Oggi certo non mancano agli innamorati i mezzi per
comunicarsi il loro amore. Il cellulare, le mail o i messaggini sono i mezzi
più comuni per sentirsi dire “ti amo” e in modo magari cifrato “ti voglio bene
(“Mnkia Ale, tvb, sei trpp fiko”). Trent’anni fa c’erano i telefoni a gettoni o
quelli di casa che erano grigi, con il disco trasparente, a cui i nostri
genitori applicavano il lucchetto per impedirci di telefonare e che noi
toglievamo puntualmente di nascosto. Ore e ore per non dirsi nulla: “Ma quanto
mi costi?” Vi ricordate il tormentone
dell’epoca? Prima ancora c’erano le lettere languide a cui si allegavano fiori
secchi, profumi, tracce di lacrime e ciocche di capelli. L’analfabetismo
dilagante fa capire che in pieno Medio Evo e in età rinascimentale ci
dev’essere stata una totale assenza di tutto ciò e solo l’elite ricca poteva scriversi lettere d’amore. Eppure non
è stato sempre così nell’antichità, basta girare per la città di Pompei, per
rendersi conto che i romani del I sec A.C. già usavano il telefonino, con cui
scrivevano messaggi d’amore. Non ci credete? Ma è proprio cosi! Anche il
telefonino dei romani stava nel palmo di una mano, solo che allora si chiamava
“tabula cerata”. Era una tavoletta di legno di cedro a forma di vaschetta,
spessa pochi centimetri e riempita con uno strato di cera. La cera era
l’equivalente dello schermo dei nostri cellulari e su quella cera venivano
scritti messaggi d’amore per mezzo di un pennino (stilus); la cera poteva
essere raschiata e ridepositata,
consentendo così la cancellazione del testo e il riutilizzo della tabula per un nuovo messaggio (da
qui l’espressione “tabula rasa" o tavola raschiata). A seconda della lunghezza del testo si
potevano usare due tavolette (diptychum), tre tavolette (triptychum) o più di
tre (polyptychum). Oggi usiamo la password per impedire agli estranei di
accedere al nostro cellulare; ma anche all’epoca dei romani era più o meno
così: chiusa da una cordicella, la tavoletta non poteva essere aperta da tutti
e quindi il testo non poteva essere letto né modificato se non dal suo
destinatario. I messaggi d’amore erano riconoscibili perché le tavolette erano
più piccole e la cera era colorata, quasi sempre rossa. Le coppie clandestine
usavano alcuni accorgimenti particolari per non farsi scoprire: usavano
tavolette comuni, le affidavano a servitori fidati; un amante, ad esempio, dava la tavoletta ad un’ancella che poteva
introdursi fino alle stanze della matrona, senza destare sospetti, e poteva
vedere la reazione di piacere negli occhi della signora e riferirlo al suo
giovane amante. Il recapito avveniva “dictum factum” (detto fatto), come fosse
una posta in tempo reale.
Buona vita!
maestrocastello
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