A poche
settimane dalla scomparsa di Alberto Bevilacqua, ci lascia un altro grande della
letteratura italiana: Carlo Castellaneta. Di padre pugliese, Castellaneta è nato nel '30 a Milano, città a cui a dedicato ben 18 romanzi. Scrittore di narrativa e giornalista, è autore di numerosi romanzi di successi, tradotti in varie lingue. Mi piace
ricordarlo con un breve estratto di un suo lavoro intitolato “Alla ricerca di
una vita possibile”, molto attuale e molto significativo che invita l'uomo di oggi a
riflettere.
Buona vita!
Alla ricerca di una vita possibile
di Carlo Castellaneta
di Carlo Castellaneta
Ho sempre pensato, e continuo a pensare, che alla fine della vita sapremo
di noi stessi, nel migliore dei casi, l'ottanta per cento di quanto ci serviva
per essere felici. Perché nell'altro venti per cento ci sono tutte le
contraddizioni irrisolte che ci siamo portati dietro fino all'ultimo giorno, i
dubbi, le paure, le illusioni che ci hanno accompagnato dall'infanzia alla
vecchiaia, intrecciati in modo così complesso da non riuscire mai a venirne a
capo.
Sono voci esterne, molto spesso futili, che però non possiamo fare a meno
di ascoltare, e che mettono in dubbio le
certezze del giorno prima.
E se andassi a vivere in campagna? E se tornassi a stabilirmi in città? E
perché continuo a pensare a quella donna che conosco appena? Oppure è il lavoro
che non mi dà più soddisfazione? E a chi potrei confidare questa inquietudine?
Così si agitano dentro di noi le passioni più diverse, a volte in contrasto
l'una con l'altra.
Potrei fare un figlio. Oppure lasciare il lavoro e girare il mondo. Dare un
senso alla mia vita impegnandomi nel volontariato o magari farmi un’ amante.
Paradossalmente siamo immuni da queste suggestioni quando siamo preoccupati
da un problema serio, economico o di salute; altrimenti la mente non cessa di
inseguire le sue chimere.
Comunque, quale che sia il nostro comportamento, passivo o attivo,
continuiamo a navigare a vista, senza carte né strumenti di bordo, dando
piccoli colpi di timone per correggere la rotta appena avvistiamo qualche
scoglio.
Ma siamo sicuri che sia questo piccolo cabotaggio la vita che abbiamo
vagheggiato da giovani? Cioè quando sognavamo le grandi traversate?
L'usa e getta che la società ci impone come modello ci lascia alla fine con
un pugno di mosche. Questo lo sappiamo, ma senza cadere in un rifiuto totale,
che sarebbe irrealizzabile, sentiamo tuttavia un bisogno di certezze che diano
più senso alla vita.
Non esistono nella vita istruzioni per l'uso…..
così consumiamo le nostre giornate spendendo quel poco o tanto di coraggio
che abbiamo unicamente per sopravvivere, senza pensare a come rinnovarci, ma
con la oscura cognizione di uno spreco, cercando qualche consolazione nelle
vacanze, in un viaggio, nel cambiare l'automobile, nel cercare una casa in
campagna, sapendo benissimo che l'appagamento sarà solo temporaneo, e altri
desideri sopravverranno.
A questo punto, come salvarci dal circolo vizioso dei bisogni insoddisfatti
e dei falsi bisogni?
Probabilmente dovremmo far nostro l'insegnamento di Fromm: che essere è più
importante che avere.
Ma, aggiungo io, imparare anche (e insegnarlo ai nostri figli cresciuti
nella civiltà del consumismo) che desiderare è più importante che avere. Anzi è
il modo più sicuro per sentirsi vivi e apprezzare le cose che abbiamo, dopo che
siamo riusciti a ottenerle.
In fondo, se ci pensiamo, la vera felicità consiste nella soddisfazione di
aver raggiunto un traguardo, per modesto che sia, con le nostre sole forze,
attingendo a quell'energia latente che sonnecchia pigra dentro di noi.
E, se mi è consentita una piccola formula, nell'accettare i nostri limiti
con maggior consapevolezza.
Forse la sola risposta agli interrogativi che ci assillano è : impegnarsi a
costruire, senza temere di dovere in futuro demolire. Dare amore senza
aspettarsi di riceverne in eguale misura. Costruire affetti, amicizie,
tenerezza. Qualcosa che non si compera, qualcosa su cui poter contare.
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