Alla fine mi sono rassegnato ed ho pagato il canone tivù. Lo so, sono un codardo che non ama ricevere lettere minatorie dalla direzione Rai di Torino. Pagare il canone è un obbligo, dice lo spot! E l’ho capitooo! Questo spot angosciante mi ha perseguitato per un mese: prima stile “libro cuore”, con bei personaggi del passato; poi tassativo, stile “qui radio Londra!”. E’ paradossale che l’azienda di Viale Mazzini per realizzare questa trovata, l’abbia dovuta commissionare all’agenzia esterna McCann Erickson per circa 300 mila euro di spesa; quando dispone di strutture interne che stipendia regolarmente, atte proprio a produrre spot; evidentemente preferisce lo spreco.Voi direte che è solo una goccia nel mare di spese legate all’operazione canone, visto che solo il recapito dei bollettini postali a 16 milioni di italiani costa alla Rai 2.8 milioni di euro. Possibile che a nessuno venga un’idea per evitare tale spreco?“ E io pago!” diceva Totò. Avrete visto tutti la pagliacciata dell’altra sera, allestita a “Porta a porta”, per sottolineare i programmi di alto profilo che la Rai manderebbe in onda. Tolto Piero Angela, l’unico che ne aveva titolo, tutti gli altri che si arrampicavano sugli specchi per giustificare questa tassa, per un servizio, a detta loro, di qualità. Le lamentele della gente verso la Rai venivano giustificate con l’eterogeneità dei gusti del telespettatore che si lamenterebbe perché non trova molti format che più gradisce. Io mi lamento, invece, per ciò che la Rai trasmette e che vorrebbe far passare per prodotto culturale. Il canone giornaliero al costo di una rosetta, a cui accennava Vespa, altro non è che il prezzo per pagare i lauti stipendi di questi signori (Fazio percepisce 5300 euro giornalieri! Carlo Conti 7-8000 euro per ogni puntata dell’Eredità). Dicevamo trenta centesimi il costo della rosetta ed è ciò che paghiamo ogni mattina col canone, per una “dose stupefacente” quotidiana che ci addomestica il cervello e lo rende in grado di sorbirsi tanti programmi spazzatura, dove omicidi di ragazze sono adattati a telenovela, dove vengono allestiti processi mediatici collettivi per il malcapitato di turno e fanno parlare sempre quelli che faticano ad abbinare il congiuntivo ad un condizionale. Per brevità, tralascio di dire che la tivù che paghiamo col canone è da sempre stata un bottino in mano ai politici di ogni parte politica che utilizzano a scopi elettorali o per sistemare il parente. La famiglia non educa, perché ha altro da fare? Niente paura, ora c’è mamma tivù che tiene incollati i bambini allo schermo e li svezza col latte della Lola.
Sì, la tivù è proprio un bisogno, ma un bisogno che scappa!
Sì, la tivù è proprio un bisogno, ma un bisogno che scappa!
Buona vita!
maestrocastello
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