martedì 30 novembre 2010

Cento di questi blog !

Il blog maestrocastello compie proprio oggi due anni di vita: 245 post pubblicati, centinaia di commenti ed oltre 12300 visite effettuate. Considerando che  non si tratta di un quotidiano, ma di pubblicazioni saltuarie; penso che sia un'esperienza, tutto sommato,  positiva. Mai pensavo che quello che doveva essere un semplice passatempo, potesse prendermi tanto. Essere apprezzato da familiari ed amici, lo davo un po’ per scontato; ma ricevere mail di lode da gente sconosciuta del web mi ha fatto capire che era necessario continuare a dover scrivere . Spero di aver regalato qualche emozione  in questi anni e anche di aver mantenuto fede all’impegno iniziale di non parlare marcatamente di fatti della politica e, quando l’ho fatto per necessità impllenti, spero di non aver urtato la suscettibilità di nessuno. Resto sempre più convinto che poter condividere idee con gli altri è un mezzo civile di crescita comune. Dice un adagio: “Se due persone si scambiano un dollaro, si ritrovano con un dollaro a testa, se si scambiano un'idea, si ritrovano con due idee a testa". Perciò: scambiamoci più idee che di dollari ne circolano pochi!


Buona vita a tutti e continuate a leggermi!

maestrocastello


P.S. Aspetto maggiori commenti, sia pure in forma anonima.

domenica 28 novembre 2010

M’aggia ‘mbarè.



Caro Nardino, proprio ieri, in tardissima serata, ricevevo questa mail da Michele Rinaldi che non potevo tenere tutta per me e la voglio condividere con i frequentatori del tuo bellissimo sito:  santagatesinelmondo.it

“Ciao giovà,prèvete manghète,qualche mese fà per case te veriette sopa a quiste compiuter,veramende a prima bbòtte nun te canuscijette,te peglièije pe une
c'abbetève a sand'andonije,pò chiène chiène te canusciétte e m'arrucurdeije re
ssì bbaffe come a nu cucchijére ca scévene sopa a lì traine,dopo tand'anne c e
'ngundramme a ffogge,se t'arrecuorde,mofal'anne a lluglie, 'nnanze a l'uscita
re la superstrada,steve pure franghe lu marite re sòrdacucina anna,pò fine a mò
nun t'agge viste cchiù manghe a sand'aheta. Te vulève scrive subbete,ma pe
ttiembe nunn'aggepetute,prima pecché so ggiute a coglie r'alive e seconde so
ggiute pure a semené; te vuléve rice re quanda scijuoche ca n'amme fatte
'mmiezze a lu chianghète e pe ssòtta a lu castierre,ma nun mmanga tiembe pe ce
re rraccundè,se tarrecuorde re me , ije abbetève proprije a lu chianchète
mmiezze a quére ddoije schèle,pò quann'eija t'ammanne belle quatte fotografije
e te fazze veré andò abbetève e te fazze arrucurdè pure tutte li scugnizze ca
stevene, abbianne ra li urpiane....... e cusì via...., scusa se t'agge scritte
accussì,meglije nun ssacce scrive, nu 'ntènghe re scòle fattizze com'a tté,
l'agge scritte re fretta e ce putésse stè qualch'errore, la prossema volda la
scrive nu poche meglije pecché eija ra ta da tiembe ca nu scrive e agge pèrse
la mène, spère ca ce sendime quande prima, salute a tutta la famiglia toja e a
tté n'abbrazze forte e ciuòtte ciuotte, ciao mechele


n.b. nun zzò angora prateche re lu compiuter nun ssacce manghe ammannè rre
      fotografije e tand'altre cose,.....m'aggia mbarè..”.


TRADUZIONE
(il dialetto santagatese è un misto di pugliese e napoletano, non vi fate intimidire, lo dico ai non addetti ai lavori e per facilitarvi il compito vi allego la traduzione)
“Ciao Giovanni, prete mancato, qualche mese fa ti vidi su questo computer, in verità non ti riconobbi subito, ti presi per uno che abitava a S.Antonio, poi piano piano ti riconobbi e mi ricordai di quei baffi da cocchieri che guidavano i cocchi. Dopo tanti anni ci incontrammo a Foggia, se ti ricordi, lo scorso anno a luglio, davanti all’uscita della superstrada; c’era pure Franco, il marito di tua cugina Anna; poi fino a questo momento non ti ho più visto nemmeno a Sant’Agata. Ti volevo scrivere subito, ma per questioni di tempo non ho potuto; prima perché sono andato a cogliere le olive e secondo, perché sono andato a seminare. Ti volevo dire di quanti giochi abbiamo fatto al Chiancato o e nei pressi del Castello, non mancherà tempo di ricordarli insieme. Se ti ricordi di me, abitavo proprio al Chiancato, in mezzo alle due scalinate, poi ti manderò alcune belle foto e ti farò vedere dove abitavo e ti farò ricordare anche di tutti gli scugnizzi che c’erano, cominciando da Ulpiane e così via. Scusa se t’ho scritto così, non so scrivere in modo migliore, non ho fatto studi importanti come i tuoi, ho scritto di fretta e potrebbero esserci degli errori, la prossima volta scriverò meglio, perché è da tanto tempo che non scrivo ed ho perso la mano. Spero di sentirci quanto prima, saluti a tutta la tua famiglia e a te un abbraccio forte e molto robusto. Ciao Michele


N.B. Non sono ancora pratico di computer, non so nemmeno inviare le foto e tante cose ancora……. Devo imparare…”

RISPOSTA di maestrocastello


Ciao Michele, ti avevo inviato un mio articolo che parla di ricordi a Sant'Agata, ma nel dubbio che tu possa non averlo ricevuto e poichè non potevo scriverti più a lungo tramite il blog (solo 300 caratteri); ora ti rispondo direttamente. Mi fa immenso piacere aver ricevuto la tua posta. Se non sbaglio appartieni ad una famiglia di portalettere? Vedi a che serve il computer? Non c'è più bisogno che tuo nonno Petrino o i tuoi zii Nicola e Pasqualino passino per le case a consegnare la posta, ora fa tutto il computer. Ho gustato particolarmente il tuo scritto integralmente in dialetto che ho riletto infinite volte a mia moglie ch'è di Roma e ci siamo sganasciati dal ridere, soffermandoci su tanti termini che non sentivo da secoli come : "a prima bbòtte", "ssì bbaffe come a nu cucchijére ca scévene sopa a lì traine", "mofal'anne" (troppo bello!), "sòrdacucina", "so ggiute a coglie r'alive", "quanda scijuoche ca n'amme fatte" (la più bella di tutte!) e poi "nu 'ntènghe re scòle fattizze com'a tté" ed infine, è un capolavoro quel "m'aggia mbarè"..... E' come una massima di vita che vale per tutti. Pure io "m'aggia mbarè" a recuperare il rapporto con tanti amici come te per parlare di giochi fatti al Chiancato (a trombone, a li tacchere, a cavallett), di faoni alla vigilia di sant'Antonio, di tutte le arrampicate alla torre del castello per recuperare nidi di uccelli (re ciavele), di paròccole che papà "Urpiane" teneva come arma di difesa dietro la porta di casa, di susumielli a Natale e tant'altre cose ancora che quelli come noi sanno bene. Ne hai parlato mai di queste cose ai tuoi figli? Sarebbe forse il momento che lo facessimo tutti, per staccarli un momento da quel soprammobile fastidioso che è la televisione; già, la televisione, nostro pane quotidiano di banalità spesso a pagamento! Tutti questi ricordi sono sì il segno del tempo che scorre, ma è anche quel filo sottile che ancora lega quelli come noi e non bisogna assolutamente farlo spezzare. "N'amma mbarè" a restare legati alle nostre radici e saperle tramandare a figli e nipoti, a farle vivere anche a quelli che non le hanno vissute, perchè, è vero che indietro non si può e non si deve tornare; ma esse traboccano di così tanti valori che vanno morendo che rappresenta un vero patrimonio per le generazioni future.
Ricambio l'abbraccio forte e ciuott ciuott.

Giovanni Castello.

venerdì 26 novembre 2010

UN VAGITO DI SPERANZA.

“Com’è straordinaria la vita che un giorno ti senti come in un sogno e poi ti ritrovi all’inferno, com’è straordinaria la vita che ti fa credere amare, gridare”; come dicono i versi di una nota canzone. Proprio quando ti trascini stanco nella tua quotidianità, arriva improvviso un vagito di speranza che ti ricorda che la vita è soprattutto un sentimento di gioia. Ultimamente la nostra famiglia ha fatto una vera overdose di gioia: in estate con l’arrivo della dolcissima Lara Grace che ha rivoluzionato la vita ai suoi genitori Diego e Leslie ed ora, in un ceppo diverso della stessa famiglia, è nato Luigi  Maria (Gigi) per la gioia di mamma Daniela e dell’emozionatissimo papà Fabrizio. Diventare genitori quando non si è più ragazzini, dev’essere un’emozione ancora più grande. Chissà cosa pensa Fabrizio nel prendere in braccio suo figlio. Scriveva Rabindranath Tagore di suo figlio: “Mentre contemplo il tuo viso, il mistero mi inghiotte; tu che appartieni a tutti mi sei stato donato! Per paura che mi scappi, ti tengo stretto al cuore”. Non si spiega a parole ma si legge nel viso quando un figlio ti guarda e ti regala un sorriso e chissà, Daniela e Fabrizio, quanti sorrisi sgorgheranno dagli occhioni parlanti del vostro meraviglioso bambino che serviranno ad illuminare di gioia la vostra vita futura. Grazie, Fabrizio e Daniela, di farci gioire della vostra stessa gioia e sappiate che la prima melodia di una nascita dà la forza per continuare la meravigliosa avventura che è la vita e rinvigorisce la quotidiana lotta per trasformare un mondo normale in un mondo migliore. E’ il nostro augurio per voi. Buona vita!


maestrocastello

sabato 20 novembre 2010

noi aquiloni vaganti.

Quando si ha una famiglia si fatica una vita per allargare il nido , si fanno mille rinunce per i figli; insomma ci si leva anche il pane di bocca con l’idea fissa di poter dare loro ciò che tu non hai mai avuto. Poi in un batter d’occhio il nido si svuota e ci si ritrova in una casa che diventa troppo grande e silenziosa. Eppure tu già lo sapevi che “i figli sono come gli aquiloni”, come dice la giornalista americana Erma Bombeck in una toccante poesia: “… passi la vita a cercare di farli alzare da terra. Corri con loro fino a restare tutti e due senza fiato…. Giorno dopo giorno l’aquilone si allontana sempre più e tu senti che non passerà molto tempo prima che quella bella creatura spezzi il filo che vi unisce e si innalzi, come è giusto che sia, libera e sola. Allora soltanto saprai di avere assolto il tuo compito”. Sono comunque convinto che se hai gettato il seme appropriato quel filo ideale che ti lega ai tuoi figli , in realtà, non si spezzerà mai. Una pianta non può sperare di continuare a crescere, se le sue radice non sono ben radicate alle tue e solo così avrà speranza di attecchire anche su altri terreni. Se penso a quando aquilone ero anch’io a S’Agata di Puglia, mi viene il magone, allora non esistevano cellulari e PC, la televisioni l’avevano solo in pochi e ascoltavo i romanzi incollato ad una vecchia radio Marelli che aveva l’occhiolino di colore rosso. Era il tempo che il pane si faceva solo in casa, tempo di forni esclusivamente a paglia, tempo di guerre fra bambini armati di sassi e bastoni, protetti da uno zipeppe che ci faceva da elmetto. Merende fatte di pane ed uva, pane ed olio e, perfino, pane e pane. Le partite al campo San Carlo erano delle vere battaglie: Sant’Agata-Accadia era il derby dell’infanzia! Era il tempo che si possedeva un solo paio di scarpe, rigorosamente tempestate da chiodi che chiamavamo “centrelle”, sempre di due numeri più grandi, tanto il piede del bimbo sarebbe cresciuto; l’unico problema che il duro della suola ti procurava autentiche stimmate al calcagno e rimediavi scivolate rovinose per stradine fatte di sassi. A Carnevale c’imbrattavamo il viso col lucido da scarpe e vestivamo le giacche dei grandi per sembrare più buffi, Alla vigilia di feste importanti accendevamo i faoni, in onore del santo e nelle varie contrade facevamo a chi lo realizzava più alto. Un giorno del millenovecentosessanta l’incantesimo si ruppe e dovetti partire insieme a tanti della mia stessa età: Milano, soprattuttoTorino e  anche Roma, com’è toccato a chi vi scrive. Quelli come me che non sono mai più ritornati, ora sono aquiloni vaganti: non ci possiamo chiamare romani, torinesi e quant’altro, non ci possiamo chiamare più santagatesi, se non nel ricordo; siamo semplici cittadini del mondo. Una cosa possiamo insegnare ai nostri figli: quanto è importante recuperare le nostre radici. Non c’è futuro senza passato! Vi ricordate la canzone di Enzo Gragnaniello e Ornella Vanoni cantata a San Remo ’99, Alberi, laddove dice: “aridi e senza una terra siamo poveri/senza più radici non siamo liberi…/e come alberi feriti noi /stiamo perdendo luce lentamente…/ alberi tagliati comme se tagliano ‘e mele”. Dovrò presto trovare il coraggio di raccontare ai miei figli tanti pezzi di storia personale che porto dentro da troppi anni, se voglio che escano dall’individualismo che si predica in televisione, per riscoprire una nuova socialità che è figlia delle nostre radici di ieri, fatta di sacrifici, di pezze al culo; intrisa di sudore e di dolore di chi ha dovuto fare mille rinunce per fare di loro ciò che sono diventati.



Buona vita!


maestrocastello






Post Scriptum. Da qualche giorno sto collaborando volentieri alla stesura di articoli per il sito : santagatesinelmondo.it dell’amico Nardino Capano. Questo post lo dedico ai miei compaesani e ai tanti amici che non vedo da una vita. Se mi volete leggere, vi aspetto tutti sul mio blog all’indirizzo: maestrocastello.blogspot.com con simpatia Giovanni Castello

giovedì 18 novembre 2010

sviluppo sostenibile




Il Prodotto Interno Lordo

“Il prodotto interno lordo comprende l'inquinamento dell'aria, la pubblicità delle sigarette e le ambulanze che trasportano i feriti degli incidenti stradali. Conta le serrature che blindano le porte delle nostre case e delle celle in cui rinchiudiamo chi cerca di scassinarle. il P.I.L. considera la distruzione delle sequoie e la morte del Lago Superiore. Aumenta con l'aumentare della produzione di Napalm, di missili e di testate nucleari, ma non tiene in alcun conto la salute delle nostre famiglie, la qualità dell'istruzione, la gioia dei giochi. E' indifferente alla salubrità dei posti di lavoro e alla sicurezza delle strade. Non riesce a rilevare la bellezza della poesia, la forza di un matrimonio, l'intelligenza del dibattito politico o l'integrità dei funzionari pubblici. Insomma, misura tutto, salvo quello che rende la vita degna di essere vissuta”.
                                                                                                     Robert Kennedy, 1925-1968


Alla base della produzione dei beni e servizi dell’economia di ogni Paese ci sono i soldi che sono l’unità di misura del nostro stato di agiatezza. “Dovete spendere di più” ci esortano i politici, "è per creare ricchezza; così da non permettere alla catena economica di potersi spezzare”. I soldi purtroppo hanno creato un grado di distanza troppo ampio tra la gente che consuma e la natura (terra, piante, animali, fiumi, e quant’altro) che riforniscono di merce i carrelli della spesa e intanto s’è persa del tutto la consapevolezza dei danni e della sofferenza che ogni prodotto acquistato si porta dietro. In nome della modernità stiamo sperperando in pochi anni tutte le smisurate risorse ereditate dalle generazioni passate. Ci comportiamo come il contadino che sta segando il ramo di un albero su cui è seduto sopra e non si accorge che finirà presto col culo per terra. Produciamo, comperiamo e consumiamo come mai ha fatto  l'uomo in tutta la sua storia  e il vero problema che abbiamo ora è come smaltire.   Prima o poi la monnezza non sarà solamente un problema campano; ma diventerà un vuoto a perdere di tutta la nazione e i principali rilievi italiani alla fine saranno: le Alpi, gli Appennini e i Cumuli di Monnezza che si innalzeranno per tutto il nostro Bel Paese, proprio a mò di nontagne. Pensate davvero che la raccolta differenziata possa risolvere tutto? Quando ero bambino, ricordo, si buttava quasi nulla: una scatola di cartone si tratteneva in famiglia per essere trasformata in un recipiente portaoggetti, un pezzo di legno residuo finiva nella stufa di casa, una mollica che era una mollica di pane si destinava come cibo per le galline. “Se coltivi il tuo stesso cibo, non ne butti via un terzo come facciamo oggi. Se costruissimo i nostri tavoli e le nostre sedie, non li butteremmo via per cambiare l'arredamento interno. Se dovessimo purificare la nostra stessa acqua probabilmente non la contamineremmo" così dice Mark Boyle, un giovane che ha fatto la scommessa di vivere un anno senza soldi. L’idea ha certo del paradossale per noi occidentali che viviamo nel duemiladieci, ma una cosa ce la può certamente insegnare questo giovane: che possiamo mutare il nostro stile di vita. Possiamo perseguire l’idea di mondo basato sulle relazioni, sulle emissioni zero, sul non spreco, sui diritti di ciascuno e su tutti quei valori che ogni PIL non contempla al suo interno; come ad esempio realizzare la nostra felicità personale e contribuire a quella di chi è meno fortunato di noi; senza il bisogno di arrecare danni irreparabili al mondo circostante.

Buona vita!

maestrocastello


mercoledì 17 novembre 2010

Amarsi nel tempo è possibile.

“Uomini e donne scelgono una casa e dei mobili. Dormono in un letto singolo grande il doppio e dopo alcuni anni smettono di abbracciarsi la mattina. Si tradiscono o si dissociano. La stessa casa con le stesse stanze è di tutti e due. Poi quella poltrona diventa la sua e gli orari del bagno e la cena che non si concorda più e in vacanza si va lì che ci si è trovati così bene. La domenica si fanno i giri ma solo se non piove che se piove è difficile…” Cambiano i tempi e tutto diventa precario, incerto, provvisorio. E’ precario il governo che pure si avvisava così stabile, precario è il lavoro che abbiamo lungamente rincorso e precari sono tutti quei nostri sentimenti che vanno sotto il nome di amore. Sento spesso domandare anche a donne sposate da tempo che sono già nonne: “in questo momento sei innamorata? Si dà per scontato l’incertezza di questo sentimento che ha la stessa durata della vita di un baco da seta. Una volta i matrimoni duravano tutta una vita e spesso si trascinavano nell’aridità degli affetti, sotto il peso dell’indifferenza; tanto per fare tutti insieme presenza nei ritratti di famiglia. Oggi i giovani sono accusati di fare tutto in fretta (conosciuti e subito sposati), o di non decidersi mai ad uscire dal lettone di mamma. Certo che l’attuale società non è loro buona alleata se li tiene sui banchi di scuola fino a tardi ed offre opportunità di lavoro quando sono in età da pensione. In queste condizioni il matrimonio è quasi un azzardo e la convivenza diventa la scorciatoia; anche perché offre maggiore libertà in caso di fallimento della storia. Se le unioni sono tutte entusiasmanti quando sono agli albori, rischiano di logorarsi man mano che si macinano chilometri sulla strada del vivere insieme. Gente che una volta non vedeva l’ora di ritrovarsi la sera; ora vive da estraneo nel letto comune. Dissociarsi è molto peggio di tradirsi. Dicono che la quotidianità uccida qualunque passione; eppure la "normalità", la stabilità sono cose che spesso desidereremmo avere. ma di stupirci l'un l'altro non dovremmo smettere mai.  Poi ci attacchiamo ai ricordi: "quando lo stupore era il collante principale delle nostre anime". E troppo comodo prendere il meglio dall’altro e una volta spento l’ardore, gettarlo alle ortiche e questo accade puntualmente quando non si è costruito nulla in comune. Amarsi nel tempo è possibile. Amare nel tempo significa rinnovarsi sempre, migliorarsi attraverso l'altra persona, riscoprirla ogni giorno. Amare stabilmente è ridere amorevolmente dei difetti dell’altro, consapevoli che accettiamo anche quelli. Amore è stendere sullo stesso guanciale la stanchezza di ogni giorno. Amore è entrare nelle viscere della notte tenendo la mano della persona che ti dorme accanto e resuscitare insieme al mattino seguente.
Amarsi nel tempo è possibile, credetemi!


Buona vita!

maestrocastello

venerdì 12 novembre 2010

Il maestro estinto.

C’era una volta il maestro elementare, diranno tra qualche decennio. Infatti i maestri uomini, soprattutto in Italia, sono una specie in via d’estinzione e nemmeno protetta, a differenza dei panda. Il trend di femminilizzazione del nostro corpo docente è ormai irreversibile: il 100% nella scuola per l'infanzia; il 96% nella primaria, il 78% nella media, il 64% nel secondo ciclo e tende ad aumentare. Solo pochissimi ragazzi scelgono ancora di svolgere questo mestiere e quei pochi maestri ancora in servizio, una volta in pensione, non saranno mai più sostituiti. Le cause vanno ricercate nello lo scarsissimo appeal che la scuola esercita in tutti i suoi settori: stipendi di fame, precariato, nessuna carriera, nessun riconoscimento sociale, alunni e genitori sempre più indifferenti ed aggressivi. Diciamo pure che i maschi non hanno mai avuto un debole per l’insegnamento e sin dall’inizio del Regno d’Italia, già si contavano pochi maestri maschi, sottopagati, con scarsa preparazione e con classi di oltre 40 alunni che questi tenevano a bada con frustini di salice. Eppure questa specie di mestiere alla rovescia ha un suo fascino anche per un uomo e ve lo testimonia chi scrive che è stato prima maestro per caso, pur di trovare un impiego, e solo quando ha smesso i panni dell’impiegato burocrate e vestito quelli di educatore paziente, ha potuto gustare la magia di lavorare con bambini di tenera età. Ti accorgi che impari da loro. Ad esempio ti educhi a svariati sentimenti come all’amorevolezza, al rispetto, alla tolleranza, all’uguaglianza, all’autorevolezza e capisci  che è importante elargire frequenti sorrisi. Insomma, è bello perchè capisci che non sbrighi semplici pratiche; ma plasmi persone. Più di qualche esperto crede che la pressoché totale femminilizzazione del sistema scolastico provochi guasti nelle nuove generazioni e sia da annoverare fra le cause principali di crisi della società. Sia ben chiaro che non c'è nulla contro le maestre donne , ma è pedagogicamente accertato che la figura maschile è altrettanto fondamentale nello sviluppo e nella formazione dei bambini delle elementari e che costituisce un importante complemento a quella femminile come, del resto, in tutte le cose del mondo. Qualcuno potrebbe obiettare che quello che conta davvero non è il sesso dell’insegnante, ma la sua competenza. Eppure poter contare su entrambe le figure maestro-a è molto importante. Bisogna imparare a vedere il mondo con gli occhi dell’uomo e della donna”, dicono gli esperti. La carenza della figura maschile è aggravata anche dal fatto che i padri dedicano sempre meno tempo ai loro figli: e se la sottraiamo anche alla scuola, questa figura, ne consegue che i bambini cresceranno in un universo quasi esclusivamente femminile e questo limiterà la loro visione del mondo. La questione sembra di difficile soluzione ed a qualcuno era persino venuta l’idea di dedicare una giornata per la “protezione del maestro elementare in via di estinzione”, come già esistono la giornata del “Mal di testa” o del “fungo porcino”;  e questo per invogliare tanti giovani a scegliere questa desueta professione. Il problema non si risolve finchè il nostro sistema educativo sarà percepito più come spesa onerosa per lo Stato che come investimento per le generazioni future, finchè resterà una cosa per sole donne sottopagate; finchè non avremo chiara l’idea che si studia, non per un obbligo, ma per conquistare la libertà personale e col contributo di tutti, insegnanti maschi compresi. Il problema non verrà mai risolto ed i maschi si perderanno tutta la bellezza che esercita il mondo infantile.
Buona vita!
maestrocastello



Post scriptum

Ora che guardo la scuola da fuori, vorrei togliermi una serie di sassolini dalle scarpe.
- Ho sempre fatto molta fatica a firmare circolari, registri e schede di valutazioni con la dicitura in calce : “Le Insegnanti” (anche se ero unico maschio tra oltre quaranta colleghe, la grammatica non è un’opinione: prevale il maschile!)
- Trovavo i Moduli veramente assurdi!
- S’è fatta troppa confusione con la valutazione: pagella con voti, scheda di valutazione (cambiata tre volte in tre anni), abolizione dei voti, giudizi con le lettere (A-B-C-D-E), giudizi sintetici(ottimo-distinto-buono-sufficiente-non sufficiente), ritorno ai voti e chissà quanto ancora.
- Fare certe riunioni inutili, solo perché calendarizzate o programmare al lunedì, pur sapendo che le attività sarebbero state sospese dopo due giorni per vacanze pasquali era una vera idiozia.
- Compilare tante scartoffie che poi non avebbe letto nessuno, altra idiozia.
- Introdurrei i dialetti nei programmi e il recupero delle nostre tradizioni, invece di scimmiottare usanze anglofile, come introdurre la festa di Halloween e il tacchino del Ringraziamento fin dalla scuola dell’Infanzia.
- Nella scuola c’è troppo buonismo e i giudizi negativi i bambini li accettano tranquillamente, i genitori no.
- Non va bene che per bocciare qualcuno è divenuta una questione di Stato.

martedì 9 novembre 2010

Il Grande Fratello vi guarda!

Nell’immediato dopoguerra viene pubblicato il romanzo ”1984” di George Orwell, uno dei più apprezzati saggisti inglesi del ventesimo secolo. L’autore immagina un futuro prossimo, il 1984 per l’appunto, la terra è governata da regimi totalitari e la società amministrata secondo i principi del Socing (Partito Socialista inglese). A capo del partito unico c’è il Grande Fratello (GF), personaggio che nessuno ha mai visto e che tiene sotto controllo la vita di tutti i cittadini. I suoi occhi sono dei televisori-telecamere, installati per legge in ogni abitazione dei membri del Socing e che i membri del Partito Esterno non possono spegnere. Questi televisori-telecamere, oltre a diffondere propaganda 24 ore su 24, spiano la vita di qualunque membro del Socing esterno. L'unica forma di pensiero ammissibile è il Bispensiero, un pensiero che esige che la mente si adatti senza resistenze alla realtà così come definita dal partito e cancelli ogni dato divergente ed ogni forma di obiezione. Come recitano alcuni slogan del partito, “la menzogna diventa verità e passa alla storia”. Oggi che il 1984 è superato da un bel pezzo e che la televisione ha ridotto “ l’homo sapiens” in “homo videns”, trasformando tutti noi in video-persone che comunicano solo per immagini; non potevamo proprio fare a meno della undicesima edizione del GF italiano (reality show televisivo che va avanti ininterrottamente dal duemila , basato sul format olandese Big Brother). La TV commerciale italiana l’ha trasformato in un vero spettacolo mediatico, cogliendo quello che è l’obiettivo della stragrande maggioranza di noi: guardare e lasciarsi guardare, costi quel che costi. Prendete il giallo di Avetrana: tutti i protagonisti amano stare sotto i riflettori e le varie fasi della storia di sangue, a momenti, ha più spazio nei format del piccolo schermo che negli uffici preposti. Il G. F. ha prolificato poi tanti altri Grandi Fratelli che ora si chiamano isole dei famosi, ora fattorie, ora reality di ogni genere; tutti format comunque ideati per guardoni gaudenti. E tutti a dire: “Che schifo!”. Peccato che la gente è esattamente ciò che continua a vedere. Se la TV ci mostra questo schifo è perché fa share e se fa share è perché qualcuno la guarda. Infatti la prima puntata del G. F. ha fatto il boom di ascolti. Ma dove sta il problema? Se non fosse che a guardare è la fascia che va dai 15 ai 24 anni di età, Il problema è che certa televisione a quell’età plasma e fornisce modelli. Il problema è che tali spettacoli vanno in prima serata al posto di altri programmi più formativi che mandano invece quando è ora di andare a dormire. Ciò risulta maggiormente pericoloso in un Paese dove più della metà fa tranquillamente a meno di leggere un libro e leggere un quotidiano. Qualcuno potrebbe obiettare:”Lo guardo perché non voglio pensare a niente”. Mi dite che gusto c’è di farsi intrattenere da gente così disastrata in fatto di cultura? Andatevi sul web a guardarvi il video dei provini del GF 10 e vi metterete le mani nei capelli per quante castronerie ascoltate. Per conto mio, andrebbero sì fatti entrare in quella casa, ma non lasciati più uscire; fintanto che non abbiano capito che Bud Spencer non è un personaggio storico e che “barrista” si scrive con una erre solamente. Gli studiosi affermano che il GF è uno spaccato preciso della nostra società. A me sembra che il Bispensiero di Orwell si sia realizzato davvero proprio all’inizio del terzo millennio: nessuna forma di pensiero divergente esiste dentro e fuori la Casa. C’è la solita voce fuoricampo che intima a chi è dentro che non serve pensare e per chi è nella propria di casa, a non cambiare canale. Certo che è proprio divertente guardare ed essere guardati anche alle due di notte!
Buona vita!
maestrocastello

venerdì 5 novembre 2010

Giocare a far la guerra.

Proprio ieri ascoltavo le parole del ministro della difesa La Russa: “le nostre forze armate sono una vera eccellenza nel mondo”. Praticamente affermerebbe che il nostro esercito che negli ultimi vent’anni ha fatto solo atti di presenza nei vari conflitti in cui siamo stati coinvolti, quello che interveniva solo a guerra finita in Iraq ; ora sarebbe un prodotto che ci invidiano tutti; al pari dei vestiti di Valentino e di Armani o del parmigiano reggiano. Col pensiero sono andato all’Afganistan, l’unica guerra cui abbiamo partecipato attivamente con le nostre forze pur esigue. Tanto bastava a legittimare con la nostra sola presenza l’azione di forza dell’alleato americano. Allora si combatteva con la scusa di liberare il Kuwait, ma sappiamo che l’America mirava a gestirne il petrolio. Vi ricorderete tutti della figura barbina dei due piloti Bellini e Cucciolone, appena partiti e subito presi. Cosa è successo nel frattempo? I nostri soldati sono improvvisamente divenuti dei Rambo? Con l’abolizione dell’obbligo di leva, sembrava che stessimo concretizzando l’abbandono di ogni retorica militaresca; ma ecco rispuntare l’dea di introdurre brevi periodi da passare in caserma, una specie di stages in divisa. La convinzione è che le forze armate sono un carrozzone duro a morire che dà da mangiare a parecchi. La scuola la stanno sbracando, l'esercito no.Purtroppo spunta alla base l’eterna retorica di difesa di una patria che troppi politici calpestano e questa stessa retorica si rinnova ogni qualvolta viene ucciso qualche povero figlio di mamma che pensava di tornare indenne e con qualche euro in tasca, dalle cosiddette missioni di pace. Oggi è la festa dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate e non a caso è ritenuta da tanti una celebrazione anacronistica e retorica, che quasi ovunque è intesa non tanto come pacato ricordo ai caduti di tutte le guerre, quanto motivo di esaltazione di eserciti in armi, in barba all’articolo 11 della troppo dimenticata Costituzione Italiana che impegna: “a ripudiare la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”
Buona vita!
maestrocastello


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La prima guerra mondiale costo'
all'Italia 650 mila morti e un
milione di mutilati e feriti, molti
di piu' di quanti erano gli abitanti
di Trento e Trieste, i territori
ottenuti con la vittoria della
guerra, che erano gia' stati promessi
all'Italia dall'Austria in
cambio della non belligeranza

Il 4 novembre ripudiamo la guerra
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A Bussonelo (TO) una lapide cominciava con queste parole:
PER QUELLO CHE FU SOFFERTO
NELL'OZIO DEPRAVANTE DELLA CASERMA
SOTTO IL BASTONE DELLA SERVITU'
NEL LEZZO DELLE TRINCEE
NELLE VIGILIE DI MAGNIFICATE CARNEFICINE...
Essa fu distrutta nel 1921 dai fascisti.
………………………………………….

Il monumento ai caduti di Tolentino (MC),
distrutto dai fascisti nel 1922, recava questa lapide:
POSSA LA SANTITA' DEL LAVORO REDENTO
FUGARE E UCCIDERE PER SEMPRE
IL SANGUINANTE SPETTRO DELLA GUERRA
PER NOI E PER TUTTE LE GENTI DEL MONDO
QUESTA LA SPERANZA E LA MALEDIZIONE NOSTRA
CONTRO CHI LA GUERRA VOLLE E RISOGNA

martedì 2 novembre 2010

Attenti, viene giù tutto!


Famiglia cristiana denunciava in estate l’assenza in Italia di una classe dirigente all’altezza, creando una grande bagarre e attirando le ire dei politici di destra. Il giornale cattolico denunciava un vuoto di leadership in una stagione densa di sfide e problemi. Lamentava carenze nel mondo imprenditoriale, nella comunicazione, nella cultura, nella società civile e nell’associazionismo. Da mesi siamo nell’immobilismo totale: non esistono programmi di medio e lungo termine, Le piccole e medie aziende non riescono più a produrre perchè manca un serio piano industriale. Esiste una conflittualità terribile tra i sindacati ed essi stessi con le parti sociali. Il mondo impiegatizio verso la totale liquidazione. Sembra paradossale, ma se in una famiglia italiana in crisi economica, non ci fosse un pensionato, questa cadrebbe immediatamente nella fascia di povertà. Non se ne può più di uomini politici che hanno scelto la politica per sistemare se stessi e le loro pendenze, che sono lontano chilometri dai problemi reali del Paese, che dovrebbero far emergere l’idea di bene comune che permetta di superare divisioni ed interessi di parte ed invece riescono a litigare proprio su tutto. L’offesa continua verso l’avversario ha sostituito ogni serio argomento politico. E’ dal mese di giugno che non se ne può più di parlare solo della casa al Colosseo, l’appartamento a Montecarlo, lo schifo del dopo-terremoto, il magna-magna del G8 alla Maddalena ed intanto padri di famiglia cinquantenni continuano a perdere il posto di lavoro, le imprese, non vedendosi più tutelate, preferiscono investire in altri Paesi ed i nostri figli che abbiamo fatto studiare aspettano invano un impiego qualunque. Mettiamoci pure un'opposizione che punta solo a cavalcare il dissenso, senza proposte concrete e finisce invece per legittimare ancor più un governo che gestisce il nulla assoluto. Forse è giunta l’ora di un leader con le palle! Uno che ci rappresenti proprio tutti, anche chi la pensa diversamente da lui. Uno che miri seriamente allo sviluppo del proprio Paese ed alla pacifica convivenza dei suoi cittadini. In questi anni si è mirato solo al consenso, tirando il peggio ch’è latente in ciascuno di noi, come antagonismo esasperato, razzismo, omofobia e disprezzo per la dignità delle donne. Non è un caso che "Il Giornale", vicino al Governo, titoli questa mattina: "Attenti, viene giù tutto!" Infatti è riapparsa la monnezza a quintali. Insomma vogliamo essere rappresentati da una persona degna davvero di questo nome e non un giullare che se la ride vantando la propria virilità!
Buona vita!
maestrocastello.





Lettera aperta della madre di un gay a Berlusconi
November 2nd, 2010 admin


Signor Presidente vorrei scriverle correttamente come è nel mio stile ma purtroppo non posso perchè di tutto lo sconfinato vocabolario italiano che ho a disposizione l’unica parola che urge sui miei polpastrelli è: si vergogni!
Si vergogni di aver pronunciato quelle parole infamanti verso i gay mentre il paese che lei dovrebbe governare è sommerso dall’immondizia, dal fango, dalla disoccupazione.
Ma forse immondizia, fango e fame sono un prodotto che si addice al suo modo di far politica e le sue battute cercano il consenso di quella parte degli Italiani che vorrebbero imitarla ma non ci riescono.
Battute da osteria non da governo!
Se poi per caso lei l’avesse dimenticato andare con le minorenni, come Le è consono, è un reato nel Paese nel quale lei è Presidente del Consiglio.
Ho un figlio gay e ne sono fiera e come me tantissimi genitori lo sono, in barba alle sue dichiarazioni e del consenso che gode presso alcuni parlamentari e presso una parte della Santa Madre Chiesa.
Spero che l’Europa illuminata che ha fatto dei gay motivo di orgoglio sappia sanzionarla laddove io posso solo cercare di non farla rieleggere mai più.
Rita De Santis
Fonte: http://www.facebook.com/note.php?note_id=461142652071&id=1541409370