giovedì 21 gennaio 2010

Lezione di scienza.


I nostri ricordi scolastici legati a questa particolare disciplina, la scienza, non sono gli stessi che abbiamo covato per la matematica. Anche qui, è vero, si faticava a ricordare formule difficili da metabolizzare ed erano spesso finalizzate ad un’interrogazione per mantenere la media del trimestre; ma chi può dimenticare le lezioni di laboratorio che si svolgevano una volta a settimana? Per i più erano due ore di autentica ricreazione( spesso si consumavano scherzi tremendi, quando restavamo al buio per qualche particolare esperimento), altri mostravano un moderato interesse e solo per i “secchioni” rappresentavano due ore di autentica lezione. Per me rimanevano, comunque, le ultime due ore di fila che appesantivano ogni santo venerdì. Solo più tardi avrei compreso l’importanza di questa disciplina per la formazione del pensiero, la validità dei suoi metodi per arrivare ad ogni conoscenza certa. In tutte le culture la scienza è un’alleanza di spiriti liberi che si ribellano contro la tirannide locale che ogni cultura impone ai propri figli e la storia testimonia quanto la ricerca scientifica abbia faticato a guadagnare spazi di libertà contro ogni ideologia politica e religiosa. Abbiamo esempi di scienziati ribelli, perseguitati dal potere politico-religioso di ogni tempo: da Giordano Bruno a Galilei nel Cinquecento e Seicento, da Franklin a Priestley nel Settecento, alle prime generazioni di scienziati giapponesi nell’Ottocento; fino ai più recenti Einstein, Davis e Sakharov del Novecento. Proprio in questa settimana sto leggendo “Lo scienziato come ribelle” di Freeman Dyson. Dyson è un fisico anglo-americano, quasi novantenne che, benchè pacifista, durante la seconda guerra mondiale, lavorò come scenziato civile per l’aviazione inglese e fu l’esperienza che forse lo segnò di più, portando sotto il faro della sua coscienza una serie di conflitti di difficile soluzione. Dyson comprese l’importanza di quella indipendenza o autonomia degli scienziati, di quel loro ribellismo o insofferenza ad ogni vincolo che sono la condizione essenziale per potersi dedicare interamente al loro compito. Il libro ci induce ad alcune riflessioni di non secondaria importanza: mentre dobbiamo adoperarci per assicurare alla ricerca un libero campo di azione, il più ampio possibile; dobbiamo pure ricordare che “non tutto quello che la la scienza può fare è lecito fare…. L’utilizzo delle scoperte scientifiche deve essere controllato, ma non impedito” (Rita Levi-Montalcini). Nell’Ottocento Nobel era tormentato dal pensiero che le sue invenzioni avrebbero potuto essere usate in guerra, per seminare morte; invece di essere adoperate solo per facilitare il lavoro dell’uomo nelle cave, nelle miniere, per scavare gallerie ferroviarie o per rimuovere frane. Aveva tutte le ragioni di temere; infatti, poi sappiamo quante morti ha procurato l’utilizzo, in guerra, della dinamite. Con l’avvento dell’atomica abbiamo poi appurato quanto pericolo rappresenti per l’uomo la scienza al servizio di questo o quel potere politico. Le recenti scoperte in campo biologico e in particolare in quello dell’ingegneria genetica, mentre da un lato ci evidenziano l’enorme potere che l’uomo ha acquisito sulle specie viventi, compresa la specie umana; pongono l’esigenza di forme di controllo che pongano le nuove conoscenze al rispetto delle regole dell’etica.
“L’utilizzo della scienza deve essere controllato, non impedito”. (Levi-Montalcini).
Parola di Nobel!

1 commento:

  1. colotti.giovanni@alice.it22 gennaio 2010 alle ore 06:10

    grazie per la riflessione.....
    un abbraccio

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