domenica 10 luglio 2011

Lu 'mpagliasegge.


L’industrializzazione convinse il contadino pugliese degli anni ’60 a deporre la zappa ed indossare la tuta da metalmeccanico, un lavoro che gli permetteva di sfamare finalmente la sua numerosa famiglia che, per il momento, restava al paese; ma presto lo avrebbe raggiunto  nella inospitale Torino. La terra non la voleva lavorare nessuno, anche se i “ciao né”, quando tornavano al paesello, facevano incetta  di vino buono, insaccati, pomodori seccati sui tetti e origano campagnolo. Riempivano fino all’'impossibile la loro centoventotto fiammante di tante leccornie che avevano costituito la loro alimentazione di una vita e, con la macchina carica, tornavano a fare i terroni a Torino. Presto i mariti avrebbero reclamato le mogli, i fratelli fatto arrivare gli altri fratelli; così le fabbriche si riempirono e i paesi  del sud si svuotarono. Paesi sperduti furono abitati solo da vecchi che si ostinavano nell’andare in campagna a zappare vigne che  morivano di inedia assieme ai loro padroni e invecchiavano peggio di questi. Tanti mestieri  che movimentavano un tempo  la vita di un paese andarono presto in disuso. Non si aggiravano più  per le strade ‘mpagliasegge, stagnari, ombrellari, ammolafuorbece, castagnare, cravunieri, nè venditori di sapone. Non si udiva più la voce impostata del banditore che diffondeva dalla piazza al castello  per dare l’avviso che stavano togliendo l’acqua in paese. Un mestiere in particolare mi affascinava più degli altri ed era l’impagliatore di sedie, detto appunto,” lu ‘mpagliasegge”. Una volta l’arredamento delle case era costituito di poche cose: la cascia che conteneva la biancheria(la dote), il letto così alto che ci voleva la scala a salirci, il comò, la tavola e tante sedie, tutte rigorosamente coperte in giunchi di paglia. Era un orgoglio dei grandi, quando entrava l’ospite in casa, dire al figlio :”Giovanni, prendi una “seggia” alla commare!”; magari era una sedia tutta sfilacciata, ma la casa perlomeno ne era provvista.  Il continuo utilizzo causava spesso la rottura del “cuoscio” o seduta che era fatta di paglia  e che , una volta rotta, coprivano con una tavoletta di legno, in attesa che passasse lu ‘mpagliasegge a ripararla. Arrivava quest’omino con la bisaccia a tracolla, piena di giunchi  di diversi colori,  che lavorava all’aperto e magari fischiettava ed io mi affascinavo a studiarne tutte le  mosse certosine. La fabbricazione manuale delle sedie rappresentava una vera e propria arte, diffusa nei paesi montani, data la maggiore facilità a reperire le materie prime: il legno, soprattutto il faggio, e i giunchi di paglia. Lu ‘mpagliasegge le realizzava anche nuove le sedie, ma, cosa importante, data l’impossibilità di acquistarne di nuove,  riparava sedie vecchie per un prezzo che anche mia madre poteva pagare.  Egli foderava pure bottiglie e damigiane spagliate, allo scopo di proteggerne il vetro. Le sedie coi giunchi sfilacciati erano anche il simbolo di condizioni economiche abbastanza difficili. Oggi che sono mutati tanti mestieri, che le nostre sedie non sono più sfilacciate; le condizioni economiche sono tornate come quelle di allora.
Buona vita!
maestrocastello.

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