Durante l’estate appena trascorsa mi è
capitato di leggere questo libretto in forma digitale che mi ha incuriosito e
divertito. Sono dieci brevi favole che hanno tutte come soggetto, affatto mascherato,
il Cavaliere d’Italia per antonomasia. Lo scrittore siciliano ha una dichiarata
avversione per il Cavaliere e non lo nasconde: “la mia avversione per
Berlusconi è totale – dice ad un giornalista – Attenzione, però – subito
precisa – è un’avversione limitata a lui, di persona pirsonalmente”. Per
esprimere il proprio pensiero, Camilleri pensa bene di farlo attraverso il
linguaggio metaforico delle favole, lo stesso che usavano Esopo e Fedro. Fra
realtà e fantasia, il mondo favolistico di Camilleri è caratterizzato da uno
spiccato senso dell’umorismo che è visibile anche negli episodi di Montalbano
anche grazie ai tanti termini dialettali con cui farcisce i racconti. La
metafora in lui è blanda, forse perché vuole essere sicuro che il lettore
capisca bene di chi si sta parlando; ma non è mai sarcasmo, magari semplice
satira politica e sociale. Il suo è un invito a guardare la realtà con la
maturità del distacco. Pensavo di proporvene qualcuna di tanto in tanto, sempre
che a voi possa fare piacere.
Buona vita!
…………….
Il pelo, non il vizio.
di Andrea Camilleri.
In Iliata ci fu un Cavaliere che, in pochi
anni, accumulò una fortuna immensa. Un giorno alcuni magistrati cominciarono ad
interessarsi dei suoi affari. E cominciarono a piovergli addosso accuse di falso,
corruzione, concussione, evasione fiscale ed altro ancora. Arrivarono le prime
sentenze di condanna. Il Cavaliere, attraverso i suoi giornali, le sue
televisioni, i suoi deputati (aveva fondato un partito), scatenò una violenta
campagna contro i magistrati che indagavano su di lui, accusandoli di
esercitare una giustizia di parte. Lui stesso si definì un perseguitato
politico. Tanto fece e tanto disse che molti iliatesi gli credettero. Poi un
giorno (come capita e capiterà a tutti) morì. Nell’aldilà venne fatto trasìre
in una càmmara disadorna. C’era un tavolino malandato darré il quale, sopra una
seggia di paglia, stava assettato un omino trasandato.
“Tu
sei il cavaliere?”- spiò l’omino.
“Mi consenta” - fece il Cavaliere irritato
per quella familiarità - “Mi dica prima di tutto chi è lei”
“Io sono il Giudice Supremo”, disse a bassa
voce l’omino.
“E io la ricuso!”, gridò pronto il Cavaliere
che aveva perso tutto il pelo, la carne, le ossa; ma non il vizio.
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