sabato 5 marzo 2011

La cultura non si mangia.


Per secoli vecchiaia ha significato povertà, ma oggi il rischio di essere poveri sembra più legato all’essere giovani. I recenti dati sull’occupazione giovanile in Italia fanno spavento, parlano di un 29,4 percentuale, al pari di paesi quali Tunisia, Yemen e Marocco. Come mai i nostri ragazzi non riescono a trovare un’occupazione? Le spiegazioni sono molteplici e bisogna risalire a monte del problema. Nessuno vuole più imparare un mestiere e tanti genitori si ostinano a far studiare anche quei figli che sarebbero più adatti a guidare un trattore che a sfogliare un manuale di economia. A trent’anni non vai da nessuna parte se non hai completato gli studi ed è tardi anche per imparare un mestiere qualificato. I lavori manuali a bassa qualifica poi hanno subito la concorrenza delle manifatture dei paesi emergenti come anche della forza lavoro degli immigrati. Una volta potevi mirare al posto fisso attraverso conoscenze politiche, ma oggi non è più tempo del famoso “posto alle poste” e l’uomo politico tenta di sistemare solo propri familiari, col rischio di finire sulle prime pagine di tutti i giornali. Ma i giovani non sono tutti uguali, direte, ci sono anche moltissimi che studiano con merito. La situazione non cambia molto, almeno che non hai la fortuna e la voglia di finire nell’azienda di papà o non sei figlio d’arte: medico, farmacista o notaio. Le persone altamente formate in Italia si ritrovano un'offerta di lavoro scarsa, poco pagata e spesso precaria. Oggi anche quella élite di giovani con alta formazione e competenze superiori non incontra un sistema economico capace di inglobarli e di “metterli a valore” ed è costretta a partire. La conoscenza in Italia è considerata tutt’altro che un patrimonio, perché c’è la convinzione che “la cultura non si mangia”; mentre altrove sanno bene che le buone idee non sono colpi di fortuna, ma frutto di una riflessione, di investimenti, di sapere accumulato nel tempo. L’era della globalizzazione richiede un approccio più globale, sociale e meno chiuso, dove il termine innovare è un imperativo categorico se si vuol restare ancorati ad un mercato che richiede continuamente di fare cose in modo sempre nuovo e che ieri non si potevano fare. Il problema è che oggi in Italia non si innova praticamente più, visto che l’innovazione è un processo con alti costi. C’è spazio per chi innova, ma non c’è chi è interessato a promuovere lo sviluppo e l’adozione dell’innovazione. Anche le grandi aziende hanno smesso di innovare e il giovane è costretto ad agire in maniera singola, andando fuori dall’Italia. Purtroppo i nostri governi hanno fatto e fanno poco  per valorizzare chi ha investito sul proprio capitale cognitivo. I politici, per farsi belli, denunciano le anomalie, ma non propongono nulla in concreto. Mi vengono in mente alcune delle tante idee che si potrebbero adottare, come introdurre sgravi fiscali per aziende che assumono almeno con contratti a tempo giovani da impiegare nella ricerca e nel marketing, dare servizi gratuiti spendibili sul piano cognitivo (corsi di specializzazione, libri gratuiti,…), concedere  stage gratuiti per giovani meritevoli da impiegare con alta qualifica in aziende di Stato, inglobare l’iniquo canone rai in un’unica tassa che comprenda internet per tutte le case italiane. Lo so che stiamo parlando di un’isola che non c’è, mentre altrove sanno molto bene che da una conoscenza immateriale vengono fuori prodotti materiali che si possono vendere e aiutano a far soldi. Ecco perchè  la Apple fa miliardi con gli Ipod e noi no! Se i giovani non propongono novità ed alternative, non ci possiamo certo aspettare che lo facciano i vecchi; anche perché oggi possono confrontarsi più facilmente con il resto del mondo.
Buona vita!
maestrocastello

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