Se chiudo gli occhi, mi rivedo bambino a vivere la mia spensieratezza. Le tasche sempre bucate, perchè vi tenevo i sassi, spesso camminavo scalzo per la povertà dei tempi o per abitudine e se litigavo, dopo poco facevo la pace. Allora pensavo magari che mi mancassero tante cose, ma non me ne importava poi tanto. Non avevo grilli per la testa, si era tutti nelle stesse condizioni e ci divertivamo con niente. Avevo paura del buio e dei carabinieri, se il maestro mi puniva; a casa mi davano il resto. La mia merenda era pane e zucchero, pane e uva, pane e pane. Il gelato costava poco: lu cuppetiélle cinque lire e mia madre non me lo poteva comprare e quando succedeva; me lo facevo durare un secolo. La chewin gum, ciuca in dialetto, ce la passavamo da bocca a bocca e non abbiamo mai preso malattie, andavamo in piazza a raccogliere mozziconi per farci le sigarette e, in mancanza, fumavamo di tutto, perfino i fili di paglia sotto le sedie. Il ghiaccio lo vendevano a pezzi, le sigarette te le davano anche sfuse e pure la pasta. Quando ti sedevi a tavola il menù non era molto ricco: quasi sempre pasta fatta in casa con verdure raccolte in campagna: foglie di zucca ( li tàrre), broccoli ( li vruòcchele) , bieta (re jéte) o una varietà di erba mangereccia che da noi chiamano marascioni (li marasciùne). E la carne? Direte voi. Noi eravamo vegetariani senza saperlo, ma per necessità; la carne la mangiavo qualche volta la domenica, alle feste comandate o quando un vicino ammazzava il maiale. Avevamo rispetto per gli anziani e per gli animali, ci insegnavano a salutare per primi le persone più grandi di noi. Erano tempi duri, ma spensierati; almeno per noi piccoli. Comunque non ho rimpianti, perché penso che il passato è bello per essere ricordato, non per essere vissuto.
Buona vita!
maestrocastello
Buona vita!
maestrocastello
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