venerdì 12 agosto 2016

Un tuffo nel mio passato

Se chiudo gli occhi, mi rivedo bambino del sud a vivere la mia spensieratezza in un paesino di montagna. Le tasche sempre bucate, perché spesso vi tenevo i sassolini con cui giocavo. Camminavo spesso scalzo per la povertà dei tempi, non per sport.  Se litigavo, dopo poco facevo la pace.  Allora pensavo magari che mi mancassero tante cose, ma non me ne importava poi tanto. Non avevo grilli per la testa, si era tutti nelle stesse condizioni a Sant'Agata di Puglia prima degli anni sessanta: i bambini a giocare per strada e i grandi a passeggiare in piazza, quando non erano nei campi. Allora ci divertivamo con niente, quali video-giochi o play station! Avevo paura del buio e dei carabinieri e se il maestro mi puniva; a casa mi davano il resto. La mia merenda era pane e zucchero, pane e uva, pane e pane. Il gelato costava poco: il cono più piccolino (lu cuppetiélle) costava cinque lire e mia madre non me lo poteva comprare sempre e quando succedeva; me lo facevo durare un secolo. La chewin gum, "la ciuca" in dialetto, ce la passavamo da bocca a bocca e non abbiamo mai preso malattie, andavamo in piazza a raccogliere mozziconi per farci le sigarette e, in mancanza, fumavamo di tutto, perfino i fili di paglia che fuoriuscivano da sotto le sedie. Il ghiaccio lo vendevano a pezzi, le sigarette te le davano anche sfuse e pure la pasta. Quando ti sedevi a tavola il menù non era molto ricco: quasi sempre pasta fatta in casa ( li maccarúne) con verdure raccolte in campagna: foglie di zucca ( li tàrre), broccoli ( li vruòcchele) , bieta (re jéte) o una varietà di erba mangereccia che da noi chiamano marascioni (li marasciùne). E la carne? Direte voi. Ma quale carne! Chi l'ha vista mai la carne da piccolo! Noi eravamo vegetariani senza saperlo, ma per necessità; la carne la mangiavo qualche volta la domenica, alle feste comandate o quando un vicino ammazzava il maiale. Le uniche mangiate in piena regola le facevi a Natale ed a Pasqua. Soldi non ne circolavano tanti e gli operai venivano spesso pagati in natura: grano, farina o con altri generi alimentari. Ora studiano tutti, anche chi non vi è tagliato; mentre un tempo, dopo la quinta elementare, venivi avviato al lavoro: falegnami, sarti e barbieri avevano frotte di giovani che andavano ad imparare il mestiere. Noi piccoli avevamo rispetto per gli anziani e per gli animali, ci insegnavano a salutare per primi le persone più grandi di noi. Erano tempi duri, ma spensierati; almeno per noi bambini che scorrazzavamo per strada, senza il pericolo delle macchine, le porte delle case erano formate da una vetrina che rimaneva sempre aperta durante il giorno. Che tempi quelli di allora, comunque non ho rimpianti e li ricordo volentieri, perché penso che il passato è bello per essere ricordato, non per essere vissuto.
Buona vita!

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