sabato 7 gennaio 2012

Il mio paese era in coma e nessuno mi aveva avvertito.


Fummo costretti a fuggire dai nostri paesi, come ladri  nella notte e su corriere impossibili. Lo sballottamento del mezzo ci fu d’aiuto a ricacciare indietro tutto il magone conseguente al distacco. Lasciammo gli anziani genitori a guardia delle nostre radici, finché fu possibile e finì che, un giorno, sradicammo anche le loro vite genuine, per ripiantarle  in squallidi appartamenti  di città. Non portarono  frutto, perché non attecchirono mai. Come potevano , d’altronde,  rifiorire in modesti vasi di terriccio, piante aduse a germogliare in aperta campagna? So perfino di qualcuno di noi che chiudeva a chiave l’anziana madre  nell’appartamento e si recava sul posto di lavoro. La solitudine, si sa,  porta presto alla morte che resta l’unica alternativa per un vecchio che agogna solo che lo riportino al luogo di partenza.  Quanti  ne abbiamo riportati indietro al paese, in casse di faggio, ed ora, insieme ai ricordi, custodiamo di loro anche soverchi rimpianti. Alla fine, che ci rimane di loro?  Lapidi, spesso, senza un fiore e case-museo, ereditate al paese, immerse nel silenzio, che sembrano  eternamente in posa per una foto di gruppo. Case illanguidite di staticità, mista a malinconia. Ed è così che i paesi si ammalano di vuoto e di silenzio, di vita che non scorre più nelle loro vene e ne rimane qualche traccia solo nei cani randagi che vagano senza cibo e senza padrone e nei panni stesi, in balia del vento che li stressa. E’ questa la sorte della maggior parte dei paesi che popolano l’Appennino Meridionale; sono paesi sotto vuoto, realtà traboccanti di risorse a cinque stelle, con vocazione per i cibi naturali, che si riducono, invece, al preconfezionato, pur di scimmiottare la vita di città. C’è rimedio? Sembra di sì. Un simpatico signore di mezza età, Franco Arminio, poeta, scrittore di svariati volumi e “paesologo”, come ama definirsi, vive  e lavora a Bisaccia di Avellino e da circa quattro anni si reca nei paesini del Sud, con l’intento di rianimarli. “Terracarne”, “Nevica e ne ho le prove”, “Vento forte da Lacedonia a Candela” sono solo alcune delle opere dove Arminio sviluppa le sue tesi. Mi piace questo scrittore che ha fatto visita anche al mio paese, Sant’Agata di Puglia, perché è fluido, lirico, ed essenziale; non dà ricette preconfezionate e lo dice chiaramente, il suo metodo è quello del dialogo con la gente. Sembra un Socrate dei tempi nostri. Lui ama il contatto fisico con le cose del paese, vuole sentirne l'odore, il colore, il sapore, Fotografa tutto e poi ne fa argomento di conversazione con la gente del luogo,Mentre mette in guardia dal mimare il mondo del Grande Fratello, invita chi ha la fortuna-sfortuna di vivere ancora in un piccolo paese come il mio, a riflettere sulle grandi risorse di cui è in possesso e sulla opportunità d’investire tutto su esse, per garantirsi un futuro a misura d’uomo.
 I nostri paesi vanno ripopolati di idee, le persone arriveranno subito dopo.
Buona vita!
maestrocastello

3 commenti:

  1. Grande Giovanni questo pezzo mi ha particolarmente colpito, Grazie di cuore Nardino Capano

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  2. Caro Nardino, l'amore viscerale che hai per il nostro paese è invidiabile. Mi dispiace soltanto che non vieni sempre capito. Purtroppo l'invidia è un'arma subdola nelle mani dei nostri delatori.Per fortuna che esistono anche i veri amici e quando "arrivano i nostri", non ce n'é per nessuno.
    Buona vita!
    Giovanni

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  3. L'ho letto....parole estremamente toccanti che rispecchiano la realtà....mettono tristezza e al tempo stesso ci fanno riflettere! Speriamo le cose cambino, almeno per i nuovi giovani
    Commento postato su FB da Gonzaga

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