Quanti di voi non hanno pigiato almeno una volta sulla tastiera di una macchina da scrivere? Più o meno l’abbiamo fatto tutti, magari su un vecchio cimelio che stava in bella mostra nelle nostre case fino a qualche decennio fa. Molti l’hanno sostituita con il computer, senza rimpianti ed altri, invece, sono rimasti fedeli al vecchio strumento che riporta alla mente vecchi ricordi di gioventù. A casa mia avevamo una Remigton, regalataci da uno zio paterno e questa, poverina, subiva le intemperanze di principianti come me e i miei fratelli; la usavamo più che altro per giocare. Quando ho copiato la tesi di laurea ne ho avuto una a disposizione tutta per me. Era la mitica “lettera 22” della Olivetti, per intenderci, quella stessa con cui Montanelli ha scritto i suoi pezzi per una vita. Mi piaceva quel dolce ticchettio che facevano i tasti quando incontravano il foglio disteso sul rullo, l’odore d’inchiostro che emanava il nastro mentre si srotolava e, meraviglia, il dling che ti segnalava la necessità di andare a capo era addirittura una musica.. E quando avevi memorizzato bene la posizione delle varie lettere e ti accorgevi che andavi sciolto e veloce; era come stare sopra una donna e farci l’amore. La macchina da scrivere è ormai un ricordo, un cimelio per nostalgici. Tant’è vero che l’ultima fabbrica ancora funzionante, in India, ha ora dichiarato la resa ed ha chiuso i battenti. La sua epoca è finita e non sapremo mai se era più giusto dire macchina da scrivere o macchina per scrivere. Una storia durata 150 anni, ma gloriosa: non si contano le fotografie dei maggiori scrittori del secolo scorso intenti a battere sui tasti neri o anneriti di una Olivetti, di una Remington o di una Underwood, come Ernst Hemigway,Indro Montanelli, Pier Paolo Pasolini, Oriana Fallaci. Non mancano altri scrittori che tutt’ora continuano imperterriti a scrivere i loro capolavori, usando ancora una macchina da scrivere, come Alberto Arbasino, Raffaele La Capria, Gillo Dorfles, Sebastiano Vassalli e Guido Ceronetti. E’ la fine di un’epoca fatta di segretarie e di ticchettii metallici, di carta carbone e di nastrini bicolore che sporcavano le dita. Ora si risveglierà la passione dei collezionisti, unita al brivido per la speculazione e quei vecchi cimeli che non usa più nessuno diventeranno oggetto da mercato, con valutazione in crescita. I moderni programmi di videoscrittura ci avranno pure affrancato dalla necessità di complicate correzioni con il bianchetto, sostituite dal tasto “canc”; ma rimpiangeremo pur sempre la vecchia macchina da scrivere, il suo contatto fisico; la sua musicalità. In questi anni quanti oggetti sono finiti in soffitta: dal telefono a disco al mangianastri a valigetta, dal Walkman alla stampante ad aghi, dalla radiolina a transistor al televosore con tubo catodico; ma la “lettera 22”, quella, avrà sempre un posto preferito nel cantuccio dei miei ricordi.
lunedì 30 maggio 2011
“Lettera 22”, addio!
Buona vita! maestrocastello
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