E’
una fortuna nascere in un piccolo paese, volergli bene, proiettare nel grande
mondo tutte le piccole cose che hai imparato ed amato lì, tratti semplici di
vita che aiutano a sverniciare la tua modernità incivile di oggi. Ti capita
poi, come la scorsa domenica, di imbatterti in altri migranti come te, partiti
un giorno e non ancora tornati, e sciorini brevi memorie rivolte all’infanzia,
alla prima giovinezza, vissuta semplicemente, intensamente e con gioia nel
paese che hai amato e di com’era una volta il tuo paese, dove passavi le
giornate che allora erano lunghissime, interminabili; così come lungo era il
cammino che ti stava davanti e dove tutto ubbidiva a regole semplici, naturali
e rispondenti al lento scorrere della vita di un tempo.
-
Sei stato più al paese?
-
Io ci torno ogni tanto, ma è tutto cambiato; pensa c’è pure il semaforo!
-
Il semaforo?…. Per i muli?
-
Ma no, muli non ci sono più, è per le macchine!
Chi
è partito conserva una propria immagine del paese, quella di un tempo e la
custodisce gelosamente stampata nella mente. Egli non gradisce modernismi che
facciano scempio del territorio e facciano dire: c’era una volta il paese. I
paesi sono a rischio di morte, è vero; ma la modernità non salverà zone
incontaminate come le nostre dalla morte; bisogna piuttosto pensare ad un nuovo
modo di vivere i luoghi, improntato ad un’idea di comunità inclusiva del
respiro degli uomini e dell’ambiente. Pensare a stili di vita che prevedano più
cultura e meno cemento, prodotti tipici da consumarsi non solo nelle sagre,
canti e teatro al posto delle betoniere. Riportare gli animali nei paesi,
riassaporare il gusto di bere un uovo fresco che nelle città se lo sognano,
coltivare un pezzo di terra, imparare ad impagliare una sedia, passare alcune
ore all’aria aperta ascoltando un anziano, piantare alberi veri al posto di quelle odiose pale di cemento che offendono la vista. Pale eoliche, impianti a
biomasse, ascensori, inceneritori lasciamoli ad altri, queste terre lasciamole
magari inoperose, senza costruirci case, dove non si taglia neppure la legna;
dei polmoni verdi da custodire gelosamente, dove stenderci pancia all’aria con
i nostri figli ed insegnare loro a distinguere il nome delle piante o il verso
degli uccelli. Il futuro di questi luoghi confida nell’intreccio sapiente di
azioni personali e civili che coinvolgono bravi amministratori e bravi cittadini. La felicità è un minestrone
di politica, cultura, economia, arte e poesia e si costruisce insieme; da soli
non si va da nessuna parte.
Buona
vita!
maestrocastello
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