Da bambino il pallone era casa
mia, giocavo sempre a pallone; era quello che facevano tutti i bambini. La
differenza era che giocavo insieme agli altri e giocavo anche da solo; giocavo
ad oltranza: giocavo per strada e giocavo in casa mia e la palla era ogni cosa
che capitava, poteva essere un cencio arrotolato con lo spago come un tappo
di bottiglia. Il mio primo campo di calcio è stato il “Chiancato”, una
piazzetta del paese così chiamata perché lastricata di pietre dette “chianche”
e ogni volta che finivi a terra, eri a rischio di romperti l’osso del collo. Il
nostro pallone era spesso pieno di squarci ricuciti alla buona e lo teneva in
consegna uno di noi, fino a quando i genitori ti davano il permesso di andare
per strada ed era certo che quella palla lavorava fino a sera, quando tua madre
ti intimava di rincasare, “altrimenti, quando viene tuo padre…..!” Le partite
da solo duravano cinque minuti, ma quando ero con gli altri erano lunghe, a
volte duravano anche cinque ore. Il mio idolo era il centravanti argentino
Pedro Manfredini, detto piedone (si diceva che avesse 49 di piede, ma non so
sia vero). Abituato sempre a palle di fortuna, la prima volta che ebbi fra le
mani un vero pallone di cuoio mi emozionai. Andavamo, io ed altri mocciosi
dell’età mia, al campo sportivo San Carlo per guardare i grandi che giocavano e ci mettevamo
dietro la porta che dava le spalle al vecchio convento diroccato e facevamo i
raccattapalle. Nel rimandare in campo le palle recuperate, potevi dare
finalmente un calcio ad un pallone vero! Il Castello, Sant’Angelo, la Piazza,
Sant’Antonio: ogni zona del paese aveva una squadra di calcio e c’erano scontri
accesi in campetti improvvisati nelle
rare zone pianeggianti di un paesino tutto in discesa. Poi c’erano le sfide
della prima squadra a San Carlo con i paesi vicini: Candela, Monteleone,
Delicato; ma gli scontri più sentiti erano i derby Santagata-Accadia, paese
rivale, e qui gli sfottò si sprecavano. Il pallone è stato sempre un compagno
fedele negli anni di scuola, una valvola di sfogo dopo ore di studio e quando
ero in seminario, mi faceva sentire meno lontano da casa. Da maestro ho sempre
favorito il gioco del calcio, sempre nell’ambito di in una sana competizione sportiva e non perdevo occasione per insegnare ai ragazzi a saper gestire i
propri comportamenti sia in caso di vittoria che di eventuale sconfitta. Se lo
insegni al bambino, il ragazzo domani andrà allo stadio con buone intenzioni e
si comporterà in modo tranquillo. Adesso a pallone non gioco più e le partite
le vedo raramente in poltrona, mi rifiuto di fare da spettatore a partite
spesso truccate, giocate da mercenari del calcio, gente che guadagna in un mese
quello che cinquanta operai della Fiat percepiscono in un anno.
Al campo San Carlo l'antico convento non esiste più e con esso sono stati abbattuti tanti ricordi di un'infanzia svanita: la fiera degli animali e la trebbiatura del grano; però si gioca ancora a pallone!. Certo che la modernità non ha memoria! Quando mi capita,
mi fermo volentieri ai campetti dove giocano i bambini, mi sazio a guardare i
ragazzini che corrono gioiosi dietro a una palla e mi rivedo bambino come loro,
quando rincorrevo spensierato una palla ricucita mille volte ed ero felice.
Buona vita!
maestrocastello
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