martedì 25 gennaio 2011

Il dolore merita rispetto e silenzio.

La percezione del dolore, qualunque sia la sua origine, è strettamente personale e nessuno è in grado di  calarsi nei panni degli altri  fino in fondo. Malgrado ciò, troveremo chi, a parità di evento doloroso, sarà capace di declamare il suo come il dolore maggiore. Chissà quante volte è successo più o meno a tutti di assistere a vere sceneggiate e magari per perfette banalità e, al contrario, vedere mamme impietrite davanti alla morte di un figlio: non un lamento, non una sola lacrima che portano perfino a dire: “ ma come fa quella donna non provare dolore?”.        Purtroppo il dolore non sempre sfocia nel pianto ed ecco che quel genitore che ha trattenuto tutto dentro, deve poi elaborare il proprio dolore represso sul lettino di uno specialista. Capita pure che si arrivi ad osservare e confrontare tutte le sfumature che comprende il dolore. Prendiamo il caso di Yara, la ragazzina scomparsa a dicembre in provincia di Bergamo. La sua scomparsa capita subito dopo quella di Sarah, ma questa volta in un paesino del nord. Sarah e Yara, Avetrana e Brembate di Sopra; nord e sud. Sarah era pronta a recarsi al mare, mentre Yara si muoveva in un posto dove c’è spesso la neve. Sarah si è fatta trovare, Yara la stanno ancora cercando. Una è certamente morta, l’altra potrebbe essere ancora in vita. Ma la differenza sostanziale delle due vicende sta certamente nell’atteggiamento tenuto dalle due  famiglie nei confronti dei mezzi d’informazione e non viceversa. I media e soprattutto la televisione hanno fatto un salto di qualità, passando dal circo mediatico  alla fiction e sconfinando nel federalismo del dolore. Ricordate i plastici di Bruno Vespa, il maglioncino di Crepet , i tanti consulenti ed avvocati difensori che hanno raccontano solo se stessi. Ad Avetrana un’intera comunità s’è prestata ai riflettori a fianco dei familiari di Sarah, mentre a Brembate di Sopra i giornalisti si sono ridotti a  spiare le tapparelle appena sollevate di una casa che non s’è mai aperta alla curiosità generale. In ogni thriller che si rispetti poi vi è contemplato anche un mostro che rende più avvincente una storia e il mostro di Sarah s’è consegnato praticamente da solo. Anche a Brembate avevano  trovato il mostro, il marocchino sfigato che stava "scappando" a casa su un battello. E subito a dire "il solito clandestino!", "Cacciamoli via tutti!", "Pena di morte!". Peccato che non è stato lui, anzi è lui che ci ha dato uno schiaffo morale, perchè lui resta qui in quanto è regolare, qui lavora e si trova bene, lui non spaccia e non si droga, lui è incazzato ma perdona e capisce. Lui è solo vittima di una società allo sbando, di una politica che non media e non aiuta a capire, di una tivvù che specula pure sul pianto di tanta povera gente. Non sapendo proprio a cosa attaccarsi, i discorsi della televisione sono degenerati sul confronto del diverso atteggiamento delle due famiglie. Nessuno ha considerato che tutto si giustifica davanti a tanto dolore, che è irrispettoso e quasi razzistico fare paragoni perchè il dolore dei genitori è lo stesso; di diverso c’è solo il modo di esprimerlo, raccontarlo o non raccontarlo e questo proprio perchè i protagonisti non sono degli attori che recitano, ma genitori che soffrono e chi soffre merita rispetto e silenzio.
Buona vita!
maestrocastello

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