giovedì 8 dicembre 2011

Come eravamo.


Lu trappìte (il frantoio) :
Quando era tempo di novena di Natale, era pure  tempo che le olive appena colte prendevano la strada del frantoio. Il racconto del bravo Alfonso De Capraris su “santagatesinelmondo” ha  acceso i miei ricordi di bambino, quando, con le tasche gonfie  di pane appena abbruscato, partivo appeso alla giacca di mio padre, alla volta del trappeto di Barbato. Al suo interno si concludeva un ciclo agrario pieno di soddisfazione per l’economia del bracciante santagatese, il ciclo dell’olio di oliva. Era allora il frantoio, soprattutto, un ideale centro di aggregazione per la vita del nostro piccolo paese. L’odore forte delle olive che, per l’attesa, iniziavano a macerarsi dentro i sacchi, mi piaceva molto e mi piaceva pure tutto quel vocio allegro di persone che, dopo tanto faticare, stavano come in fila a ritirare il premio di una lotteria. Qui vedevi quei quadretti ameni di cui parla Alfonso nel suo pezzo:  “qualche vecchiarièrre cu la cannùccia mmòcca ca se la pippijèva e nzacchèva sputacchiète pe ndèrra” e la donnetta, in religiosa attesa del suo turno, che teneva d’occhio il proprio mucchio di sacchetti pieni, timorosa che li scambiassero con altri. Il trappeto si trasformava presto da luogo di spremitura in luogo di trasmissione di cultura, qui la gente si passava i segreti di una buona coltivazione dell’ulivo e di come sconfiggere la mosca (tignola) o del tempo conveniente per la potatura. Solo al frantoio  potevi comprendere  il significato pieno che l’olio ha per la gente di un paese come il mio. Quando era il momento che principiava ad uscire l’olio, era come  se uscisse messa e  la persone restavano mute a guardare “r’uòglie ca sculèva a stìzza a stìzza” come il sudore che sgorga sulla fronte di chi l’aveva zappato. Sulla bocca dei presenti sentivi dire:” benerica! benerica!”, facevano i complimenti al proprietario che faticava a trattenere lacrime nascoste fra tanti timidi sorrisi. Come dalle mani di un prestigiatore, molti estraevano dalle tasche  fette di pane per l’assaggio ed era come quando il prete dà la comunione: passava un tizio a battezzare “ cu’ na croce r’uòglie  le mani tese che brandivano“li cruschèle” (bruschette) fatti cu ru ppène ca se scèva  accattè a la Portanòva, ra Ngurnatèlla la panettèra”. Alla fine del processo di lavorazione faceva la comparsa il misuratore, ovvero “l’àmmela”, che era di stagno e misurava due litri e mezzo. E giunti all’”ite missa est” di questa liturgia particolare, il bracciante si congedava col suo carico di prodotto genuino  e il cuor contento che almeno l’olio per la famiglia era assicurato. Nel trappeto, come in chiesa, avveniva ogni anno un piccolo miracolo sotto i nostri occhi, il miracolo dell’olio, secondo un rito antico e colmo si sapienza che, ancora oggi, la gente non vorrebbe far morire.
Buona vita!
maestrocastello

1 commento:

  1. N. 7726 del 11/12/2011 9.50.05 - Alfonso ha scritto:
    PER MAESTROCASTELLO. Grazie per avere condiviso ed apprezzato il mio racconto “sòpa a r’uòglie”, come d’altronde faccio io con il tuo articolo, con cui tu hai saputo ampliare il discorso, arricchendolo di particolari che io ho dovuto omettere per non apparire grafomane.
    Inoltre tu hai centrato quelle che sono le finalità della mia “avventura”, atteso che, lungi da me l’idea di volermi mettere in mostra, nè tantomeno assumere atteggiamenti da scrittore, che, peraltro, non mi competono, il mio unico scopo era ed è quello di risvegliare con le mie memorie in qualche lettore per caso i suoi ricordi, suscitargli una qualche emozione, così come tu mi dici che è successo a te, e come, d’altra parte, è successo anche a me nel vedere la foto che hai pubblicato, dove l’asinello mi ha fatto tornare alla mente l’antico frantoio di zio Ciccillo Barbato, in via Trieste, in cui, tra l’altro, a quella povera bestia, condannata a “macinare” non so quanti chilometri al giorno, venivano coperti gli occhi, quasi che anche a lei potesse girare la testa. (se non qualche altra cosa).
    In effetti il frantoio diventava una specie di “circolo”, un luogo di ritrovo, dove ognuno diceva ed apportava le proprie esperienze, di cui tutti facevano tesoro, mentre l’olio rappresentava un bene prezioso che non andava sperperato, e se qualche volta una goccia casualmente cadeva per terra, l’empasse si superava, facendo ricorso alla saggezza antica, secondo cui anche la terra voleva la sua parte, si diceva.
    Insomma cose d’altri tempi, che hanno conservato intatto il loro fascino, tanto da essere tuttora attuali, al punto che il “miracolo” di cui parli tu, tramandatoci da tante generazioni prima di noi, per fortuna avviene ancora, così come ancora oggi io non posso fare a meno di andare per frantoi e fare l’olio, anche se, ovviamente, l’atmosfera è diversa, a cominciare dal clima e dalla temperatura, che qui a Foggia si aggira intorno ai 18°-20° C.
    Auf wiedersehen, con stima, Alfonso.
    P. S. Te lo dico in un orecchio: molto sagge le “Frasi del giorno”.

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