Il ragù o rrahù, come diciamo al mio paese, mi scatena più di qualche bel ricordo: la cosa che faceva infuriare di più mia madre era quando uno di noi scoperchiava di nascosto la pentola del sugo e vi affondava dentro una fetta di pane, lasciando all'interno tracce di mollica.
Il ragù della domenica lo faceva mio padre ed era come assistere ad una funzione religiosa. Questa cerimonia iniziava al mattino: la pentola andava a fuoco lentissimo, ospitava prima il soffritto e man mano arrivavano pomodori a pezzetti, odori e salsa di pomodoro che preparavano l'arrivo degli ospiti d'onore che erano gli involtini fatti da mamma, immancabili la domenica a casa dei miei.
In quella pentola non potevi affondare fette di pane perché papà la teneva sotto controllo continuamente e la seguiva durante il borbottìo e la mescolava spesso per non "farla attaccare".
Io, che la domenica dormivo fino a tardi, mi svegliavo puntualmente nel preciso istante che papà aggiungeva al ragù un bicchierino di "Vecchia Romagna etichetta nera" e quel ragù cominciava ad emanare un profumo in tutta la casa che avrebbe svegliato pure i morti.
Mentre girava per casa o si faceva la barba, sigaretta sempre accesa, mio padre Donato, come una guardia carceraria che tiene d'occhio i suoi carcerati; continuamente andava nei pressi della cucina, ove controllava e girava il ragù e gli involtini suoi amici.
Quando era l'ora del pranzo canonico, tutti a tavola a divorare le orecchiette fatte a mano da mamma che si affondavano nel sugo di papà. Le orecchiette a papà piacevano giganti, perché si riempivano di tanto sugo.
Poi veniva la volta degli involtini e qui mi vengono alla mente due cose: la prima che spesso mi pungevo il palato, se mamma aveva chiusi gli involtini con lo stecchino, invece di cucirli col filo, come faceva di solito e l'altra: che puntualmente mi macchiavo di sugo l'unica camicia bianca che m'ero messo per l'occasione.
Mi mancano tanto le orecchiette di mamma che affondavano nel rrahù di papà.
maestrocastello
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