mercoledì 26 giugno 2013

C'era una volta il paese.



E’ una fortuna nascere in un piccolo paese, volergli bene, proiettare nel grande mondo tutte le piccole cose che hai imparato ed amato lì, tratti semplici di vita che aiutano a sverniciare la tua modernità incivile di oggi. Ti capita poi, come la scorsa domenica, di imbatterti in altri migranti come te, partiti un giorno e non ancora tornati, e sciorini brevi memorie rivolte all’infanzia, alla prima giovinezza, vissuta semplicemente, intensamente e con gioia nel paese che hai amato e di com’era una volta il tuo paese, dove passavi le giornate che allora erano lunghissime, interminabili; così come lungo era il cammino che ti stava davanti e dove tutto ubbidiva a regole semplici, naturali e rispondenti al lento scorrere della vita di un tempo.
- Sei stato più al paese?
- Io ci torno ogni tanto, ma è tutto cambiato; pensa c’è pure il semaforo!
- Il semaforo?…. Per i muli?
- Ma no, muli non ci sono più, è per le macchine!
Chi è partito conserva una propria immagine del paese, quella di un tempo e la custodisce gelosamente stampata nella mente. Egli non gradisce modernismi che facciano scempio del territorio e facciano dire: c’era una volta il paese. I paesi sono a rischio di morte, è vero; ma la modernità non salverà zone incontaminate come le nostre dalla morte; bisogna piuttosto pensare ad un nuovo modo di vivere i luoghi, improntato ad un’idea di comunità inclusiva del respiro degli uomini e dell’ambiente. Pensare a stili di vita che prevedano più cultura e meno cemento, prodotti tipici da consumarsi non solo nelle sagre, canti e teatro al posto delle betoniere. Riportare gli animali nei paesi, riassaporare il gusto di bere un uovo fresco che nelle città se lo sognano, coltivare un pezzo di terra, imparare ad impagliare una sedia, passare alcune ore all’aria aperta ascoltando un anziano, piantare alberi veri al posto di quelle odiose pale di cemento che offendono la vista. Pale eoliche, impianti a biomasse, ascensori, inceneritori lasciamoli ad altri, queste terre lasciamole magari inoperose, senza costruirci case, dove non si taglia neppure la legna; dei polmoni verdi da custodire gelosamente, dove stenderci pancia all’aria con i nostri figli ed insegnare loro a distinguere il nome delle piante o il verso degli uccelli. Il futuro di questi luoghi confida nell’intreccio sapiente di azioni personali e civili che coinvolgono bravi amministratori e  bravi cittadini. La felicità è un minestrone di politica, cultura, economia, arte e poesia e si costruisce insieme; da soli non si va da nessuna parte. 
Buona vita!
maestrocastello

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