martedì 24 maggio 2011

La cultura non sfama


Neet è l'acronimo inglese di "Not in Education, Employment or Training”, cioè "Non lavora, non studia, non si aggiorna", usato da alcuni enti governativi come termine di classificazione. I dati annuali dell’Istat, divulgati quest’oggi, parlano di oltre due milioni di giovani italiani, tra i 15 e 29 anni, che cioè non hanno un impiego, non studiano e non fanno alcun tipo di pratica professionale o apprendistato. Sono inoccupati che nemmeno cercano più un lavoro e che hanno abbandonato completamente gli studi. Essi gravano completamente sulle spalle delle loro famiglie e poiché sono senza esperienza e senza un titolo di studio, sarà molto difficile che  possano occuparsi in futuro; praticamente vanno avanti con la paghetta di mamma e papà e con i lavoretti di fortuna si pagano il telefonino di ultima generazione che ostentano con gli amici. L’ozio , si sa, è l’anticamera del vizio. Ma la colpa non è tutta loro e se pensate a cosa è interessata la politica in questa settimana, troverete una risposta. I nostri politici sono impegnati nei ballottaggi a promettere cose che non verranno mai mantenute. Poltrone, gettoni di presenza e magari mazzette, quando la posta in ballo è alta, il gioco si fa duro ed allora si ricorre ad ogni arma, lecita ed illecita,  compreso il turpiloquio; pur di aver ragione del tuo avversario politico. Ma ritorniamo ai dati Istat, uno dice, faccio  studiare mio figlio, così avrà qualche chance in più degli altri; ma sappiamo che la cultura non sfama. Quasi tutti i lavori sono a tempo, la ricerca è possibile farla solo se vai via dall’Italia e molto spesso i sacrifici economici che tante famiglie affrontano  non ripagano mai le aspettative dei figli, una volta laureati. In un anno le tasse universitarie statali  sono cresciute dell’8%, circa 70 euro all’anno in più per chi già pagava intorno  ai mille euro annui, esclusa la tassa regionale sul diritto allo studio. Come si suol dire, piove sul bagnato. Un posto letto va dai 400 ai 600 euro a studente e poi i testi universitari dai costi esagerati, le fotocopie, la scheda del telefonino, la lavanderia. Abbiamo tralasciato la doccia che la signora ti fa pagare a parte e l’uso dell’asciugacapelli e dovrai pur mangiare: per risparmiare vai avanti a “cappuccini e brioche” del bar sotto casa, “tramezzini al tonno e pomodori” che fanno da pranzo e ogni tanto esageri  concedendoti  una porzione di “lasagna al forno”. Capisci che poi è dura chinare la testa su un libro e, a forza di dieta forzata,  diventi come l’uomo della foto. Devi comunque andare avanti per 4-5 anni  di questa vita  e finalmente arriva il gran giorno che diventi dottore: arrivano i parenti con l’abito buono e li riconosci perché sono chiassosi e hanno la lacrima facile.  E’ l’emozione che li tradisce e li inorgoglisce: pensate un figlio dottore! Ritorni al paese come se avessi vinto alle olimpiadi e sei ignaro dei problemi che ti aspettano: domande, colloqui, concorsi e sono tante le porte che ti sbattono in faccia; finchè un giorno, stanco di farti prendere per i fondelli e succhiare le ultime stille di sangue dei tuoi genitori,  decidi di cambiare aria o se rimani ti adatti magari ad aprire una bottega da ciabattino, anche se sai bene che darai un grande dolore  a chi s’è levato il pane di bocca  per pagarti gli studi.
Buona vita!
maestrocastello

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