domenica 29 gennaio 2012

Manca il quarto per una partita a tressette.


Rocco ce l’ha fatta, Rocco è tornato al paese. Ora s’aggira come un automa fra strade ammalate di noia. Ombra fra le ombre, Rocco è a chiedersi che fine hanno fatto gli amici di un tempo. Una vita a progettare questo ritorno e mai credeva di trovare un paese svuotato, abitato solo da cani randagi e bottiglie di plastica davanti alle porte.  A custodire l’interno delle case ci sono i vecchi  che hanno assunto la fissità delle cose: la sedia, la  parete, il vecchio; non distingui più chi è cosa e chi è persona. Rocco è fermo agli anni sessanta, anni di boom economico; quando la piazza si gremiva di gente e non solo per la festa del santo patrono. Nel linguaggio di chi è rimasto avverte la solitudine  e lo capisce dai continui riferimenti alla città più vicina, dove i compaesani si vantano di andare a fare gli acquisti importanti. Come se abitare al paese rappresentasse una colpa. Il suo, d’altronde, è un paese bellissimo, tutto in pietra; ci sono case da sogno, ma nessuno ci fa più ritorno. Ora la gente insegue mete lontane, cerca l’America altrove e non s’accorge di averla già a portata di mano. Qui si respira l’aria pura di alta montagna che in città te la sogni. In fabbrica, Rocco  s’ammazzava di fatica tutto il giorno, nel suo paese d’adesso è tormentato dalla noia. Niente scuola, niente ufficio postale e niente  negozi: passa un ambulante a portare il pane ogni due giorni e un altro la frutta, una volta a settimana. Arriva il  prete dal paese vicino, solo quando c’è un funerale. Pur di parlare con qualcuno, Rocco  ha fatto amicizia con due tizi ed uno  gli sta pure antipatico; ma lui sa che l’antipatia è un sentimento che non si può permettere in questo contesto.  Insieme aprono il circolo e manca sempre il quarto per una partita a “ scopa” o “tressette”.  Che tristezza vedere, dove prima era tutto un giardino, uliveti e frutteti all’abbandono. Nessuno fa nulla per impedire di fuggire alla gente che sa ancora vivere nel proprio paese. Rocco ha radici contadine ed ha rianimato un terreno di suo padre che era incolto da anni: lo zappa, lo semina, lo annaffia ed è felice come un tempo. Parlando al telefono col figlio, gli dice che ha appena seminato i ceci. “Ma come crescono i ceci, papà, sottoterra?” è stata la sua domanda. “Poveri noi, chissà cosa s’immagineranno i figli dei cittadini! ” s’è detto Rocco, “Forse ho sbagliato tutto, forse non sarei mai dovuto partire”.    Ma scaccia subito questo pensiero, appena ripensa alla fame di un tempo e poi, s’è fatta l’ora di andare ad aprire il circolo. Ci vorrebbero tanti altri Rocco per ridestare questi paesi, dove tutto è cambiato e non è cambiato niente. Rocco è per strada e già sa che, svoltato l’angolo, troverà i suoi amici e apriranno il circolo e mancherà sempre un quarto per una normale partita a tressette.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 


Buona vita!
maestrocastello

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