Emigrante fa rima con distante. Le rondini migrano alla volta
di posti più caldi, l’uomo va alla ricerca di nuove opportunità di lavoro. L’esilio
è la frattura scavata tra un essere umano ed il suo luogo natio, ossia la sua
vera casa. La tua casa non ti appartiene più perché l’hai svenduta e quando
pensi di avere i mezzi per riappropriartene; ti accorgi che non è più la
stessa, perché sono trascorse più generazioni e si è persa la memoria di come
era un tempo. La storia e la letteratura raccontano di ritorni eroici e
romantici che somigliano tanto a sforzi per superare i dispiaceri
dell’estraniamento. Ulisse al ritorno vive
essenzialmente di ricordi e mette
tenerezza l’utilizzo delle sue residue energie per avere il diritto all’antico
talamo, ricavato da un tronco d’ulivo, che contende ai perfidi Proci. L’esilio resta comunque una sconfitta per ciò
che si è lasciato alle spalle e che difficilmente potrà tornare indietro, la
perdita di qualcosa che si è persa per sempre. L’esilio è sinonimo di
sofferenza di un’intensità unica. Solo chi non ha provato a stare lontano dal
luogo natio non può sapere quanto sia arduo vivere soltanto di ricord di volti,
di sapori, di odori e di voci familiari; solo chi vive lontano sa… “ come è
duro calle lo scendere e ‘l salir pe l’altrui scale” (Dante- Paradiso XVII°
canto). Eppure la cultura moderna occidentale è in larga misura opera di esuli,
emigrati e rifugiati che hanno portato una ventata di aria nuova, rompendo con
la tradizione. Quanti emigranti, figli soprattutto di un sud lasciato troppo
solo in fondo ad ogni classifica, si sono distinti per impegno e creatività. Il critico George Steiner afferma giustamente
che questa civiltà che ha privato così tanti di una casa debbano, a buon
diritto, essere chiamati “poeti senza dimora e vagabondi del linguaggio”. Senza
voler fare del vittimismo è proprio il sud che festeggia più di tutti e, quasi
sempre in agosto, “la festa dell’emigrante” che ritorna all’ovile. Sto povero Cristo
che, in cuor suo, pensava di poter ritornare vincitore ed invece spesso torna
da sconfitto; ormai sono passati tanti anni e non se lo caca più nessuno. Il
sud è gioia e rabbia. Il sud è bipolare: ti esalta e ti svilisce. Terre gremite
ad agosto e a dicembre abbandonate: il sud ormai non ti sorprende più, torni e
ti ritrovi il tuo sud delle pale eoliche spesso ferme, il sud dei caciocavalli, il sud delle troppe case chiuse, il sud che lascia le olive sugli alberi perché non c’è più nessuno
che le coglie, il sud dei paesi popolati solo da novantenni, il sud dove si raziona l’acqua
in estate, il sud dell’abbandono, il sud che staziona al bar della piazza, il
sud della “passatella a base di birra, il sud che spesso recrimina; ma non si
ribella, il sud che s’è fatto la casa col terremoto, il sud dei sindaci che
fanno i dottori, il sud pieno di parlamentari che non fanno un cazzo per la
loro terra d’origine, il sud del vino buono e del grano in abbondanza, ma che va a fare la spesa di schifezze alla Mongolfiera, il
sud dell’olio extravergine d’oliva, dei polli ruspanti e dei capicolli; il sud
che ha mille potenzialità che, spesso, non servono a nulla, il sud che non
crede più nei miracoli e non spera. L’emigrante sa già ch’è cosi; intanto
ritorna! Anch’io sono un emigrante che per mille motivi non indovina mai
l’approdo e sogna un giorno di fare ritorno in una casa ideale, salvata dall’attacco
delle betoniere,dove la catenella per legare il mulo è ancora al suo posto,
piantata nel muro davanti casa; magari arrugginita perché il mulo non lo lega
più nessuno. Vorrei far ritorno in una casa così che profumi ancora di pane appena
sfornato,sentire la voce ferma di mia madre che mi dice:”Giovà, porta lu
criscent (lievito madre) a la comare che ce l’ha prestato!”. La mia resta solo
un’illusione e la mia casa ideale me la porto sempre nel cuore, come l’amore
smisurato per i miei genitori, due persone che non ci sono più, due vecchi che
non avevano nulla; eppure mi hanno dato tutto.
Buona vita!
maestrocastello
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