mercoledì 4 febbraio 2009

"Non era un ragazzo, era un marocchino."

E’ trascorso appena un mese da quando, alla vigilia del nuovo anno, ci siamo scambiati gli auguri di un futuro colmo di cose positive. Ma eccoci invece a fare il bilancio di un primo tratto di questo duemilanove che più negativo non potevamo aspettarci per fatti di guerra, violenze da stupro, atti di xenofobia o giustizia fai da te. Da qualche parte si afferma che il proliferare di mezzi di comunicazione sempre più veloci amplificano fatti di cronaca che sono sempre avvenuti e proprio per la loro maggiore eco ci sembrano di maggiore gravità. Penso comunque che l’aggressione all’indiano di Nettuno da parte di giovanissimi che lo hanno cosparso di benzina, dandogli fuoco sulla panchina di una stazione ferroviaria, sia di una gravità tale che merita perlomeno qualche nostra riflessione di approfondimento. Ci chiediamo come mai giovanissimi di appena sedici anni stiano ancora in giro alle quattro del mattino a farsi di alcool e di droga e pensino bene di concludere la nottata dando fuoco ad un altro essere umano che ha la sola colpa di trovarsi ad un’ora sbagliata nel posto sbagliato? Come mai i loro amici, anche loro giovanissimi, quando vengono intervistati dichiarano candidamente : “...non era un ragazzo, era un marocchino”; come se i marocchini non fossero esseri umani? Come mai la politica, tutta presa in questi giorni nella discussione parlamentare sullo sbarramento al 4%, non stia valutando nel modo giusto la portata di fatti così gravi? Come mai le famiglie ripetono sempre che i figli sono incapaci degli atti che invece hanno commesso? Come mai si rimanda la soluzione di ogni problema dei giovani sempre alla scuola? Si sta alzando un grande polverone sulla presenza in Italia degli extracomunitari a cui siamo soliti addossare gran parte degli episodi di criminalità; quando invece i fatti recenti ci dimostrano che anche certi ragazzi nostrani se la cavano benissimo in episodi di ordinaria follia. A cosa serve invocare le sole misure forti da parte delle forze dell’ordine che non possono fare da balia a ciascuno dei nostri ragazzi. Occorrerebbe, invece, il contributo di tutti per educare diversamente i giovani, per colmare il deserto di valori che hanno dentro l'animo, inculcando loro dei sani principi civili e morali, fondati sul rispetto della persona di qualsiasi estrazione sociale, razza o credo religioso. Cosa possiamo aspettarci dalla politica nostrana, fatta di barricate, del muro contro muro, di proclami e di false promesse; quando personagi di primo piano assumono sempre più spesso posizioni radicali che istigano la gente a fare oggi la guerra agli immigrati e domani a boicottare i negozi degli ebrei; invece di diffondere tra i giovani la cultura del dialogo per risolvere ogni problema civilmente? Su quella panchina dormiva casualmente un ragazzo indiano, ma poteva essere un marocchino o un barbone italiano; non cambiava la gravità dell'offesa fatta alla dignità della persona. Perciò è solo pretesto buttarla tutta sul razzismo. I giovani sono figli di questa società malata e ne stiamo pagando le conseguenze. La famiglia deve riappropriarsi del suo ruolo storico di preparare il terreno fecondo nel fanciullo, in modo che gli insegnamenti successivi dell’istituzione scolastica non restino solo chiacchiere buttate al vento; ma contribuiscano a seminare dei valori, a far germogliare l’uomo capace di vivere in un mondo suscettibile di continui cambiamenti. Va educata la società tutta a riconsiderare un percorso che metta al centro la persona umana come valore imprescindibile da curare e da salvaguardare, se vogliamo conservare la speranza di un mondo dove la civile convivenza, il dialogo, la tolleranza, il rispetto dell’altrui pensiero abbiano regolare cittadinanza.

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