mercoledì 18 gennaio 2012

Perché non nevica più?


Sui campi e sulle strade/ silenziosa e lieve/volteggiando, la neve/cade.
Danza la falda bianca/nell'ampio ciel scherzosa,/poi sul terren si posa,/stanca.
In mille immote forme/sui tetti e sui camini/sui cippi e sui giardini,/dorme.
Tutto d'intorno è pace,/chiuso in un oblìo profondo,/indifferente il mondo/tace.
(Ada Negri)

Una volta, questa poesia veniva insegnata alle elementari, adesso non più. Una piccola perdita che si aggiunge alla lenta scomparsa della poesia nelle nostre scuole. La neve sembra che in effetti purifichi dove si posa... tetti, camini, giardini. ecc... ma raramente si posa sulle persone; affinché le renda pure, togliendo quell'indifferenza e tante altre negatività, il male e la cattiveria che le sovrasta. Quand’ero bambino, aspettavo la neve con l’ansia di tutti i bambini che sono desiderosi di non andare a scuola. La neve era l’unica alternativa alle malattie per restarsene a casa. Quando nevicava ero contento per diversi motivi. Amavo quell’atmosfera ovattata in cui cadeva il mio paese, senza rumori eccessivi; quello spirito di solidarietà che sgorgava fra le persone: io ti aiuto a mettere al riparo la catasta di legna, per non farla bagnare; tu mi dai una mano a spalare la neve davanti all’ uscio di casa e tutto avveniva in modo tacito e spontaneo. Era bello vedere un paese che, nel momento di bisogno, si scopriva comunità. La nostra miseria di allora era solo materiale, perché avevamo scorte spirituali per lunghe invernate. Il povero, si sa, dona perché sa bene quant’è brutta la miseria in se stesso e non vorrebbe rivederla sul viso di un altro. Non mancava volta che mia madre Letizia, al ritorno dai campi, di tutta la frutta che aveva riportato al paese, ne faceva porzioni che regalava a tante altre famiglie povere come la nostra. Dicevo, riguardo alla neve, che mi piaceva che la vita si fermasse, che andasse via la corrente, che rimanessimo accanto al camino, al chiarore di una sola candela accesa e nonna Mariannina che “riceva li cunt”. Raccontava di streghe, di orchi, di bimbi abbandonati nel mezzo di un bosco e noi bambini che ci stringevamo l’uno l’altro, per la paura che si andava creando. Beati quei tempi che i bimbi, non ancora contagiati dalla televisione, facevano vere scorpacciate di fantasia. Beati i tempi quando i giocattoli, i bambini, se li costruivano da soli ed erano il frutto della loro immaginazione; giocavano coi sassi, coi semi di zucca, con semplici pezzi di legno; tutto era utile al gioco: cerchi, cuscinetti di auto, bottoni o semplici  asticelle di legno. Nevicava e le stradine di paese pullulavano di bimbi poco vestiti, poco nutriti; ma ugualmente felici di rotolarsi in mezzo alla neve. Perché non nevica più? Forse perché ci sono più case che abitanti e i bimbi non ci sono e quando ci sono, non hanno  più il tempo di fare pupazzi di neve. Ora della neve conserviamo solo il ricordo. E poi, nevicherebbe per niente, perché i paesi sono caduti tutti in un letargo profondo e si rianimano solo nel mese d’agosto e quando c’è un funerale. La fabbrica del terremoto ha rifatto il look alle nostre case e le ha trasformate in tanti cofanetti, dove sono custoditi i ricordi dei bei tempi, quando anche la vista della neve dava gioia ed avevamo un’altra idea di stare al mondo.
Buona vita!
maestrocastello

1 commento:

  1. Che bell articolo! Grazie x aver reso questa fredda domenica meno fredda:)

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