lunedì 23 settembre 2013

Battuta di caccia nel mio paese.

La foto è di Enzo Vitagliano
E’ mattina presto e mi aggiro fra le strade del mio paese, sembro un cacciatore ad una battuta di caccia; solo che al posto del fucile imbraccio una macchina fotografica digitale che nemmeno so usare tanto bene. Sarà la nebbia di questo inizio dicembre, saranno le strade tutte deserte o le tante porte tutte serrate che mi convinco che la mia sarà la caccia della desolazione. Il mio paese è un vero labirinto, ma io ne conosco ogni angolo; ogni pietra di questo luogo mi dice qualcosa: le strade che s’inerpicano in alto come serpenti, ora si restringono fino a diventare strettoie semibuie che noi chiamiamo trasonne e subito dopo ridiventano strade che s’infilano tra le case e sbucano tutte al castello. I primi dodici anni della mia vita li ho trascorsi qui a correre  e giocare, quando le strade appartenevano ancora ai bambini. Questi spazi una volta erano gremiti di gente, qui c’era vita, il tempo scorreva senza fretta ed io, sempre scalzo, giocavo e crescevo, crescevo e giocavo dalla mattina alla sera a qualsiasi cosa: a pallone, a trombone, a cavalletto, a bottoni, a semi di cachi, con semplici sassetti, con tappi di bottiglia schiacciati, allo schiaffo del soldato e ricordo che ci andavamo belli pesanti. Mentre m’inerpico per una salita più ripida i miei pensieri sono distratti dal rumore che fanno le mie scarpe nuove sull’acciottolato, me le guardo e ripenso a quando le avevo piene di buchi o non le avevo affatto e andavo scalzo. Guardo quelle case vuote e cerco di abbinarle al ricordo di chi le abitava un tempo e penso: chissà in quale parte del mondo è finita questa gente. Mi accorgo che inseguo le mie visioni, le non presenze; il mio paese ideale è fatto di assenze, di quello che non c’è: sono sparite le persone che mi davano gioia, non vedo nemmeno un cane; strano, eppure questo era il paese dei cani, una volta ce n’erano tanti; forse è troppo presto anche per loro. Solo le case sono sempre al loro posto, magari infreddolite ed immalinconite  mentre aspettano il ritorno di Ulisse, tante hanno cambiato il look coi soldi del terremoto: devo dire, in confidenza, che le preferivo com' erano prima, tutte scrostate, ma palpitanti di vita. Pure le strade sono sempre al loro posto, anche se sono orfane dei sassi di un tempo, caratteristica e vanto di questo paese che insieme ai sassi delle sue abitazioni le davano quel tratto medievale che gli appartiene: amministrazioni di barbari moderni che non hanno rispetto per la storia e per le cose passate pensarono bene che andavano rimosse. Hanno rimosso le pietre, ma nessuno ha pensato a qualche corrimano in più per gli anziani. Arrivo, tutto accaldato, a piazza Chiancato con l’idea di dissetarmi al vecchio fontanino e mi accorgo che hanno levato pure quello;  non mi resta che ripescarlo nell’archivio dei miei ricordi, quando facevo la fila per la provvista dell’acqua della mia famiglia. Ora che ci penso, non ne ho visti nessuno in giro, vuoi vedere che questi sapientoni hanno rimosso tutti fontanini? Già, noi siamo come i paesi africani, sempre col problema dell'acqua e proprio in estate quando arrivano i turisti. La Madonnina, per fortuna, è sempre al solito posto, all’angolo in alto, a vegliare sui pochi coraggiosi che sono rimasti e con un occhio benevolo rivolto ai tanti figli che hanno dovuto far le valige e andarsene. Anche se reputo che la luce non sia ideale, mi decido finalmente a fare qualche scatto con la mia macchinetta nuova per dare un senso a questa mattinata. Punto via Fratelli Bandiera, scatto e controllo subito il risultato: rimango sorpreso dalla bellezza della foto e allora prendo coraggio e dò inizio a tutta una serie di scatti: il Chiancato, Piazza Comune Vecchio, Via Monteforte; fotografo case, tetti, portali, trasonne, sassi, vasi di fiori davanti alle porte e un vecchio che sta curiosando dietro una finestrella bassa bassa. Le foto sono una più bella dell’altra. Non è solo merito della macchinetta, ma dipende anche dalla bellezza di questi posti che sono unici e sono miei. Mi porto al castello imperiale che palpita di storia: Svevi, Normanni ed Angioini; quanti l'hanno abitato a suo tempo: ora è stata una fortezza inattaccabile, ora una residenza regale  e piena di fasto di cui non rimangono che le sole mura; mobili e suppellettili sono spariti nel nulla. Mi porto proprio in cima alla torre, come facevo da bambino, e rivedo Sant'Agata avvolta nel freddo e nella nebbia che si va ormai diradando,  faccio qualche  foto da lontano ad  un panorama che toglie il respiro per quant'è bello e il mio sguardo si perde tra il grigio dei tetti, il marrone vivo-striato dei tratti di terra e il verde sfumato che tinteggia il Monte della Croce: che fantasia di colori!. Dopo qualche scatto, ripongo la macchinetta e rimango in silenzio a guardare il mio paese ancora addormentato e  mi par di sentire il suo cuore che pulsa piano sotto le case di pietra e penso alla mia vita di città, alle sue accelerazioni, ai rumori, al traffico cittadino, allo spavento che ci fanno  ora  le metropoli che ci ospitano e che vanno perdendo ogni fisionomia di luogo abitativo. Ermanno Olmi dice che rendere umana una metropoli, è come voler suonare il violino nelle officine dell'Ilva. Chi lo sentirebbe? Qui, invece,  è diverso: si respira un tempo magico, quasi sospeso;  ma pieno di vita e fuori  dal mondo inutile delle convenzioni  e lo leggi nel sorriso schietto della gente che ti saluta per primo anche se non ti conosce. Qui si vive una vita tranquilla, pur nella difficoltà del clima e delle distanze. In città, ad esempio,  accogliamo la neve come un evento utile solo a fare foto da mettere su facebook, mentre qui è un fatto normale che segnala il naturale avvicendarsi delle stagioni dell'anno e nessuno se ne  lamenta più di tanto; anzi i vecchi ricordano l'adagio ai più giovani:"sotto la neve pane, sotto l'acqua fame"  e  la neve viene quasi invocata come una necessità. Qui senti ancora il respiro ecologico che dovrebbe avere la nostra vita, quello stesso che si va perdendo in città, l'umanesimo proprio delle montagne che ti dà ancora l'idea di una comunità dose si coniugano bene sentimenti ed ambiente. Toh, sta spuntando il sole che sgomita in mezzo alle nuvole! Mi muovo per scendere in piazza, voglio incontrare
gente; chissà se mi riconoscerà qualcuno!
Buona vita!

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