venerdì 19 febbraio 2010

Le bestie siamo noi.


I lettori del blog ricorderanno che provo ammirazione per Erri De Luca, poeta-scrittore napoletano ed ex studente “sessantottino” che aveva tentato mille mestieri, prima di approdare a quella che sarebbe poi stata la sua naturale inclinazione per la poesia e la narrazione; risultando, oggi, uno dei pochi scrittori italiani in grado di comunicare emozioni in modo fluido, lirico, essenziale e pregne di contenuti. L’ultimo suo capolavoro è un romanzo breve “il peso della farfalla”. Questa è la storia di un camoscio, magnifico animale di montagna, che rimasto orfano, impara tutto da solo, senza appartenere a un branco. E’ forte, unico, bellissimo. Sfida tutti senza timore e diventa il “re dei camosci“. Ma questa è anche la storia del cacciatore che lo ucciderà. Il romanzo mi richiama alla mente “la forza della natura” che Luisa Mandrino aveva scritto per l’alpinista bellunese Franco Miotto; così come mi ricorda anche le scene di caccia che appaiono nel capolavoro cinematografico “il cacciatore” di Michael Cimino. In tutte e tre le opere viene raccontata la lotta perenne tra preda e predatore, l’evoluzione di ciascuno e la loro fine triste e silenziosa. Tre storie per tre protagonisti che ingaggiano una sfida personale con le rispettive prede per il predominio della montagna. Il personaggio che interpreta De Niro è un cacciatore, specializzato nella caccia al cervo che proprio nel momento di muovere il grilletto, viene dissuaso dallo sguardo animale del cervo che lo fissa con occhi che sanno molto più di quelli umani. Miotto è soprattutto un alpinista vero, il re dei viaz, sentieri aerei sulle montagne bellunesi, che soltanto lui ed i camosci conoscono. Un uomo che quando abbatté il più bel camoscio della sua vita, un vero re delle vette, capì la parte più triste del vivere, e cioè che niente resta mai come prima, quando hai realizzato un sogno. Addirittura smise di fare per sempre il cacciatore, lui che cacciava perché non poteva permettersi il lusso di entrare in macelleria, quando, dopo aver abbattuto un camoscio adulto, assistette alla scena dei piccoli camosci che non ne volevano sapere di abbandonare il loro genitore accasciato per terra. La storia di Erri De Luca narra invece di due re (camoscio e cacciatore) che, su barricate diverse, si contendono il predominio della montagna in uno scontro che conoscerà fine nel mese di novembre. Lui è un cacciatore eccezionale, l’altro è un camoscio fuori dalla norma : il re dei camosci. La loro storia è un abbraccio mortale. Il re dei camosci nutre rancore da una vita, per la morte del padre, abbattuto proprio da un cacciatore e la sua ragione di vita è stata la supremazia sugli altri camosci e l’eterna sfida verso l’uomo che l’ha visto fin qui vincitore. L’anziano cacciatore è vissuto sempre “alla macchia” e non ritenendo possibile un normale confronto coi simili, ha ingaggiato una guerra personale col mondo animale. In un giorno di fine novembre arriva la resa dei conti, perché i due si stanno cercando. Il camoscio sente l’odore dell’uomo e lo sfida con la sua velocità, la prontezza; fin quando non incappa su un sasso appuntito e resta immobile, aspettando solo il colpo mortale dell'uomo. Cade a terra, privo di vita. Il branco non si allontana, ma si raduna intorno al suo re per rendergli omaggio. Il cacciatore se lo carica in spalla e camminano insieme, mentre vede una farfalla volare lieve fra le corna della bestia e non riesce proprio a mandarla via. Quel battito insistente di ali, agita la sua cattiva coscienza, come un peso aggiunto che lo prova fino a sfiancarlo e il cacciatore cade a terra sfinito, insieme al camoscio. Li troverà abbracciati, in primavera, un cacciatore che li seppellirà insieme. Le recensioni parlano di un libro scritto con la solita arte fatta di musicalità e maestria che contraddistinguono da sempre il suo autore. ” Erri De Luca racconta questa storia in maniera molto lieve, lieve come la neve che cade in montagna e come il battito d’ali di quella farfalla bianca. Con abilità e rispetto entra in queste due solitudini, raccontandoci prima di un duello lungo anni e poi di una pietà finale, di un abbraccio forte e eterno che vede queste due solitudini legate nella morte, come lo erano anche nella vita. Leggera e presente emozione.”
Una riflessione finale sembra obbligata: possiamo imparare molto anche dal mondo animale, se solo non abbiamo l’animo incelofanato di aridità. “Qui l’uomo vide una cosa che mai era stata vista.Il branco non si disperse in fuga, lentamente fece la mossa opposta. Le femmine prima, poi i maschi, poi i nati in primavera salirono verso di lui, incontro al re abbattuto. Uno per uno chinarono il muso su di lui, senza un pensiero per l’uomo in agguato…Niente era più importante per loro di quel saluto, l’onore al più magnifico camoscio mai esistito”.
E ora sono ancora più convinto che è del tutto sbagliato esclamare che” le bestie siamo noi”….. magari!!!
Buona vita!
Maestrocastello.

(alcuni spunti virgolettati sono presi dalle recensioni di L. Dell'Olmo e A. Pizzini)

1 commento:

  1. colotti,giovanni@alice.it22 febbraio 2010 alle ore 05:46

    GA' ...MAGARI...!!! LA BESTIALITA' UMANA NON HA LIMITI....LUOMO E' CAPACE DI COMMETTERE DELITTI VERAMENTE AGGHIACCIANTI...SPECIALMENTE DI QUESTI TEMPI DOVE PIU' NIENTE HA VALORE.....
    UN ABBRACCIO.

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