sabato 19 giugno 2010

QUALE SCUOLA.


Siamo al momento dei tanto sospirati esami di maturità che i ragazzi sognavano già nei banchi delle medie e fra qualche settimana la scuola italiana sfornerà mezzo milione circa di nuovi diplomati, molti dei quali si cimenteranno invano con studi universitari che non sono alla loro portata, sponsorizzati da famiglie troppo generose che riporranno in loro speranze che presto vedranno il tramonto. Non molto diversa è la sorte di quella rimanente schiera che prenderà le cose più seriamente. Questi ultimi, insieme alle loro famiglie, affronteranno sacrifici di varia natura (non ultimi quelli economici, dati i costi esagerati dei nostri atenei), per costrursi maggiori prospettive di lavoro e scopriranno invece che per un giovane laureato la vita è molto dura qui in Italia. Per veder riconosciuto il proprio talento bisogna andare all’estero, dove si investe seriamente sulla ricerca. Purtroppo la nostra scuola è scollegata totalmente dal mondo del lavoro, per la mancanza di una seria politica di programmazione. Non è vero che la scuola prepara il giovane al mondo del lavoro; perché non c’è lavoro! Nemmeno dà tutta questa cultura; è solo un’infarinatura superficiale, perché la cultura te la farai da grande. Ormai le Università pullulano di futuri disoccupati che cazzeggiano fino alla soglia dei trent’anni, per poi uscirne senza arte né parte. Come mai la scuola s’è ridotta così? Progressisti, laici, nostalgici; ognuno di noi ha idee diverse sulla scuola; ma andrebbe finalmente riconsiderata la nuda reltà dei fatti, quella che da decenni si va delineando: “la maggior parte dei giovani che escono dalla scuola e dall’università è sostanzialmente priva delle più elementari conoscenze e capacità che un tempo scuola e università fornivano”. Così scriveva, giusto un anno fa, il professor Luca Ricolfi ed io sottoscrivo in pieno la sue affermazioni. Ma queste cose da noi non si possono dire senza provocare indignazione da parte della politica che si riconosce soltanto meriti ed, in fondo, trae vantaggio proprio a gestire masse di giovani che sguazzano nell’ignoranza più assoluta. Di chi è la colpa se la scuola italiana sforna diplomati che non hanno la capacità di esprimersi correttamente con un discorso ben articolato e comprensibile che accresca le conoscenze di chi ascolta? Di chi è la colpa se (come dice ancora Ricolfi) i nostri studenti non hanno più la capacità di concentrazione, di saper soffrire su un problema di difficile soluzione, se banalizzano tutto ciò che non arrivano a capire, se attribuiscono ad altri tutta la colpa della loro abissale ignoranza? Infatti sono soliti dire: “Sono stato promosso” (tutto merito loro!) o “Mi hanno bocciato!” (tutta colpa degli altri!). Ogni grado dell’istruzione addossa la colpa di lacune a quello precedente e intanto “…. l’università è costretta a fare corsi di «azzeramento» per rispiegare concetti matematici che si apprendono a 12 anni” ( sempre a detta di Ricolfi che insegna all'università). La verità è che la scuola non è più selettiva, prepara giovani capaci di superare quiz, di eseguire istruzioni; ma incapaci di padroneggiare una intera materia. La memoria che un tempo costituiva il serbatoio per organizzare le idee, è stata totalmente bandita, perché convinti che tutto si trova su Internet ed è questo il motivo se, finiti gli esami, i ragazzi non ricordano più nulla. In tutto questo sono poche le colpe dei giovani, se non di essersi lasciati facilmente ingannare da una generazione, come la mia, che ha finto di aiutarli e li ha invece ridotti ad uno stato di disorientamento totale. Nel tanto osannato “sessantotto” avevamo tutti l’idea di includere le masse fino allora escluse dall’istruzione ed invece si è aperta la strada alla scuola facile, non selettiva, quella del 6 politico che si è poi ritorta proprio contro coloro che diceva di voleva aiutare. La colpa è della politica che non ha mai investito seriamente nell’istruzione dei giovani, nella preparazione del corpo docente ed ha lasciato, per clientelismo, che il carrozzone-scuola italiano si infoltisse di un numero eccessivo di “addetti ai lavori”(un milione e duecentomila dipendenti) che oggi supera di gran lunga quello dell’intero esercito degli Stati Uniti d’America(settecentomila unità). Fino ai primi degli anni ottanta eravamo ancora fermi alla riforma Gentile del 1923 e le cose non andavano poi così male; in quest’ultimi trentanni si sono avvicendate tante riforme che non hanno riformato un bel nulla. Si è pensato solo ai dettagli: voti o giudizi? Tempo pieno o mezzo tempo? Grembiule o tuta? Maestro unico, voto in condotta e crocifisso categoricamente appeso nelle aule! Intanto si continuano a tagliare i fondi alla scula. Ultimamente ci si riempie la bocca del termine “meritocrazia”. Ma state attenti che "La parola meritocrazia è l'ultimo trucco della comunicazione….”, dice Michael Young, “ una minoranza di privilegiati che si avvale di criteri di selezione tendenziosi e settari per impedire l'ascesa sociale di quanti sono sfavoriti dal fatto di appartenere alle classi inferiori”. Bisogna comunque pretendere una scuola di qualità, senza lasciare indietro nessuno e questo è possibile solo se ripartiamo da zero. La verità è che solo una scuola che fa sul serio può contribuire a sollevare anche i più deboli, dando a tutti i meritevoli le stesse opportunità; al di là delle questioni di ceto, sesso o quant’altro. Solo così potremo risollevare i nostri giovani dal baratro in cui li abbiamo precipitati.
Buona vita!
Maestrocastello.

2 commenti:

  1. colotti.giovanni@alice.it28 giugno 2010 alle ore 09:02

    SPERIAMO SI FACCIA QUALCOSA AL PIU' PRESTO, IL NOSTRO SISTEMA FA ACQUA DA TUTTE LE PARTI E I NOSTRI GIOVANI...STANNO AFFONDANDO...A PARTE I MAGGIORMENTE DOTATI CHE SI SALVANO SEMPRE...MA LA MAGGIORANZA....
    BACI E ABBRACCI

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  2. Condivido in pieno! Ciao Rosaria

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