martedì 9 febbraio 2010

Roba da matti!



Nelle sere del 7 ed 8 febbraio 2010 la Rai s’è finalmente riscattata, mandando in onda qualcosa di molto interessante come “C’era una volta il paese dei matti”, interpretato dai bravi Fabrizio Gifuni (Franco Basaglia) e Vittoria Puccini nei panni di Margherita che insieme ad un cast davvero all’altezza ha raccontato le esperienze innovative di Franco Basaglia nei manicomi di Gorizia e di Trento ed il suo tentativo di dare dignità di uomini ad autentici emarginati sociali. Basaglia operava in un tempo in cui la malattia di mente era ritenuta inguaribile e la risposta dello Stato era l’istituzione di questi luoghi chiusi, a tutela dei sani nei confronti dei matti, dove era facile entrare (bastava la dichiarazione di un medico) e quasi impossibile uscire, dato il presupposto dell’inguaribilità. Basaglia avverte che dalla pazzia si può anche guarire, che non la si può costringere in un luogo, perché la pazzia è un “non luogo”, come qualcosa che il matto ha dentro di sé e vuole portar fuori; come a dire che un certo grado di pazzia è insito in ogni persona, anche se non rinchiusa in manicomio. Non a torto Pirandello diceva che “i matti siamo noi” ed io ribadisco ch'è vero se pretendiamo mettere la camicia di forza ai sentimenti di un uomo, spogliarlo della sua dignità di persona, credere che un pazzo calmo, perché sedato, non è più pazzo; o peggio, alienarlo ulteriormente, spappolandogli il cervello con cavi elettrovoltaici. Le teorie di Basaglia sfoceranno nella legge 180/1978 che affermava che la malattia di mente è una malattia come tutte le altre e, pertanto, guaribile. Venne disposta l’immediata abolizione dei manicomi e l’istituzione di servizi psichiatrici presso le Usl. A più di trent’anni dalla legge Basaglia ci accorgiamo che è stata scritta una legge senza aver creato prima i presupposti per poterla applicare in tutte le sue forme corrette. Non esistendo adeguate strutture, il problema è stato scaricato sulle famiglie, lasciate sole a gestire questi familiari, con tutta la responsabilità ed i disagi che questo comporta. Alda Merini che pure aveva vissuto in prima persona la condizione di malata mentale, si lamentava non poco di questa buona legge rimasta poi monca: «i malati di mente sono rimasti abbandonati a se stessi, molti sono morti, si sono uccisi. Il matto viene soppresso, in questa società, non è produttivo...Quasi quasi vorrei dire di riaprirli, i manicomi. In fondo mi hanno curata, no?, almeno mi hanno accolta». E ride, «la verità è che Basaglia immaginava un amore tra pazzia e società, la non violenza verso il malato, ma la sua legge è stata negata, è rimasta incompiuta, perché ci volevano ospedali, ospedali veri e propri per curare le persone, altro che gli "operatori sociali": la mente umana è vasta come il mare, c' è bisogno di grandi medici, anche perché magari non si riconosce la violenza e si finisce per ritenere "pericoloso" chi è depresso per amore...». A mio avviso i malati di mente si dividono i tre categorie distinte: quelli che possono guarire, quelli che lo possono solo in parte e chi purtroppo non guarirà mai. Forse non era giusto aprire le porte per tutti, come non è giusto assistere all’andirivieni alle Asl, dove imbottiscono di psicofarmaci il malato e lo rispediscono a casa, da quei “poveri cristi” dei familiari che altro non possono fare che dare amore. Basterà solo quello?
Buona vita!
Maestrocastello.

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