domenica 3 gennaio 2010

Capire il punto di vista dei bambini.


E’ opinione comune che insegnare a dei bambini sia un fatto abbastanza semplice. Che più si assotttiglia l’età degli adolescenti, più sia facilitato il compito di trasmettere il sapere. Nulla di più sbagliato! Quando ho cominciato questo difficile mestiere pensavo anch’io la stessa cosa, poi ho dovuto fare i conti con una realtà ben diversa. Avevo l’idea che far ripetere concetti, alla lunga venissero assimilati; proprio come avevano fatto con me. Che servisse a qualcosa far eseguire centinaia di esercizi dello stesso tipo o mandare a memoria date ed avvenimenti della storia o imparare poesie “a pappagallo”, senza poi capirne il senso. Questa era la scuola che ho frequentato io, dove si imparava a far le aste, si apprendevano un mucchio di nozioni di cui non capivi il significato e nessuno mai ti spiegava veramente ad usar la “a” con l’acca e la “e” quando va accentata! Con la pratica del mestiere mi sono accorto, ad esempio, della difficoltà che hanno i bambini a passare dal concreto all’astratto; di quanto bisogna lavorare per fa acquisire loro gli automatismi giusti perché si formi un pensiero autonomo, capace di creare un collegamento con la memoria in una situazione definita non abituale. Per capire bambini tra i 7 e 10 anni è necessario conoscere alcuni concetti sulle capacità e differenze di soggetti così giovani e a nulla serve solo tener presenti i livelli cognitivi di Piaget che hai studiato o altri modelli di riferimento, se non riesci poi ad immedesimarti nei ragazzi ed a capirli bene. Lo scolaro ha piena comprensione non delle conoscenze che gli vengono impartite a voce o apprese dai libri; ma di quelle che ha lui stesso conquistato, attraverso una ricerca personale in cui egli sia in grado di esplicare liberamente la sua attività creativa. Basilare poi è il linguaggio usato che deve essere semplice, comprensibile e coinvolgente. Quanti di noi non si sono trascinati, negli anni, dubbi sul significato di certi termini e non avevano il coraggio di domandare spiegazione all’insegnante, per evitare brutte figure. Personalmente, ho avuto dubbi su termini come “ennesimo”, “omonimo”, “il sottoscritto”, “il prossimo tuo” e tanti ancora che ho chiarito solo quando ero più grande. Bisogna essere coinvolgenti e prevenire dubbi nei più timidi, escogitando magari qualche stratagemma, del tipo: “lo sapevate che il vostro maestro, da balmino, era molto timido?” eccetera, eccetera. Evitare assolutamente le ambivalenze. Sarà capitato che ad una domanda dell’insegnante avevate dato la risposta giusta e lui si sia comportato, di proposito, da “mossa errata” e vi abbia chiesto serio: “sei proprio sicuro?” e voi vi siete sentiti morire? Queste ambivalenze sono mortali per i più piccoli, perché non sono in grado di genstirle e perché, in quella fascia di età, hanno bisogno solo di certezze. E che fare se un bambino ha un processo di apprendimento più lento rispetto agli altril’? Lo buttiamo a mare? Purtroppo l’insegnamento tradizionale tendeva ad imporre a tutti gli alunni uno stesso ritmo nell’apprendere e spesso non teneva conto delle leggi psicologiche che governano i meccanismi individuali dei processi di formazione dei concetti… oggi sta al bravo insegnante capire questi meccanismi e rispettare i tempi di ciascuno.
Pensate ancora che sia così facile insegnare ai più piccini?
Buona vita!
Maestrocastello.

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