mercoledì 1 febbraio 2012

«Potrebbe esser peggio, potrebbe piovere!»



Spesso definiamo i giovani come il nostro futuro. In realtà, non li consideriamo affatto come risorsa e ciò non fa altro che porli ai margini della società, lasciando questa in mano ai soli adulti; come se i giovani non fossero parte integrante di essa. C'è un bel libro di Tonino Palmese : "I giovani e il futuro: dalla minaccia alla speranza" che fa buone riflessioni sul tema giovani; ma chi meglio di un giovane che lavora sul campo può fotografare la loro situazione?           
Ospito volentieri il post di una giovane archeologa romana che deve combattere contro i mulini a vento per esercitare un mestiere che ama.  
Buona vita! maestrocastello                                                                                         
                                                                      
«Potrebbe esser peggio, potrebbe piovere!»
Alcuni di noi ci sono cascati, nell’illusione di trovare un lavoro e l’indipendenza dopo la laurea e soprattutto di andare a mettere in pratica il frutto di tanto studio. Chi invia il proprio curriculum alle varie cooperative archeologiche di Roma si sente inizialmente fortunato e ottimista, poi preoccupato ma speranzoso ed infine preso in giro e sfiduciato.
Da una decina di anni circa si sono raddoppiate le ditte e le società che hanno vinto gli appalti per la gestione e la realizzazione dei grandi interventi di archeologia che si effettuano nelle città,  che sono le opere di archeologia urbana e le opere pubbliche nazionali. Il fatto straordinario è che le cooperative ti offrono subito lavoro, anche se hai soltanto una laurea triennale e in alcuni casi anche se sei ancora uno studente.
Dov’è la fregatura? C’è eccome.
Anzitutto il povero studente o neolaureato accuserà la difficoltà di applicare in modo pratico sul campo la propria preparazione teorica e si troverà ad essere scaraventato sul cantiere senza essere stato preparato preventivamente dalla cooperativa sulle responsabilità scientifiche e legali alle quali dovrà far fronte. E lavori svolti con queste modalità generano frustrazione in chi li affronta quotidianamente e una scarsa qualità sui risultati finali, a discapito del patrimonio culturale e della ricerca scientifica.
In secondo luogo gli accordi tra lavoratore e datore di lavoro si basano, nella maggior parte dei casi, su contratti a collaborazione autonoma o a progetto (solo per i più fortunati!) che non permettono di maturare, o quasi, i contributi pensionistici e che prevedono nel secondo tipo di contratto la sospensione del rapporto in caso di gravidanza, infortunio o malattia. Quindi tutela zero.
C’è inoltre l’obbligo di apertura della partita iva e di stipula di una polizza assicurativa a carico del lavoratore, oltre all’acquisto del materiale necessario per espletare il proprio lavoro (scarpe antinfortunistiche, caschetto, lavagnetta, palina, trowel ecc…).
Arriviamo infine alle retribuzioni. Il fatto che non esistano nè un albo professionale che riconosca la professione di archeologo nè regolamenti di alcun genere che definiscano il tariffario dell’archeologo in base alle qualifiche, ha generato la totale autonomia dei privati nella scelta della paga giornaliera retribuita all’archeologo, che spesso corrisponde al minimo per la sopravvivenza. Archeologo e operatore di scavo vengono messi sullo stesso piano. Per chi non lo sapesse un archeologo viene pagato dai 40 ai 60 euro al giorno, sulle scelte della singola cooperativa.
Per non parlare della presenza che bisogna assicurare sul cantiere in qualsiasi condizione climatica, della saltuarietà delle giornate di lavoro, dell’incertezza della data effettiva in cui avviene il pagamento (di solito a 90 giorni se tutto va bene) e dello spostamento di cantiere in cantiere da una parte all’altra della città e il tutto avviene sempre a discrezione della cooperativa.
Queste sono le offerte delle imprese ad oggi e chi non le accetta secondo loro è perchè non vuole lavorare o perchè non ha ancora capito che c’è bisogno di “flessibilità”! Fare l’archeologo nel 2012 rappresenta ancora la prerogativa di pochi e per questo motivo spesso i ragazzi accettano condizioni umilianti e svilenti pur di non rimanere con le mani in mano, pur di fare il lavoro per cui hanno studiato, seppur nel peggiore dei modi.
Le cooperative archeologiche sono nate nel momento in cui la burocrazia legata alle Soprintendenze non ha più permesso di portare avanti lavori di emergenza nelle città, e questo è un bene, ma vista da dentro la prospettiva cambia. La situazione è davvero difficile perchè oltre alle cooperative non c’è molto altro, se vi aggiungiamo l’assenza di concorsi pubblici e la difficoltà di seguire una carriera all’interno delle università. Va da sè che il forte precariato ha spinto negli ultimi anni più della metà degli archeologi in Italia ad abbandonare la professione oppure a trasferirsi in altre nazioni.
Non c’è niente di affascinante in tutto questo, nella realtà noi archeologi non abbiamo nulla a che fare con quello che è l’archeologo nell’immaginario collettivo. Eppure ancora ci sono tantissimi iscritti nelle facoltà di Beni Culturali eppure i giovani archeologi ancora ci credono che qualcosa possa cambiare, magari riunendosi in associazioni culturali e in tal modo creandosi da soli nuove possibilità lavorative. Bisogna utilizzare l’immaginazione e la volontà per crearsi il proprio mondo.
«Che lavoro schifoso!» «Potrebbe esser peggio, potrebbe piovere!»
(cit. Frankenstein Junior).
Dott.ssa Ilaria Castello

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