lunedì 16 marzo 2009

Siamo tutti emigranti !

Con passo incerto avanza Mario nel parco cittadino, frenato dal ghiaino, dalla vetustà delle sue gambe e da un fastidioso vento che mette gli alberi a soqquadro e rimesta i suoi pensieri già tanto rimestati. Ha come meta una panchina libera che permette anche la visuale di una strada laterale. Come prende posto sulla panca, ne cattura l’attenzione il copricapo del lavavetri di colore che, al semaforo di fronte, tenta disperatamente di convincere gli automobilisti ad accettare le proprie prestazioni. Il pensiero di Mario corre agli anni della sua emigrazione, alla valigia di cartone legata con lo spago, ai mille mestieri intrapresi pur di mandare soldi a casa e a quante umiliazioni ha dovuto sopportare. La sera, pur vinto dalla stanchezza, rimandava ad ora tarda il momento di consumare quel misero panino, per la paura che potesse avere ancora fame. Restava ore al buio, sovrastato dalla nostalgia per la sua famiglia che in Italia aspettava qualche franco svizzero che sua moglie depositava tutti i mesi per comprare l’agognata casa. Il rammarico maggiore era non veder crescere i suoi figli, non poter essere presente proprio quando avevano più bisogno. Finiva sempre che cedeva al sonno, quando aveva terminato tutte le lacrime del giorno. “Italienisc!”, “Maccarone!” “Bastard!” quante umiliazioni! Povero Mario, doveva apparire sempre indifferente per un tozzo di pane che diventava sempre più arduo conquistare. Quasi dieci anni di quell’inferno, di completo isolamento. Già il problema della lingua: il non essere capiti e il non essere accettati. Mai una volta che, entrando in un bar, venisse trattato come un essere umano. Avvertiva sempre un’aria pesante intorno a sé, fino a quando non toglieva il disturbo. “Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui e come è duro calle lo scendere e 'l salire pe l'altrui scale” diceva Dante del suo esilio. Quello di Mario era un pane che aveva il sapore degli stenti, delle infinite malinconie, della dignità tante volte calpestata, della sua anima mutilata dall'indifferenza. Intanto che pensava, buttava l'occhio verso il lavavetri che continuava a far inchini, restando inoperoso. Come una saetta, Mario si alza dalla panca e si dirige al di là della strada, proprio in direzione dell'uomo di colore. Quando il semaforo glielo permette, attraversa e si porta dall’altra parte della strada, cavando di tasca una banconota . E’ molto imbarazzato Mario, perché teme di offendere quell’uomo. In fondo, non ha ricevuto nessuna prestazione. Allora sfodera tutto il suo sorriso e...., allungando la mano con la banconota.... : “ Salve amico, fa tanto caldo! Permetti che ti offro qualcosa di fresco da bere...? “ Grazie, fratello! Tu bravo... Tu italiano bravo! Che Allah ti protegga!
Mario si allontana e ora sorride dentro. Si accorge che il suo passo non è più incerto e intanto l’altro non smette di sbracciarsi per riconoscenza. Mentre continua la sua strada, Mario pensa a don Milani, prete-amico di deboli e diseredati :
"Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri".
Da che parte stiamo noi?

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