mercoledì 2 febbraio 2011

L'unità d'Italia si chiama pastasciutta.

Uniti a tavola.
In queste settimane scorre uno spot televisivo sull’unità d’Italia che mostra gente   parlare dialetti stretti e impossibili da decifrare, lasciando allibiti chi li ascolta. Fortunatamente, però, siamo italiani e specie quando mettiamo i piedi sotto la  tavola ci comprendiamo benissimo e possiamo viaggiare fra le nostre regioni semplicemente cambiando il piatto di portata.  Per quanto  siamo poco attaccati all'amor di patria, è innegabile che, culinariamente parlando, siamo nati in una terra fortunata. Cucinare non è poi tutta questa difficoltà, ma è incredibile quanto ciò riesca male ad anglosassoni e tedeschi, se si esclude una certa abilità nel barbecue e nell’aprire scatolette di cibi preconfezionati da riscaldare al microonde. 
La nostra grande fortuna, specie quando ci si confronta con ospiti stranieri, è la pasta. Come dice Cesare Marchi:“L’unità d’Italia sognata dai padri del Risorgimento oggi si chiama pastasciutta, per essa non s’è versato molto sangue; ma molta pummarola”. La pasta è un piatto facilissimo da preparare anche per uno straniero, figurarsi per noi italiani, di qualunque regione, che siamo maestri di scienza in cucina. E poi, basta seguire le istruzioni sulla confezione, mica è un segreto di stato! Anche se ognuno di noi ha sempre in serbo qualche trucchetto per dare a questo o quel piatto un certo tocco personale. Si può ben dire che l’arte della cucina italiana ha contribuito all’unificazione dello Stivale più del libro “Cuore” o degli stessi  “Promessi Sposi” e sapete perché? Leggere era una cosa da ricchi, che all’epoca lo facevano solo una sparuta minoranza; mentre soddisfare il palato lo facevano  sia i ricchi che i poveri,  anche se i poveri in forma minore. 
Prima del 1860 i maccheroni erano conosciuti solo a Napoli, ma dopo l’impresa dei Mille, pasta e pomodori percorsero trionfalmente tutta la penisola, ricevendo una standing ovation dai cittadini di ogni regione, man mano che restavano affascinati da questo piatto di origine araba. Prima del 1600 la cucina italiana era così povera che i Lombardi erano chiamati “mangiarape” e i Napoletani “mangiafoglie” e solo dopo il 1600 la cucina napoletana compì la rivoluzione culinaria che portò a sostituire  carme e verdure con un bel piatto di maccheroni conditi con formaggio che permisero alla città di Masaniello di poter sopravvivere anche in periodi di crisi. 
Prima dell’unità d’Italia la nostra cucina subiva le influenze di quella straniera e soprattutto francese. Nel “gattopardo” il principe di Salina decide di far servire un pasticcio di maccheroni che pare abbia avuto molto successo.  Lo scrittore catanese Federico De Roberto racconta che i deputati italiani, subito dopo l’unificazione, mangiando vermicelli alle vongole, discutono sulla necessità di unificare le cucine italiane e concordano che i maccheroni, a buon diritto, simboleggiano un pranzo italiano per eccellenza. 
La pasta che prima si produceva solo manualmente, verso il 1880 assurse a livello industriale, grazie all’introduzione di nuovi macchinari.  Solo a Torre Annunziata esistevano 54 pastifici con diecimila operai addetti alla produzione. Anche altre regioni cominciarono a produrre pasta, come la ditta Agnesi di Genova,  che inventò l’imballaggio che permise l’esportazione di pasta italiana in tutti i paesi del mondo. Spaghetti, pasta e pizza sono sinonimo di italianità nel mondo e rafforzano l’identità nazionale, proprio come la moda di Valentino e di Armani che sono il vanto del made in italy all’estero. Intanto gli italiani di nord e sud continuano a litigare fra loro. 
Che dire: speriamo che là dove non riescono a metterci d’accordo le parole, potrà riuscirci un bel piatto di vermicelli fumanti.
Buona vita!
maestrocastello

Lasagne al forno

C'è solo l'imbarazzo della scelta.
pasta fatta in casa con pomodoro e basilico

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