martedì 24 settembre 2013

Dieci favole politicamente scorrette


Durante l’estate appena trascorsa mi è capitato di leggere questo libretto in forma digitale che mi ha incuriosito e divertito. Sono dieci brevi favole che hanno tutte come soggetto, affatto mascherato, il Cavaliere d’Italia per antonomasia. Lo scrittore siciliano ha una dichiarata avversione per il Cavaliere e non lo nasconde: “la mia avversione per Berlusconi è totale – dice ad un giornalista – Attenzione, però – subito precisa – è un’avversione limitata a lui, di persona pirsonalmente”. Per esprimere il proprio pensiero, Camilleri pensa bene di farlo attraverso il linguaggio metaforico delle favole, lo stesso che usavano Esopo e Fedro. Fra realtà e fantasia, il mondo favolistico di Camilleri è caratterizzato da uno spiccato senso dell’umorismo che è visibile anche negli episodi di Montalbano anche grazie ai tanti termini dialettali con cui farcisce i racconti. La metafora in lui è blanda, forse perché vuole essere sicuro che il lettore capisca bene di chi si sta parlando; ma non è mai sarcasmo, magari semplice satira politica e sociale. Il suo è un invito a guardare la realtà con la maturità del distacco. Pensavo di proporvene qualcuna di tanto in tanto, sempre che a voi possa fare piacere.
Buona vita!
…………….
Il pelo, non il vizio.
di Andrea Camilleri.
In Iliata ci fu un Cavaliere che, in pochi anni, accumulò una fortuna immensa. Un giorno alcuni magistrati cominciarono ad interessarsi dei suoi affari. E cominciarono a piovergli addosso accuse di falso, corruzione, concussione, evasione fiscale ed altro ancora. Arrivarono le prime sentenze di condanna. Il Cavaliere, attraverso i suoi giornali, le sue televisioni, i suoi deputati (aveva fondato un partito), scatenò una violenta campagna contro i magistrati che indagavano su di lui, accusandoli di esercitare una giustizia di parte. Lui stesso si definì un perseguitato politico. Tanto fece e tanto disse che molti iliatesi gli credettero. Poi un giorno (come capita e capiterà a tutti) morì. Nell’aldilà venne fatto trasìre in una càmmara disadorna. C’era un tavolino malandato darré il quale, sopra una seggia di paglia, stava assettato un omino trasandato.
 “Tu sei il cavaliere?”- spiò l’omino.
“Mi consenta” - fece il Cavaliere irritato per quella familiarità - “Mi dica prima di tutto chi è lei”
“Io sono il Giudice Supremo”, disse a bassa voce l’omino.
“E io la ricuso!”, gridò pronto il Cavaliere che aveva perso tutto il pelo, la carne, le ossa; ma non il vizio.

N.B: “Iliata” sta per Italia e “iliatesi” sta per italiani.

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