 30%, in Francia per 50% ed in Italia addirittura per il 70%. Questo spiega quanto da noi prevalga il sentimento di paura e di rinuncia. Dobbiamo cambiare mentalità lavorando molto sul nostro modo di pensare, per garantire la possibilità ai nostri giovani di misurarsi con il mondo ed invogliarli a credere maggiormente nei propri sogni. I nostri ragazzi valgono e non devono perdere il loro diritto alla speranza. Spetta a noi , generazioni adulte, incoraggiarli e sostenerli e  far capire loro che provare a rischiare ci si guadagna solamente.
Chi ha il coraggio di  coltivare  le proprie passioni, non resta mai deluso.
Buona vita!
maestrocastello

giovedì 8 dicembre 2011

Come eravamo.


Lu trappìte (il frantoio) :
Quando era tempo di novena di Natale, era pure  tempo che le olive appena colte prendevano la strada del frantoio. Il racconto del bravo Alfonso De Capraris su “santagatesinelmondo” ha  acceso i miei ricordi di bambino, quando, con le tasche gonfie  di pane appena abbruscato, partivo appeso alla giacca di mio padre, alla volta del trappeto di Barbato. Al suo interno si concludeva un ciclo agrario pieno di soddisfazione per l’economia del bracciante santagatese, il ciclo dell’olio di oliva. Era allora il frantoio, soprattutto, un ideale centro di aggregazione per la vita del nostro piccolo paese. L’odore forte delle olive che, per l’attesa, iniziavano a macerarsi dentro i sacchi, mi piaceva molto e mi piaceva pure tutto quel vocio allegro di persone che, dopo tanto faticare, stavano come in fila a ritirare il premio di una lotteria. Qui vedevi quei quadretti ameni di cui parla Alfonso nel suo pezzo:  “qualche vecchiarièrre cu la cannùccia mmòcca ca se la pippijèva e nzacchèva sputacchiète pe ndèrra” e la donnetta, in religiosa attesa del suo turno, che teneva d’occhio il proprio mucchio di sacchetti pieni, timorosa che li scambiassero con altri. Il trappeto si trasformava presto da luogo di spremitura in luogo di trasmissione di cultura, qui la gente si passava i segreti di una buona coltivazione dell’ulivo e di come sconfiggere la mosca (tignola) o del tempo conveniente per la potatura. Solo al frantoio  potevi comprendere  il significato pieno che l’olio ha per la gente di un paese come il mio. Quando era il momento che principiava ad uscire l’olio, era come  se uscisse messa e  la persone restavano mute a guardare “r’uòglie ca sculèva a stìzza a stìzza” come il sudore che sgorga sulla fronte di chi l’aveva zappato. Sulla bocca dei presenti sentivi dire:” benerica! benerica!”, facevano i complimenti al proprietario che faticava a trattenere lacrime nascoste fra tanti timidi sorrisi. Come dalle mani di un prestigiatore, molti estraevano dalle tasche  fette di pane per l’assaggio ed era come quando il prete dà la comunione: passava un tizio a battezzare “ cu’ na croce r’uòglie  le mani tese che brandivano“li cruschèle” (bruschette) fatti cu ru ppène ca se scèva  accattè a la Portanòva, ra Ngurnatèlla la panettèra”. Alla fine del processo di lavorazione faceva la comparsa il misuratore, ovvero “l’àmmela”, che era di stagno e misurava due litri e mezzo. E giunti all’”ite missa est” di questa liturgia particolare, il bracciante si congedava col suo carico di prodotto genuino  e il cuor contento che almeno l’olio per la famiglia era assicurato. Nel trappeto, come in chiesa, avveniva ogni anno un piccolo miracolo sotto i nostri occhi, il miracolo dell’olio, secondo un rito antico e colmo si sapienza che, ancora oggi, la gente non vorrebbe far morire.
Buona vita!
maestrocastello

lunedì 5 dicembre 2011

maestrocastello ha compiuto 3 anni.



Il primo di dicembre il blog “maestrocastello” ha compiuto 3 anni di vita. Sono 353 gli articoli  da me proposti e quasi 27 mila le visite effettuate da voi. Molta visibilità ha dato a questo blog la collaborazione col sito “santagatesinelmondo” del mio compaesano ed amico Nardino Capano e grazie anche a quanti hanno  la bontà di leggermi quotidianamente. I dati sono davvero confortanti ed invitano il sottoscritto a continuare nell’idea di costruire, insieme a voi lettori, quel pensiero positivo collettivo, capace di migliorare la qualità della nostra vita; nonostante le difficoltà che ci troviamo di fronte. “Pensa positivo!” deve essere il nostro manifesto. Essere critici sì, ma poi bisogna agire in maniera costruttiva.  Sono moderatamente soddisfatto dei risultati fin qui ottenuti, anche se lamento che sono in tanti che leggono gli articoli, ma pochi quelli che lasciano una critica. Positiva o negativa che sia, una critica fatela!. Chi scrive ha bisogno di essere pungolato a fare sempre meglio. Vi invito ad offrirmi spunti di riflessioni ed io farò altrettanto con voi. Chi volesse dare suggerimenti in privato, la mia mail è: : maestrocastello@gmail.com , risponderò a tutti e non vi abbattete per la durezza dei tempi, ancora una volta, ce la faremo; siamo italiani!
Buona vita!
maestrocastello


Post scriptum: Capisco che chiamare torta il dolce della foto è una pretesa ambiziosa, si tratta, in effetti, di una semplice pizza con la ricotta che ho trovato sul web.  A Sant’Agata di Puglia la fanno in un modo fantastico. Buona vita!


sabato 3 dicembre 2011

Vivi positivo.


La storiella :Due uomini, entrambi malati, occupavano la stessa stanza d’ospedale. Uno dei due si alzava per un’ora ogni pomeriggio per aiutare il drenaggio dei fluidi dal suo corpo; mentre l’altro che era stato investito da un’auto, era costretto a rimanere immobile dentro il suo letto e si lamentava continuamente per i forti dolori. I due fecero presto conoscenza  ed iniziarono a parlare per ore. Parlavano del lavoro, delle loro mogli, delle loro famiglie, di quando erano militari e dei viaggi che avevano fatto.  Mentre parlavano, l’uomo disteso si scordava dei dolori e non emetteva lamenti. L’altro se ne accorse e teneva a bella posta conversazioni sempre più lunghe. Finiti gli argomenti personali attaccò a raccontare cosa si vedeva fuori dalla finestra. L'uomo nell'altro letto cominciò a vivere per quelle singole ore nelle quali il suo mondo era reso più bello e più vivo da tutte le cose e i colori del mondo esterno che sentiva raccontare. “La finestra dà su un parco con un delizioso laghetto -  diceva l’uomo in piedi -  le anatre e i cigni giocano nell'acqua mentre i bambini fanno navigare le loro barche giocattolo.... giovani innamorati camminano abbracciati tra fiori di ogni colore e... c'é una vista bellissima della città in lontananza”. Mentre l'uomo descriveva tutto ciò nei minimi dettagli, l'altro chiudeva gli occhi e immaginava la scena. Un brutto mattino l’infermiera si accorse che l’uomo della finestra era morto pacificamente nel sonno e chiamò gli inservienti per portare via il corpo. Non appena gli sembrò appropriato, l'altro malato chiese se poteva spostarsi nel letto vicino alla finestra. La donna, dispiaciuta, gli fece: “Signore qui non ci sono finestre, ne abbiamo due, ma sono fuori nel corridoio ! ”. “Ma come, il mio amico vi si  affacciava sempre e per un mese intero mi ha raccontato ciò che vedeva?” . “ Non le ha detto il suo amico che era completamente cieco?”,  fece l'infermiera.. Dopo un lungo silenzio, l’uomo si chiese ad alta voce che cosa poteva avere spinto il suo amico morto ad inventarsi una finta finestra e descrivere delle cose così meravigliose al di fuori di essa. “Forse, voleva soltanto farle coraggio!” disse la donna.
Per la riflessione :Perché non riesci più a volare? Continuerai solo a lamentarti delle cose che ti mancano, se non comincerai a godere di quelle poche che già hai. Se vuoi sentirti ricco conta le cose che possiedi e che il denaro non potrà mai comprare. Vi è una tremenda felicità nel rendere felici gli altri, anche a dispetto della tua situazione. Un dolore diviso  si dimezza, ma la felicità condivisa si raddoppia. Il presente è come un raggio di sole. Catturalo e non lasciartelo sfuggire! Vivi positivo il presente, a dispetto del momento di crisi, perché l’oggi è un dono di Dio; apposta si chiama presente.
Buona vita!
maestrocastello

mercoledì 30 novembre 2011

Diversi si nasce, uguali si diventa.

Il palloncino nero.
Un bambino dalla pelle scura era incantato a guardare il venditore di palloncini alla fiera del villaggio. L'uomo era evidentemente un ottimo venditore, poiché lasciò andare un palloncino rosso che sali alto nel cielo, attirando così una folla di aspiranti piccoli clienti. Slegò poi un palloncino blu
 e subito dopo uno giallo e un altro bianco, che volarono sempre più in alto, finché scomparvero del tutto. Il bambino di colore continuava a fissare il palloncino nero, poi si fece coraggio e finalmente domandò: «Signore, se tu mandassi in aria un palloncino nero,  quello volerebbe in alto come gli altri?». Il venditore rivolse al bimbo un sorriso affettuoso, poi strappò il filo che teneva legato il palloncino e, mentre saliva in alto, spiegò: «Non è il colore che conta; é quello che c'è dentro che lo fa salire».

Per la riflessione : Oltre ad essere un ottimo venditore di palloncini, quel signore, era anche una persona piena di saggezza che non aveva un pensiero prevenuto verso la diversità, come capita, invece, a tanti di noi. Oggi siamo ancora in tanti  che pensiamo, purtroppo, che i palloncini neri non ce la possano fare a volare come gli altri. No, non è vero che la diversità viene accettata da tutti spontaneamente. Ci sono momenti in cui essa mette a dura prova i nostri nervi, ci sono frangenti in cui vorremmo annullarla, come d'incanto, per trovarci tutti d'accordo, con gli stessi gusti e gli stessi desideri..Tendenzialmente siamo portati all’omologazione, a valutare le persone esclusivamente per le somiglianze che hanno con noi e a rifuggire ogni diversità. La scoperta dell’altro, della diversità ci disorienta. Dalla percezione negativa dell’altro può scaturire la paura, l’intolleranza, l’indifferenza o addirittura il razzismo; una percezione positiva, invece, può suscitare un incontro nuovo, un cambiamento, una caduta di pregiudizi e un avvicinamento interpersonale. Spesso l’uomo moderno vede la diversità solo come una minaccia alle sue opinioni, alla propria personalità e non considera il valore della differenza di cui parlano già grandi filosofi del secolo scorso come Hegel ed Heidegger. Solo quando ci decideremo ad abbandonare il nostro pensiero prevenuto che ostacola l’emergere di una cultura dell’integrazione, riusciremo finalmente a considerare  il negretto, il disabile, il socialmente diverso, la donna, l’omosessuale e l’anziano come portatori di quella implicita diversità che costituisce il tratto della comune appartenenza al genere umano. Nel diverso impariamo a guardare la persona in tutta la sua dignità. Ricordiamoci che diversi si nasce e uguali si diventa, ma tutto dipende da noi!
Buona vita! 
maestrocastello  

sabato 26 novembre 2011

Il sapore del tuo passato.

Sant'Agata di Puglia, bella ed austera, è una scultura nel cielo.
A Sant’Agata ci arrivi dopo una strada tutta in salita, costeggiata da cespugli di more e piante d’ulivi secolari  che sono un po’ l’icona di questo paese. Il fascino del viaggio verso l’abitato è tutto una conquista, curva dopo curva, tra una vegetazione che si attraversa come la vita, luci ed ombre si susseguono e slarghi silenziosi si rivelano al tuo passaggio. Rincorrendo quelle giravolte a velocità contenuta, non puoi fare a meno di notare scorci di campagne in disuso, casette in pietra lasciate vuote in un panorama di silenzio; allora ti  viene voglia di far scorrere i vetri per assaporare meglio quell'aria di legna e di neve che ha il gusto del tuo passato. Un volo di uccelli e un altro ancora si materializzano e svaniscono come in sogno, in un cielo solcato da nuvole e prolungano l’attesa che la salita finisca e si materializzi finalmente lo scenario di mille casette addossate l’una sull’altra, a formare quel quadretto ideale che ogni emigrante si porta tatuato nella testa. Ancora qualche tornante ed ecco Sant’Agata di Puglia, splendida ed austera, un panorama di quelli belli a vedersi che le fotografie non riescono quasi mai a restituire nel loro fascino integrale. Sant’Agata “vive sola – dice il poeta - scolpita in cima a una montagna di pietra / E’ una scultura nel cielo / che al cielo volerebbe/se l’aria la sostenesse”. Ti specchi nelle prime facce che incontri dritte e ossute e cerchi di riconoscerti in quei tratti che ti appartengono per nascita, quindi accenni ad un sorriso alla vista di donne che avvolgono il capo in scialli di foggia antica. Le nuvole intanto sono sparite ed il sole è al centro del cielo come un uovo al tegamino. Quando scendi dall’auto, vedi una giovane che stende biancheria ad una finestra troppo bassa, un’altra ragazza che spazza davanti alla porta di casa e più in là un vecchio è seduto sull’uscio con lo sguardo perso, ha una mano penzoloni sulle ginocchia e nell’altra impugna una pipa che ogni tanto tira. Fissi tutti con la speranza di riconoscere volti a te noti, come del resto fanno loro che ti stanno studiando da un pezzo e si staranno chiedendo chi accidenti tu sia. T’inoltri in uno scenario struggente, dove tornare significa pensare, riflettere e riappropriarti dei tuoi passi di un tempo. Tra queste case dai muri sgretolati si diramano strade strette fatte di selcio antico ed un vero labirinto di scale che vanno in ogni direzione. Se pensi che questo acciottolato è stato il tuo laboratorio di vita quand'eri un bambino, tra corse a piedi scalzi, giochi con materiale di fortuna, schiamazzi, “faoni” alla vigilia di San Rocco, partite di calcio interminabili con palloni fatti di cenci arrotolati. Ora sembra un paese caduto in letargo, almeno per le strade mute che portano al castello imperiale. Il tuo passo impacciato su scalini sassosi rompe il silenzio ed accende la curiosità di una donna che sposta la tendina per vederti meglio. Fino ad un attimo prima, pensavi ci fosse il deserto; eppure tu sai bene che le persone, poche, ma ci sono. E' proprio vero chi i curiosi sono come gli acari, tu lo sai che si nascondono dentro il materasso, anche se non li vedi. Mentre avanzi, ti accorgi che molte delle case sono chiuse e si ravvivano soltanto d’estate. Noti le classiche bottiglie di plastica davanti alle porte: dicono che riescano a distogliere cani e gatti dal fare i bisogni sugli usci. Pare che questi animali si spaventino nel vedersi riflessi. La successiva svolta ti porta sulla piazzetta del Chiancato che conserva ancora intatto il fascino del vecchio fontanino, dispensatore idrico per chi non aveva ancora l’acqua in casa. “Un paese vuol dire non essere soli – dice il poeta – sapere che nella gente, che nelle piante, nella terra c’è qualche cosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Mentre procedi, ti convinci sempre più che quello che cerchi è soltanto di vedere quello che hai già visto. Forse un giorno tornerai stabilmente a saziarti del tuo paese natio, non come adesso che raccogli soltanto le briciole dei tuoi ricordi.
Buona vita!
maestrocastello


martedì 22 novembre 2011

Se ti scappa un bisogno!


Domenica sera ci trovavamo in casa di amici per una festa di compleanno e, al momento del buffet, apparecchiano un tavolo con ogni ben di Dio. Faccio per prendere un piatto di carta e noto su quel  tavolo una pila di banconote giganti da cento euro l’una. La nostra amica che s’accorge del mio stupore mi fa sorridendo: “Hai visto che originali questi tovaglioli? “. “Certo è una bella trovata,” dico io. E oggi  non mi va a capitare davanti agli occhi la foto che correda questo post, carta igienica fatta con l’effige dei soldi? - “Euroll, la carta igienica dei milionari, per sentirti ricco, ricchissimo….al momento del bisogno!” - I soldi! Un pensiero fisso, una fonte di stress e preoccupazioni infinite per molti. I soldi non sono mai abbastanza, quando non li hai passi tutto il tempo pensando a come procurarteli e una volta che ne sei in possesso, sei terrorizzato dall'idea di perderli o doverli spendere tutti. Non sarebbe  una cosa fantastica potersi liberare dalla loro schiavitù, averne così tanti da poterli usare anche per pulirti il fondoschiena, in un gesto catartico e liberatorio? Sembra una provocazione, ma sono anche queste le gioie della vita (direbbe qualche ingordo), io, invece, dico che sono queste le conseguenze a cui ci ha portato un’inflazione galoppante, per cui il valore delle correnti banconote valgono carta straccia. La moneta viene stampata per rispecchiare il livello produttivo del Paese. La Banca d’Italia è come se fosse una semplice tipografia. Essa  stampa moneta non più in base al valore del capitale reale (oro depositato) come avveniva un tempo; oggi il valore alle monete lo diamo noi. Le monete, così come i mercati ora si reggono sulla fiducia reciproca dei consumatori e dei cittadini che si convincono sull’idea che una banconota ha un determinato valore (quello scritto sulla carta). Voi capite che basandosi esclusivamente sulla fiducia, il denaro finisce per avere un valore fittizio. Una stessa quantità che oggi ti basta, domani è insufficiente. Il termine inflazione indica un generale e continuo aumento dei prezzi di beni e servizi che genera una diminuzione del potere d’acquisto del nostro salario, stipendio o pensione che sia. E’ proprio grazie a questo fenomeno che ti accorgi che prima mettevi venti euro nella tua utilitaria e circolavi per diversi giorni ed oggi ci fai il giro del palazzo; e se cerchi di mettere carburante con quegli stessi venti euro, il benzinaio come minimo ti guarda male. Il denaro, nel senso come lo intendiamo noi oggi, è un prodotto della modernità, un protagonista di primo piano sia dal punto di vista economico e politico che psicologico ed etico. Per alcuni assurge addirittura a valore e, in suo nome, spreca le energie di tutta una vita, non pensando a nient’altro. Ma non è stato sempre così. Nel Medio Evo c’era il baratto e il denaro non aveva alcuna importanza, anzi era considerato “lo sterco del diavolo” e la sua principale rappresentazione simbolica  era una borsa che, appesa al collo del ricco, lo trascinava all’inferno. Oggi siamo forse più interessati alla nostra carta di credito che a far valere le nostre convinzioni e i nostri ideali di un tempo hanno perso tutto il loro potere d’acquisto.
Buona vita!
maestrocastello

sabato 19 novembre 2011

Donne in rete.


Se la donna non ha credito quando è al volante, lo guadagna, invece, quando è al computer. E sì, sembrerebbe proprio che le donne al computer, o meglio in rete, risultino più prudenti degli uomini, secondo quanto emerge da una recente indagine sui comportamenti  on-line dei due sessi. Eppure fin dalle origini l’informatica è stato territorio prettamente maschile. Le informazioni che si ricavano dai testi di storia, corsi universitari e siti web di indirizzo storico sembrano essere tutti concordi: l’informatica ed il computer sono stati pensati, progettati e realizzati e fatti progredire solo da uomini. Eppure le donne hanno avuto un ruolo importante nella storia dell’informatica ed il loro contributo è stato fondamentale  per l’evoluzione del pensiero umano e ciò resta ancora oggi sconosciuto a molti. Le donne sono presenti nel campo dell’informatica fin dalle sue origini. Pensate che a gettare le basi concettuali della programmazione di computer è stata proprio una mente femminile, la figlia di Lord Byron, Ada Byron Lovelace, poetessa anche lei come il padre, ma in più, programmatrice ed incantatrice di numeri. Ada  è considerata la prima programmatrice di computer al mondo, lei, già nel diciannovesimo secolo, riesce a prevedere lo sviluppo e il futuro uso creativo dei software ed anticipa i principi organizzativi del calcolo automatico moderno. Parla della macchina ideata dal suo maestro Charles Babbage  come di uno strumento in grado di comporre musica, produrre grafica, portare a termine lavori scientifici e di alta complessità, citando anche l’intelligenza artificiale. Ci pensate che già due secoli fa, questa donna, aveva previsto esattamente ciò che oggi saremmo stati in grado di fare coi nostri computer? Ma Ada non è stata la sola, va ricordata anche la matematica ungherese Ròzsa Péter, ideatrice delle “funzioni ricorsive” e le 80 donne matematiche che nel 1942 realizzano il progetto Eniac, all’interno dell’esercito americano Un posto speciale occupa Grace Murray Hopper che attraverso i suoi studi ha reso il computer uno strumento accessibile a tutti. I primi computer erano roba per soli studiosi, perché usavano il linguaggio binario e questa donna si pose l’obiettivo di scrivere programmi per computer per permettere anche a persone normali, come noi, di usare il computer direttamente, senza dover dipendere da specialisti. Grace partecipa a vari progetti dove sono inseriti uomini e donne, ma a lei piace lavorare preferibilmente con altre donne  e ne parla in modo lusinghiero: ”Le donne finiscono per essere davvero delle brave programmatrici per una ragione in particolare. Sono abituate a portare a termine le cose, mentre gli uomini non lo fanno molto spesso”. Infine voglio ricordare Anita Borg, fondatrice di ”Systers”, la più grande comunità al mondo per lo scambio di e-mail tra donne che operano in ambito informatico. La Borg non ha fatto grandi scoperte in campo informatico, ma ha avuto la capacità unica nell’ unire la competenza tecnologica e la visione spregiudicata che ha stimolato numerose donne ad avvicinarsi e lasciarsi coinvolgere dalla tecnologia piuttosto che ignorarla. Anita  è una figura che ha dedicato la sua vita a rivoluzionare il modo in cui la gente pensa alla tecnologia, cercando di abbattere tutte le barriere che ostacolano l’approccio di donne e minoranze nei confronti dell’ informatica e della tecnologia in genere. La speranza ora è quella di avere sempre più donne alla tastiera, per abbattere ulteriori tabù.
Buona vita!
maestrocastello.

mercoledì 16 novembre 2011

L’uccello a due teste.

La storiella: C’era una volta un uccello con due teste. Quella di destra era vorace e molto abile nella ricerca del cibo, quella di sinistra, invece, altrettanto ghiotta; era maldestra. La testa di destra riusciva sempre a saziarsi, mentre quella di sinistra era continuamente tormentata dai morsi della fame. Fu così che un giorno la testa di sinistra disse alla destra: ”Conosco, qui vicino, un cespuglio di bacche squisite di cui ti delizieresti. Vieni che ti porto dove cresce”. In verità sapeva che quelle bacche erano velenose, ma voleva, con questo stratagemma, disfarsi della testa rivale, per poter poi mangiare a suo piacimento. Fu così che l’uccello di destra si rimpinzò di quell’erba e il veleno invase tutto il corpo dell’uccello a due teste che, in poco tempo, morì.                                                                                                                                                        
Le riflessioni : Questa storiella zen mi sembra la metafora del momento critico che stiamo attraversando. L’uccello è il nostro Bel Paese, le bacche velenose sono la crisi economica che ci attanaglia e le teste sono i pilastri della conservazione, ovvero il privilegio, il corporativismo e la demagogia che campeggiano nella testa dei nostri politici. Tutti a dire che bisogna fare il bene del Paese ed ognuno pone dei distinguo nell’appoggiare questo nascente governo. Evidentemente, nel dire questo, non perdono di vista il proprio elettorato. Per uscire da questo stallo politico ed economico occorrerebbe individuare dove sta il bene del Paese. Il bene del Paese s’identifica certamente con un bene comune di tutti i cittadini, proprio di tutti,  che non coincide con la volontà della maggioranza, intesa come la somma delle volontà individuali. Bene comune e democrazia, intesa come luogo di legittimazione degli interessi solo di una parte, anche se maggioranza,  non sono la stessa cosa.  La crisi si supera solo se si esce dalla logica degli schieramenti politici, se destra e sinistra, maggioranza e opposizione rinunciano ai loro egoismi nell’interesse dell’intero Paese. Ricordate, politici,  che i cittadini vi tengono d'occhio e giudicano i vostri comportamenti. Se affonda la nave andiamo tutti a fondo, dico tutti; anche voi ed i vostri privilegi!
Buona vita!
maestrocastello

sabato 12 novembre 2011

La casa va a fuoco e questi litigano sul nome del pompiere che spegnerà l’incendio.


L’Italia è a rischio bancarotta eppure ce n’è voluto di tempo per far capire a questo governo che l’ora della ricreazione era finito, che il malato era grave  e c’era bisogno di cure mirate. Fino alla vigilia della scorsa estate si negava perfino che la crisi riguardasse anche noi, poi ci sono state due manovre economiche che gli speculatori hanno vanificato in pochi mesi. Gli alti interessi del nostro debito pubblico hanno  presto inghiottito i sacrifici imposti alla gente. La situazione è precipitata a tal punto, che gli italiani, questa settimana,  si son ridotti a monitorare  costantemente lo spread che insieme al livello del Po costituiscono due serie minacce per le nostre vite. Dopo aver speculato sul debito pubblico, gli insospettabili padroni della finanza mondiale,  cui nessuno s’è preoccupato di mettere un freno, hanno iniziato a speculare puntualmente anche sulla mancata crescita di Paesi come il nostro , che, stremati dai tagli, non sono più in grado di trovare le risorse per finanziare gli investimenti produttivi. Mettiamoci pure che le ricette anticrisi, intraprese finora, oltre a non fornire valide garanzie ai nostri creditori; hanno finito per generare la caduta dei consumi, nuova precarietà, emarginazione sociale e maggiori disuguaglianze. L’unica medicina utile in questo momento sarebbe la crescita ed è proprio di oggi l’approvazione trasversale della legge di stabilità economica e le dimissioni dell’attuale governo, per fare spazio ad un governo (Monti, si dice)che dia fiducia ai mercati e sia in grado di prendere alcuni provvedimenti necessari a traghettare l’Italia fuori dalla crisi. Non è certo il tempo, questo, di badare all’orticello privato; tutti dovrebbero anteporre gli interessi del Paese a quelli  di partito. Monti, Alfano, Dini,Amato, Gianni  Letta, questi sono i nomi che circolano.  Ragazzi, sembra che i politici non abbiano alcuna fretta e non hanno ben compreso la gravità del momento. La casa va a fuoco e non sembra tanto importante chiamare presto i pompieri, quanto  chi deve avere questo privilegio. I partiti hanno iniziato la loro manfrina, ciascuno fa i propri conti  e i nomi graditi, in proiezione  elettorale e si muove secondo le proprie convenienze. Qualsiasi governo arriverà  richiederà, comunque, nuovi sacrifici per fronteggiare la crisi. La nostra gente è disposta a stringere ancora una volta la cinghia, purché ci restituiscano un Paese risanato, dove ci sia crescita economica, giustizia sociale e buone prospettive per il futuro dei nostri figli. Questo è possibile?
Buona vita!
maestrocastello

mercoledì 9 novembre 2011

Chi parla male, pensa male e vive male.


 “ Ma come parla?! ... Senta, ma lei è fuori di testa!! - (parte una sberla) - Come parla?! Come parla?! - (seconda sberla)-  Le parole sono importanti! Ma come parla?!” Ricordate l’incalzare di Michele, protagonista del film "Palombella Rossa" di Nanni Moretti con la sua interlocutrice? La “summa filosofica” di Michele (e di Nanni) è: “Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!” . Abbiamo ereditato dai nostri antenati un lascito importante che è rappresentato dalla nostra lingua nazionale, componente essenziale di italianità ed elemento  fondante della nostra Patria., nonché veicolo essenziale della nostra civiltà.  La lingua italiana,collante essenziale dell’unità nazionale, al pari della cucina, è riuscita ad unirci là dove i governi hanno fallito. Ci pensate che nel1860  erano stati disegnati i confini di un regno, l’Italia, al cui interno gli abitanti non si capivano l’un l’altro? “L’italiano, diceva Carlo Azeglio Ciampi,  una lingua che entra nell’animo dello straniero che ad essa si avvicina e spesso se ne innamora, perché la sente capace, forse più di ogni altra, di esprimere con compiutezza sentimenti e stati d’animo, grazie alla sua struttura ed alla musicalità”.
Poeti e letterati italiani hanno espresso tutta la loro arte attraverso la nostra lingua nazionale che nel corso della storia è divenuta sempre più aulica e sempre più nobile. Le parole sono importanti, è vero; ma noi come parliamo? La lingua è in continua trasformazione. Le parole che usiamo oggi non sono le stesse che usavano i nostri nonni e ancora più indietro, i nostri antenati. Nel tempo la lingua cambia: alcune parole si modificano, altre vengono sostituite, altre ancora si perdono. Nel tempo quindi la lingua si evolve per vari motivi. Prima di tutto bisogna capire la storia. Gli antichi Romani, in Italia, parlavano il latino. Almeno lo parlavano le persone colte, che ci hanno lasciato i loro scritti. Il popolo parlava il vulgus, una lingua di cui non abbiamo nessuna traccia scritta, perché era una lingua orale. Quando i Romani conquistavano dei territori, imponevano la loro lingua ai popoli sottomessi, in tutto l'Impero. La lingua ufficiale era così il latino, ma nei vari territori esso si mescolò alle varie lingue locali: nacquero cosi diverse lingue volgari. Dopo tanti secoli in Italia si stabilì che la lingua volgare fiorentina usata da scrittori e poeti come Dante, Petrarca e Boccaccio diventasse la lingua ufficiale scritta. Da allora, pian piano, quella diventò la lingua comune a tutta l'Italia, l'italiano, mentre le varie lingue volgari parlate nelle diverse regioni divennero i dialetti regionali. Negli altri stati nati dalla disgregazione dell'Impero Romano le lingue volgari hanno avuto i loro percorsi, divenendo lingue nazionali. Per la loro origine comune oggi sono chiamate neolatine (derivanti dal latino), come l'italiano, il francese, lo spagnolo, il portoghese, il rumeno, il ladino e il sardo. Queste lingue, infatti, sono molto simili fra loro. Come tutte le lingue anche la nostra è cambiata nel tempo. Molte parole che una volta si usavano oggi non si usano più: sono parole arcaiche ( ad es. pargolo, donzella, augello etc.), mentre ci sono parole nuove (neologismi) che si aggiungono al nostro uso comune, come cliccare, microonde, euro, bancomat ...). La lingua italiana è un grande organismo vivente, che continuamente si rinnova. Al suo interno ci sono di continuo nuove acquisizioni, che compensano le perdite. Da alcuni decenni, però, la lingua italiana sembra malata, è iniziata;infatti, la sua lenta e progressiva agonia e le cause sono molteplici. La massificazione della cultura ha sminuito l’azione incisiva che un tempo aveva la scuola ed oggi capita anche di vedere che freschi diplomati non sono più in grado di scrivere quattro righe senza commettere una montagna di errori. L’inglese ha fatto irruzione nella nostra vita e, dalla pubblicità alla musica, siamo inondati di termini accattivanti di cui non conosciamo neppure il significato. I nostri ragazzi cazzeggiano con questa lingua e poi sono insufficienti proprio nelle interrogazioni di inglese. Parla come magni! - si dice a Roma. Per ripristinare la forza della nostra lingua bisogna riabituare la gente alla complessità del ragionamento, alla capacità di astrazione, alla riflessione che formula le idee. Lo strumento principe per far questo è la lettura. Per salvare la lingua serve il libro," il pensiero articolato che obbliga al raccoglimento, che stacca il pensiero dal mondo e lo trattiene fra le parole". Solo così potremo riabituarci al chiaro parlare  e riappropriarci, così,  della nostra bella lingua italiana.
Buona vita!
maestrocastello