martedì 4 gennaio 2011

La vuole la busta?

Abbiamo costruito una società dove tutto sembra essere diventato biodegradabile: dalle scarpe ai telefonini, dalle borse alle tute da ginnastica. Biodegradabili stanno diventando perfino i nostri sentimenti, in quanto i buoni propositi non fanno in tempo ad essere annunciati che si sciolgono come neve al sole. Ci sono cose che sarebbe utile durassero nel tempo ed altre che non ce la facciamo proprio a far scomparire dalla circolazione, come il comune sacchetto di plastica o, come dicono coloro che sanno le lingue, lo  shopper. Magari un matrimonio di oggi durasse il tempo di un sacchetto di plastica!   - Signore la vuole la busta?-  quante volte ce lo sentiamo ripetere dalla ragazza alla cassa e quando non ce lo  chiede, è perché già  l’ha messa in conto. Lo shopper ha soppiantato la sporta di un tempo, di tela o fatta a spicchi di cuoio, dove la mamma ci metteva poco ma di tutto; allora lo scarto era pari allo zero! Bisogna comunque ammettere che la busta di plastica è stata un’invenzione geniale della società dei consumi. Ci fa comprare sempre di più del nostro bisogno, è come una protesi del corpo che si allunga ed aumenta la capacità di carico delle braccia, permettendoci di asportare molto di più di quanto la natura ci ha concesso portare; non si piega e non si spezza anche sotto il peso di una decina di chili di consumismo!  Ma come si ottiene? Finora è stata fatta soprattutto in polietilene, un prodotto che deriva dal petrolio e per produrla si consuma energia ed altri elementi chimici. Noi italiani che non siamo secondi a nessuno, rivendichiamo il nostro diritto di fare la spesa entrando in un negozio a mani nude, facendo così la gioia dell’intera filiera: da chi produce materialmente le buste  a chi ce le propina a pagamento, facendosi tanto di pubblicità a nostre spese. Pensate che siamo arrivati a consumarne due miliardi di buste al mese, 400 a testa in un anno, un quarto di quelle che si producono in tutta Europa. Direte voi, ma dove sta tutto questo male?  Sta semplicemente nel fatto che la plastica è una sostanza  decomponibile in natura a lunghissimo termine ( da 20 a 1000 anni; ci pensate lo stesso tempo che intercorre dalle Crociate allo sbarco sulla luna, ben 9 secoli di storia dell'umanità!) e  la plastica non ancora decomposta rischia nel frattempo di entrare nella catena alimentare con un carico terribile per gli ecosistemi, soprattutto quello marino. Ridurre l'utilizzo di sacchetti di plastica per la spesa è divenuto dunque un obbiettivo primario a livello globale. Se riflettessimo un istante al rapporto che intercorre tra il tempo di nostro utilizzo effettivo e quello che ci vuole per il suo completo smaltimento, avremmo forse un comportamento diverso. La vita di una busta come oggetto utile dura circa 12 minuti, il tempo medio tra la cassa e il frigo di casa nostra. Poi, diventa subito un rifiuto o contenitore per altri rifiuti, col rischio di non essere più differenziato. Solo i barboni sembrano pensare che una sportina di plastica può essere riutilizzata all'infinito. Voi direte cosa possa mai incidere eliminare una busta in confronto di tutta la plastica impiegata per avvolgere qualsiasi prodotto in commercio. E’ una questione di atteggiamento, il nostro che dobbiamo modificare: si comincia con la busta e c’è speranza di passare un domani a tutto il resto; altrimenti i nostri nipoti affogheranno negli oceani fatti della plastica che avremo concorso a produrre durante tutta la nostra vita. Se non cambia il nostro di atteggiamento verso questa  abitudine malsana, sarà più dura farlo mutare agli industriali che la producono, ai loro committenti  ed ai politici che procrastinano dal 2007 una legge che oggi ci vede fanalino di coda nell’Unione Europea. Il divieto delle buste di plastica è scattato dal primo gennaio, staremo a vedere se il nostro Paese perderà l’ennesimo treno per dimostrarsi un Paese all'altezza.
Buona vita!
maestrocastello  

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