lunedì 28 marzo 2011

Lampedusa, l’isola che c’è.




A sud della nostra penisola si sta combattendo una guerra di civiltà contro un'umanità dolente che sbarca in Sicilia,  “un’isola che c’è”.  Lampedusa segna lo spartiacque ideale tra due Italie, quella che accoglie benevola  e quella  che è in preda alla sindrome da invasione.  L’errore di fondo sta nel considerare l’immigrazione solo un problema di sicurezza  ed è ancor più sbagliato rifiutarla. Questi barconi della disperazione trasportano esseri umani  diretti verso una terra promessa che è poco propensa a riceverli, esseri che hanno perduto la propria dignità e sono diventati solo dei corpi che vengono imbarcati, si perdono in mare, vengono respinti e quando vengono accolti,  vengono ammassati come bestie, in condizioni igieniche spesso assurde; corpi che lottano per essere integrati, che vogliono riappropriarsi finalmente della dignità di un tempo. Questo esodo sta evidenziando le carenze di istituzioni internazionali come  l’Europa  che ha come dato che ci identifica  solo una moneta comune come l’euro  e non una politica comune per l’emergenza umanitaria. Da Bruxelles cogliamo chiaro questo messaggio: ognuno si occupi dei propri rifugiati. Intanto  la puzza del petrolio ha attirato come  mosche gli odierni sorvolatori della Libia che esportano libertà a caro prezzo.  A livello nazionale si fanno tante chiacchiere e si sta evidenziando l’insufficienza  della legge Bossi-Fini che prevede come unico dato per l’accoglienza l’immigrato lavoratore, ci sembra francamente troppo poco. Le reazioni delle donne di Lampedusa si giustificano per il  fatto che la situazione  sull’isola si è resa insostenibile; si è ormai superato il rapporto di 1 a 1 tra popolazione locale e rifugiati : cinquemila  sono quelli che ci vivono e cinquemila che ci sbarcano. La proposta di dividere equamente i rifugiati in tutto il territorio nazionale sembra caduta nel vuoto, dopo che vari politici si sono resi non disponibili per ragioni diverse. Una volta tanto dobbiamo prendere esempio dalla Sicilia,  terra di accoglienza che sa vivere sulla frontiera, terra d’incontro con le moltitudini che migrano per fame, per guerra, per rifugio politico, per esilio o  per  disperazione.  Lampedusa, Trapani, Caltanisetta, Mineo (Catania), Sigonella, Acireale, Siracusa  sono i centri di accoglienza  e di  asilo  dove la paura per lo straniero  si è tramutato in speranza di costruire una società  multietnica,  dove contano poco le differenze. Sarebbe ora che  anche quell’altra parte d’Italia  stemperi una buona volta il rancore e la paura verso chi arriva da fuori chiedendo asilo, in capacità di accoglienza e cura. A che serve battersi tanto perche il Cristo resti  appeso nelle aule di tribunali e di scuole, quando restiamo indifferenti di fronte al fratello che soffre? Nel giorno dei giorni potremmo sentirci dire: ”Ero fuggitivo e non mi hai ospitato!”.
Buona vita!
maestrocastello.

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