La notizia: Francesco Cela, storico maestro elementare di Sant’Agata di Puglia, è
passato a miglior vita e tanti suoi alunni di un tempo, oggi, lo ricordano come
una persona semplice, cordiale e giustamente severa, come sottolinea qualche suo
ex alunno; tant’è che in un video che registra una rimpatriata con una sua
scolaresca di ormai sessantenni, si vede che gli ex- alunni simpaticamente lo omaggiano di una “bacchetta” (una
verga di salice) che i maestri di quei tempi usavano come strumento di
punizione, indirizzandola sulle nocche dei somari, laddove le parole non
avevano sortito alcun effetto. Tante belle figure di uomini come Ciccillo Cela
che si sono spesi per l’educazione di diverse generazioni di giovani devono
servire a restituire dignità ad un mestiere difficile, ma basilare della
società; eppure così bistrattato negli ultimi anni.
Alcune riflessioni : Fin dalla più tenera età ciascuno di noi viene affidato ad un maestro. Il maestro è un punto di riferimento importante per la crescita dei giovani perché, oltre a trasfondere nozioni; diviene egli stesso un punto di riferimento per lo sviluppo intellettivo, psicologico e formativo dei ragazzi. Magari ti puoi scordare di un professore delle medie, ma la figura del tuo maestro delle elementari ti resta appiccicata per tutta la vita. Dei miei maestri, innanzitutto, voglio ricordare i miei genitori che, per primi, mi hanno insegnato la semplicità, l’onestà, la correttezza, l’agire sempre in modo lineare, dignitoso e rispettoso degli altri. Sono nato in una famiglia di operai degli anni cinquanta e mio padre e mia madre sono stati i miei primi maestri di vita, operando più con l’esempio che con la sola loquela. Poi ho iniziato il mio percorso scolastico in aule di fortuna, ricavate in case private del mio paese, sedendo in banchi monoblocco (la sedia ed il pianale erano attaccati) ed avevano un buco in alto per contenere il calamaio che ogni mattino il bidello provvedeva a riempire d’inchiostro. Allora non c’erano le penne a sfera e si scriveva con penne che erano dei bastoni che in punta alloggiavano pennini che intingevi nell’inchiostro e noi sempre attenti a tamponare con la carta assorbente: vivevamo col terrore di fare una macchia che avrebbe significato rimproveri dal maestro e sberle dai genitori. Vi erano oltre trenta alunni per classe che erano tutte maschili o tutte femminili: i maschi avevano il maestro e le femmine la maestra. Allora vigeva molta severità nelle scuole, severità che era gradita dalle famiglie, quando venivi punito: il maestro ti dava un acconto e il resto delle botte te lo dava tua madre. Le punizioni più frequenti di quei tempi andavano dallo stare dietro la lavagna, al portare le orecchie d’asino o sederti in un banco in fondo all’aula che chiamavano: “lu ciucce banc” (il banco degli asini). Un tempo, a scuola erano ammesse anche le terapie d’urto, come restare in ginocchio sui ceci secchi o bacchettate sulle mani. Io ero un timido ed ho cambiato diversi maestri, ma ricordo con affetto Peppino Danza, il mio primo maestro che era suadente, simpatico e ci leggeva storie che, puntualmente, mettevano in moto la mia fantasia. Poi molte cose sono cambiate nel corso degli anni e sono stato maestro anch’io, 38 anni nella periferia romana, dove ho cercato di applicare l’antico motto latino: ”ludendo docere”, cioè “insegnare divertendo”; perché sono convinto che se si riesce ad inserire l’aspetto del gioco (nel senso dell’interesse), eccitando così le motivazioni individuali e accendendo i cervelli; si riuscirà a moltiplicare l’efficienza dell’informazione, dell’insegnamento e della comunicazione. Chi ha interesse, partecipa, ricorda e impara.
Buona vita! maestrocastello
Alcune riflessioni : Fin dalla più tenera età ciascuno di noi viene affidato ad un maestro. Il maestro è un punto di riferimento importante per la crescita dei giovani perché, oltre a trasfondere nozioni; diviene egli stesso un punto di riferimento per lo sviluppo intellettivo, psicologico e formativo dei ragazzi. Magari ti puoi scordare di un professore delle medie, ma la figura del tuo maestro delle elementari ti resta appiccicata per tutta la vita. Dei miei maestri, innanzitutto, voglio ricordare i miei genitori che, per primi, mi hanno insegnato la semplicità, l’onestà, la correttezza, l’agire sempre in modo lineare, dignitoso e rispettoso degli altri. Sono nato in una famiglia di operai degli anni cinquanta e mio padre e mia madre sono stati i miei primi maestri di vita, operando più con l’esempio che con la sola loquela. Poi ho iniziato il mio percorso scolastico in aule di fortuna, ricavate in case private del mio paese, sedendo in banchi monoblocco (la sedia ed il pianale erano attaccati) ed avevano un buco in alto per contenere il calamaio che ogni mattino il bidello provvedeva a riempire d’inchiostro. Allora non c’erano le penne a sfera e si scriveva con penne che erano dei bastoni che in punta alloggiavano pennini che intingevi nell’inchiostro e noi sempre attenti a tamponare con la carta assorbente: vivevamo col terrore di fare una macchia che avrebbe significato rimproveri dal maestro e sberle dai genitori. Vi erano oltre trenta alunni per classe che erano tutte maschili o tutte femminili: i maschi avevano il maestro e le femmine la maestra. Allora vigeva molta severità nelle scuole, severità che era gradita dalle famiglie, quando venivi punito: il maestro ti dava un acconto e il resto delle botte te lo dava tua madre. Le punizioni più frequenti di quei tempi andavano dallo stare dietro la lavagna, al portare le orecchie d’asino o sederti in un banco in fondo all’aula che chiamavano: “lu ciucce banc” (il banco degli asini). Un tempo, a scuola erano ammesse anche le terapie d’urto, come restare in ginocchio sui ceci secchi o bacchettate sulle mani. Io ero un timido ed ho cambiato diversi maestri, ma ricordo con affetto Peppino Danza, il mio primo maestro che era suadente, simpatico e ci leggeva storie che, puntualmente, mettevano in moto la mia fantasia. Poi molte cose sono cambiate nel corso degli anni e sono stato maestro anch’io, 38 anni nella periferia romana, dove ho cercato di applicare l’antico motto latino: ”ludendo docere”, cioè “insegnare divertendo”; perché sono convinto che se si riesce ad inserire l’aspetto del gioco (nel senso dell’interesse), eccitando così le motivazioni individuali e accendendo i cervelli; si riuscirà a moltiplicare l’efficienza dell’informazione, dell’insegnamento e della comunicazione. Chi ha interesse, partecipa, ricorda e impara.
Buona vita! maestrocastello
Ӏ quite like reading thгough аn article that can make men and women think.
RispondiEliminaAlso, many thanks fοr allowing foг me to сomment!
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PROVO VERO PIACERE NEL LEGGERE QUESTO ARTICOLO CHE INVITA TUTTI A RIFLETTERE.RINGRAZIO ANCHE PER AVERMI PERMESSO QUESTO COMMENTO.
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