giovedì 14 ottobre 2010

davanti al mio povero.


Era usuale vedere un tempo storpi o barboni chiedere l’elemosina sul sagrato delle chiese, mentre adesso è facile, durante i normali spostamenti quotidiani, imbattersi in mendicanti, barboni e zingari che ci chiedono qualche moneta per strada, ai semafori, davanti ai supermercati e perfino sulla metropolitana. Per suscitare ulteriore compassione vengono messi in risalto difetti fisici o mandati per strada gente scalza, cenciosi o addirittura bambini. Molti mostrano indifferenza o fastidio, ma la domanda che si pongono in tanti è: sarà un povero vero o è uno che ha trovato un metodo comodo per poter sbarcare il lunario? Magari i soldi gli servono per bere, o addirittura si droga! A questo proposito, ho appuntato una riflessione presa dall’”Avvenire”, un giornale di area cattolica. "Come spende il denaro (poco) che gli do? Se lo beve appena scende le scale? Gli serve per l'eroina o per un po' di neve bastarda, alla portata delle sue tasche? Neppure è improbabile che l'elemosina vada almeno in parte a dei figli bambini. Io una cosa so per certo: non posso fare domande. Ogni volta che qualcuno mi chiede l'elemosina ho davanti a me il mio povero: di quale povertà si tratti non mi riguarda. Non sono chiamato a premiarla né a punirla: non spetta a me dare voti agli affanni di una vita (che del resto non conosco)". (Salvatore Mannuzzu - Avvenire, 28 agosto 2010). Il termine elemosina deriva dal greco e significa “ho compassione” e diversamente dal dono che prevede uno scambio tra pari, chi chiede l’elemosina si pone in una condizione di sottomissione; perciò chi trasferisce qualche spiccio nelle mani del meno fortunato si sentirà comunque appagato di aver risposto positivamente alla richiesta di un suo simile, sia che la fa con il cuore, sia solo perchè viene riconosciuto come abbiente. Se non crea problemi è giusto fare elemosina, senza porsi domande; altrimenti diventa un problema ed è meglio non farla. Certo non possiamo risolvere i problemi di tutti quelli che incontriamo, ma non dobbiamo nemmeno restare totalmente indifferenti, perché tra tante mani stese si nasconde la vera povertà. Non serve molto, a volte basta anche un sorriso o una buona parola; l’importante è donare. L’incontro del cristiano dovrebbe lasciare sempre una scia positiva. Basta un piccolo gesto, perché è la stretta di mano che domani può diventare un bacio sulla fronte (M. Rossato); l’importante è donare. “Io ho quel che ho donato!” diceva Teresa di Calcutta. Donare è amore e a non farlo, anche se il conto corrente è cospicuo, diventiamo poveri dentro. Ho pescato dalla rete questa eloquente storiella sul dono d’amore: Era il periodo dei regali di Natale e due ragazzi che si amavano tanto erano poveri in canna e non avevano i soldi per farsi un vero regalo. Il ragazzo pensò di barattare l’antico orologio che gli aveva donato suo padre, mentre la giovane avrebbe sacrificato la lunga chioma, pur di trovare un dono per il suo amato. Quando giunse la sera, si sorrisero a vicenda, poiché lui aveva barattato il suo antico orologio con un pettine d’avorio e lei aveva tagliato i suoi lunghi capelli per una catenina da orologio. Si abbracciarono, ricchi l’uno dell’altra, come mai stati prima. Non importa ciò che regali, basta metterci il cuore.
Buona vita!
maestrocastello.

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