Sono contento che in questo periodo si parli finalmente anche del Primo Conflitto Mondiale o Grande Guerra che sul fronte italiano fu una terribile carneficina, in cui persero la vita più di un milione fra militari e civili, ma se consideriamo i morti, i feriti e i mutilati su base mondiale; arriviamo all'incredibile cifra di 37 milioni: un'ecatombe che spazzò via quasi un'intera generazione. La grande guerra non ha eroi, i protagonisti non sono re, imperatori o generali; ma sono fanti contadini: i nostri nonni, chiamati a difendere la terra italiana, palmo a palmo ed è quello che fecero, mettendo a rischio la vita. In tanti non tornarono e i superstiti, al ritorno, fecero racconti allucinati: il freddo, la fame, malattie letali (tifo, colera, influenza spagnola); avevano sconvolto le nostre truppe più della mitraglia e gas nemici. Oggi la prima guerra Mondiale sembra un fatto che non appartiene alla nostra memoria e non ci sono più fanti a raccontare. L'ultimo, Carlo Orelli, se n'è andato a 110 anni, nel 2005. La memoria della grande Guerra sembra spenta per sempre. Ora, però, è affidata a noi. Sta a noi figli, nipoti e pronipoti, recuperare le loro storie e raccontarle ai nostri ragazzi. I loro sacrifici possono aiutarci a ricordare chi erano i nostri nonni, di quale forza morale furono capaci e quale straordinario patrimonio ci hanno lasciato e che noi portiamo dentro. Nel Museo Storico di Trento e nel Museo della Guerra di Rovereto sono conservati i diari dei soldati semplici che raccontano storie che colgono ogni aspetto di quella terribile guerra e che Aldo Cazzullo, inviato ed editorialista del Corriere della Sera, ha raccolto in un libro fresco di stampa dal titolo: “La guerra dei nostri nonni”. Ogni tanto mi piacerà estrapolare qualcuna di queste storie, per darci l'idea di cosa sia stata la Grande Guerra; come questa :
“ Sul Piave il nonno fu fatto prigioniero, durante un contrattacco. Le condizioni dei prigionieri nella prima guerra mondiale erano molto più dure che nella seconda. L'Austria era alla fame. Non avevano pane i borghesi di Vienna; figurarsi i prigionieri italiani. Il nonno raccontava con affetto del custode del campo di prigionia, un austriaco, padre di famiglia, che ogni tanto sollevava la rete per consentire a quei ragazzi di diciott'anni, affamatissimi, che avrebbero potuto essere i suoi figli, di andare a raccogliere le patate lì vicino, con l'impegno di tornare prima di sera.”
La guerra era anche questo.
Buona vita!
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