martedì 13 gennaio 2009

Mio padre.

Mio padre l’ho conosciuto da bambino e non da gesti o da parole; ma da sguardi elementari. L’ho conosciuto meglio quando era assente per lavoro e aspettavo di notte che tornasse; però non gliel’ho fatto mai capire . L’ho conosciuto meglio quando ho camminato nelle sue scarpe, sorriso tra i suoi sorrisi e fatte mie molte delle sue parole. C’era una pianta di gelsi vermigli della fanciullezza, dove potevo inerpicarmi per raccoglier frutti o semplicemente per stare penzoloni, sicuro che mi avrebbe sostenuto. Mio padre era esattamente quella pianta centenaria. E mi ricordo mio padre muratore, in certi mattini di pioggia, costretto in casa a scrutare il cielo, nella speranza che spiovesse all’improvviso e pur con l’animo in subbuglio per la giornata inoperosa; con noi fingeva ugualmente buonumore. Mio padre l’ho rincorso da fanciullo, quando desideravo un mio momento d’attenzione, confuso com’ero in mezzo ai troppi fratelli. Mio padre l’ho raggiunto ch’ero un uomo e pur se avevo un passo più veloce, gli ho sempre camminato dietro. Mio padre l’ho riscoperto quando l’ho perduto ed era una notte di novembre e lui aveva poca voglia di morire. Era come se m’avessero amputato un arto superiore: non potevo più afferrare, non potevo più abbracciare e non potevo asciugare le lacrime del mio immenso dolore. Dopo che ho steso ad asciugare la malinconia, il tempo mi ha restituito il vero volto di mio padre, dove leggo tanta simpatia, bontà da vendere e lealtà che si fa persona. A tutti quelli che l’hanno un po’ vissuto rimarrà il ricordo di una persona veramente degna.

2 commenti:

  1. Il ricordo delle persone care ci pesa, non tanto per la loro mancanza; quanto per quello che non siamo mai riusciti a dirci.
    (gioca)

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  2. le mani piene di calli e le profonde rughe di mio padre sono stati più eloquenti di mille insegnamenti.

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