venerdì 7 gennaio 2011

a tavola con i terroni.


La dieta mediterranea è un eccellente  modello nutrizionale dei paesi del bacino del Mediterraneo a cui ci siamo ispirati anche noi italiani fino agli anni del boom economico, quando l’abbiamo scioccamente abbandonata per seguire il modello americano. Cereali, legumi, verdure, frutta fresca, olio d’oliva, tanto pesce e poca carne sono gli ingredienti di una dieta alimentare vincente rispetto alle abitudini d’oltre oceano che vede noi mediterranei con minori tassi di cardiopatia  e malattie cardiovascolari rispetto alla popolazione statunitense. Dagli anni novanta, per fortuna, è ritornata prepotentemente alla ribalta la cucina di casa nostra, quella che ha permesso alla mia generazione di crescere sani e belli, non con hamburger, ketchup e coca cola; ma con tanta pasta e broccoli, minestre di verdura, e orecchiette con le cime. Essere nato terrone non è poi stato tutto questo svantaggio. Terrone vuol dire avvezzo alla terra e proprio dalla terra la mia regione (la Puglia) trae tutti gli ingredienti per una cucina che sarà pure povera, ma che scoppia di salute. La cucina pugliese  poggia da sempre su alcuni elementi cardini quali l’olio, il grano, il vino e le verdure che le danno lustro in tutto il mondo. La cucina dei paesini dell’entroterra foggiano, come quella di Sant’Agata di Puglia, mio paesino di nascita, rispecchiava principalmente le condizioni di vita delle persone, infatti era una cucina povera o meglio semplice ed era costituita da prodotti casarecci e quanto si riusciva a coltivare in lenzuoli di terra, a volte impervi, per il sostentamento della famiglia. Ogni casa aveva la propria scorta di grano e di farina che custodiva nei "cascioni",  veri e propri silos domestici, consistenti in grossi scatoloni di legno così alti che occorreva la scala per riempirli dalla parte superiore  e, in basso sul davanti,  avevano una porticina scorrevole, quel tanto da permettere la fuoriuscita di grano o di farina. A che serviva tutta quella farina? per fare pane, pasta e dolci fatti in casa! Quando io ero piccino, circolava poca moneta  al mio paese ed era in uso la moda del baratto: un operaio veniva spesso saldato con litri d’olio o sacchi di farina. Un tempo era praticamente impensabile in una famiglia pugliese approvvigionarsi della pasta industriale acquistandola al negozio; la pasta si faceva esclusivamente in casa, non come oggi che si impasta solo nelle feste e nelle occasioni molto speciali. Quale pasta veniva confezionata a casa mia? Orecchiette (recchietelle), lagane, laganelle, fusilli, strascinati, troccoli. Ogni tipo di pasta aveva la sua fisionomia precisa: gli strascinati, per esempio, erano rettangoli di pasta che si passavano su un tagliere speciale e presentavano una faccia rugosa e una liscia; i troccoli,   somigliavano ai maccheroni alla chitarra abruzzesi e prendevano il nome dal bastone che serviva per tagliarli. Le celebri orecchiette si facevano con la forza del pollice, imprimendo su un dischetto di pasta una concavità che le faceva somigliare a una conchiglietta pronta ad accogliere il sugo. Un ricordo legato alle orecchiette è che a casa mia le mangiavo di formato gigante: a mio padre piacevano grandi perchè accoglievano molto sugo; mentre mia zia Angela le faceva minute come un mignolo, ma posso assicurarvi che sono gustose in entrambi i formati. E per non scontentare nessuno, prima mangiavo quelle giganti di mia madre e poi assaporavo quelle mignon di mia zia!  Si trattava comunque sempre di pasta a base di semola di grano duro, callosa e robusta, molto saporita. Per condire era tradizionale il ragù fatto con la conserva(concentrato di pomodoro) che raramente era di carne che compariva in tavola solo di domenica e feste comandate; mentre quasi sempre era un sugo preparato con diverse verdure locali: pasta e cime di broccoli; pasta e cavoli; maccheroni e melanzane; pasta e fagioli; pasta e purea di fave; spaghetti e cicoria; pasta e rucola; fiori di zucchine con pasta e pomodoro che da bambino odiavo ed ora pagherei oro per rimangiarle. La più celebre verdura era la cima di rapa, quella che insaporiva le orecchiette che oggi si fanno industrialmente e sono molto diffuse in tutta l'Italia; si aggiungevano acciughe sciolte nell'olio e aglio: un entusiasmante incontro di gusti e di aromi. Mia madre che praticava la campagna spesso riportava altre varietà di verdure selvatiche come i marasciuni (erbette amare che crescono nelle vigne), la cicoria riccia, i finocchietti selvatici, i taddi (i gambi teneri delle piante di zucca) e usualmente le cucinava con la pasta.  Praticamente la pasta si sposava con tutto, proprio come una mignotta! La mangiavo a pranzo e a cena e la sera era più buona fredda, quando s’era riposata e  aveva assorbito meglio il condimento. Ci pensate, facevamo la dieta mediterranea senza saperlo e l’avremmo scoperto cinquant’anni dopo e cioè oggi, quando resta difficile trovare cibi che non siano trattati con pesticidi dannosi alla salute; oggi che per mangiare una buona "pasta e fagioli" è  divenuta una questione di stato. Chi non s’è mai mosso dal paese e invidia il vivere di città non si rende conto della fortuna di  poter ancora mangiare una coscetta di pollo, facendo fatica a staccare la ciccia ben amalgamata all’osso. Il pollo di Sant’Agata ancora ruspa, becca, gorgheggia e piscia all’aria aperta, non come il pollo  cittadino  sempre chiuso un una gabbietta numerata, dove fa tutto ad orario stabilito e quando arriva l’ora d’essere spennato, sembra perfino felice di uscire dal suo isolamento e pare ben contento di finire su tavolate festanti; seppure adagiato in un mare di spezie e contornato di patate al forno.

Buona vita e buon appetito!
maestrocastello

1 commento:

  1. colotti.giovanni@alice.it9 gennaio 2011 alle ore 01:42

    Con tutti questi ricordi culinari...mi fai venire l'acquolina in bocca, oltre che un po' di nostalgia per quei tempi...poveri ma belli!!!!
    Un abbraccio, giovanni e famiglia

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